5 Ottobre 2020

Perdite su crediti: imputazione temporale della deduzione

di Alessandro Carlesimo
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La scheda di FISCOPRATICO

Il presente intervento concentra l’attenzione sul tema relativo alla corretta imputazione fiscale delle perdite su crediti.

Le ultime modifiche normative al regime hanno reso più agevole l’individuazione del periodo di imposta in cui sorge il diritto alla deduzione.

Prima di entrare nel merito dell’argomento, è opportuno ripercorrere brevemente le regole del Testo Unico, così da focalizzare il trattamento fiscale delle suddette componenti reddituali ai fini delle imposte dirette.

Il riconoscimento della deduzione è subordinato alla presenza di elementi certi e precisi dai quali poter desumere la definitiva inesigibilità del titolo.

In altri termini, la perdita imputata in bilancio acquista valenza fiscale se è comprovata da circostanze e da indizi accuratamente documentati (Cassazione n. 20450/2011; Cassazione n. 11329/2011).

Come già chiarito dall’Amministrazione Finanziaria, non è sufficiente il mero inadempimento del debitore affinché ricorrano gli elementi di certezza e precisione, ma è necessario che la difficoltà di adempiere sia frutto di una “… situazione oggettiva di insolvenza non temporanea del debitore, riscontrabile qualora la situazione di illiquidità finanziaria ed incapienza patrimoniale del debitore sia tale da fare escludere la possibilità di un futuro soddisfacimento della posizione creditoria” (circolare AdE 13/E/2013).

Accanto alle condizioni generali di deducibilità, l’articolo 101, comma 5, Tuir individua altresì dei casi in cui gli elementi certi e precisi si presumono esistenti ex lege.

Trattasi delle seguenti ipotesi di deducibilità automatica:

  • debitore assoggettato a una delle procedure concorsuali previste dalla Legge Fallimentare;
  • credito di modesta entità e scaduto da almeno sei mesi;
  • credito prescritto;
  • credito cancellato dal bilancio in applicazione dei principi contabili adottati dall’impresa.

Secondo la Giurisprudenza consolidata, in linea generale, l’esercizio in cui la perdita assume rilevanza ai fini fiscali è quello in cui concretizzano gli elementi di certezza e precisione, o ancor meglio, in cui si acquista certezza che il credito non possa essere più soddisfatto (Cassazione, n. 16330/2005; Cassazione, n. 775/2019; Cassazione, n. 6080/2019; Cassazione, n. 16167/2020).

L’applicazione pratica di questo principio non è sempre agevole, anche tenuto conto della discrezionalità che caratterizza le vicende valutative del credito.

Per tale ragione il Legislatore ha integrato l’articolo 101 Tuir, nell’intento di assicurare il coordinamento tra la suddetta norma e le disposizioni generali in tema di determinazione del reddito di impresa, contenute all’articolo 109 Tuir.

Al riguardo, è stata espressamente disciplinata la competenza fiscale delle perdite su crediti di modesta entità scaduti da sei mesi e di quelle scaturenti dall’assoggettamento del debitore a una delle procedure concorsuali.

L’articolo 13, comma 1, lett. d), D.Lgs. 147/2015, ha infatti aggiunto il comma 5-bis, nel quale si prevede che, in questi casi, la deduzione possa aver luogo nel periodo di imputazione in bilancio, anche quando la contabilizzazione dell’onere avvenga in un periodo di imposta successivo a quello in cui sussistono gli elementi certi e precisi.

In base a questa impostazione, il momento in cui si manifestano gli elementi di certezza e precisione – apertura della procedura concorsuale ovvero primo giorno in cui risulta decorso il periodo di sei mesi dalla data di scadenza del credito – viene a rappresentare il “dies a quo” a partire dal quale è ammessa la deduzione della perdita (circolare 14/E/2014).

La norma, nel riaffermare il principio di previa imputazione al conto economico, esclude che la deduzione della perdita possa avvenire anteriormente alla relativa rilevazione contabile, allineando su questa falsa riga la competenza civilistica e quella fiscale.  

Solleva invece ancora qualche problematica interpretativa la competenza temporale della perdita relativa a crediti caduti in prescrizione.

Nel silenzio della legge, si ritiene che l’intervenuta prescrizione non possa, come nei casi appena menzionati, costituire il dies a quo per la deduzione, bensì un momento che fissa la sua esatta competenza temporale, fermo restando la necessità di rispettare l’obbligo di preventiva imputazione a conto economico.

Conseguentemente, l’impresa che non abbia dedotto la perdita nell’esercizio in cui si è compiuta la prescrizione, difficilmente può ritenersi legittimata a farlo successivamente (Cfr. circolare Assonime n. 18/2014).

Secondo questa rigida interpretazione, non sarebbe ammesso il differimento della deduzione ad un periodo di imposta successivo alla cessazione del credito per intervenuta prescrizione, eventualità che si verificherebbe, ad esempio, in caso di tardiva falcidia del credito iscritto.

Da un’altra prospettiva, tale assetto potrebbe tuttavia non determinare la definitiva perdita del beneficio fiscale.

Laddove infatti il contribuente ricorra alla procedura contabile di correzione degli errori, cancellando il credito nel bilancio relativo ad un esercizio successivo rispetto a quello di estinzione per prescrizione, sarebbe ancora possibile emendare la dichiarazione del periodo fiscale in cui doveva essere registrata la perdita, presentando la dichiarazione integrativa (entro i termini concessi) e dando così rilevanza al componente di reddito, anche allorquando questo venga rilevato nei bilanci successivi tra le poste di patrimonio netto in ossequio al Oic 29 (cfr. risoluzione AdE 12/E/2018).

Sul fronte delle perdite cd. realizzative, ovvero quelle derivanti da atti unilaterali o contrattuali che determinano il realizzo o l’estinzione del credito, quali la cessione pro soluto, la transazione o la rinuncia, è possibile affermare un sostanziale allineamento tra periodo di competenza contabile e fiscale: tali perdite dipendono da eventi estintivi del titolo che, in base al principio Oic 15, portano alla cancellazione del credito dal bilancio, operazione che, appunto, integra un’ ipotesi di deducibilità automatica.