- che i tributi che costituiscono risorse proprie della Comunità Europea godono di un particolarissimo regime di tutela, essendo lo Stato stesso soggetto a vincoli nella relativa gestione, e
- che debbono essere qualificati tributi che costituiscono risorse proprie dell’unione non tanto quelli che generano gettito effettivo, ma anche quelli (come l’IVA) che costituiscono mera componente matematica utilizzata per la quantificazione delle contribuzioni comunitarie dei singoli stati.
In sintesi quindi, IVA e ritenute non potrebbero essere assoggettate a falcidia, in nessun caso. Con la successiva pronuncia n. 7667/12, la Cassazione ha confermato tale orientamento.
Il quadro peraltro inizia ad incrinarsi quasi subito, e la giurisprudenza di merito solo in parte si allinea, mentre dottrina e molti Tribunali assumono atteggiamento scettico, se non apertamente critico (Trib. Perugia 16/07/2012, Trib. Varese 30/06/2012, Trib. Como 19/01/2013). Le ragioni di distanza risiedono soprattutto nel carattere della norma, sostanziale nell’interpretazione della Corte di Cassazione, ed invece meramente processuale per chi non si allinea, e nella ampiezza della deroga al tassativo obbligo di rispetto dell’ordine delle prelazioni di cui agli artt. 2741, 2777 e 2778 Cod. Civ. (par condicio). Contribuiscono a consolidare l’orientamento di merito avverso all’interpretazione di legittimità tra gli altri sia il Tribunale di Cosenza (Sezione Fallimentare, 29.05.2013), che poco dopo Genova (Corte d’Appello Rep. 1326, depositata il 27/07/2013).
L’impostazione che va maturando e consolidandosi apprezza il carattere di straordinarietà dell’art. 182-ter, c. 1, L.F., non estendibile per via analogica ad altri ambiti rispetto a quello per cui è congegnato. Il tenore letterale sostiene questa impostazione, essendo il divieto della falcidia esplicitamente riferito al contenuto della proposta ex art. 182-ter, e quindi alla transazione fiscale che non è parte tra l’altro obbligatoria del procedimento. La deroga al rigoroso rispetto della par condicio appare quindi plausibile e sostenibile solo e limitatamente all’interno dell’adozione dello strumento che la prevede, e non in via generica. Il ricorso alla transazione fiscale, ed ai relativi vantaggi costituiti dal consolidamento della posizione con l’Erario, che assume il carattere della definitività, con l’indubbio pregio di scongiurare successive modifiche integrative del debito suscettibili di compromettere il buon esito della procedura, comportando l’inadempimento del debitore e conseguente risoluzione del concordato ai sensi dell’art. 186 L.F., è opzione disponibile al debitore, unico che possa e debba soppesarne vantaggi e svantaggi.
La proposta concordataria che non sia accompagnata da proposta transattiva con il fisco, non gode del consolidamento, e dispone invece delle opzioni di riduzione che la legge offre ove lo Stato possa essere considerato un debitore qualsiasi, al di fuori dell’ambito di tutela straordinario che l’art. 182-ter L.F. gli concede.
Appare anche convincente un ulteriore elemento che certa giurisprudenza di merito e in via generale la dottrina apportano, costituito dalla poco comprensibile impostazione per la quale solo il concordato preventivo, ed a ben vedere il nuovo strumento della gestione da sovraindebitamento dei soggetti non fallibili, subirebbero il principio di rigorosa tutela del credito IVA, che non potrebbe subire falcidia, sconosciuto invece sia alle altre procedure concorsuali, fallimento e concordato fallimentare, sia anche alle procedure esecutive individuali (fatta eccezione, come accennato, per quelle in cui il debitore sia ricorso al disciplina del sovraindebitamento). Se così fosse, dovremmo constatare un contrasto evidente della norma con i principi di uguaglianza e ragionevolezza.