Più ampio il potere dell’Ufficio di “rivedere” l’avviso di accertamento
di Debora MirarchiL’esercizio dell’autotutela tributaria consente al Fisco di annullare “per vizi sia formali che sostanziali” l’avviso di accertamento ed emettere un nuovo atto impositivo “anche per una maggiore pretesa”.
È questo, in estrema sintesi, il principio, sancito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30051 dello scorso 21.11.2024 che, all’indomani della pubblicazione, ha (comprensibilmente) sollevato perplessità di non poco conto, in considerazione della necessità di porre un freno alla potenziale deriva del potere di autotutela sostitutiva che, alla luce dei principi contenuti nella decisione in commento, sarebbe potenzialmente applicabile a un numero forse troppo ampio di casi, “annacquando” la distinzione rispetto all’accertamento integrativo.
Nel caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte, l’Ufficio ha emesso un primo avviso di accertamento nel 2009 e un secondo atto impositivo due anni dopo a seguito dell’annullamento del precedente.
Le motivazioni a sostegno dell’annullamento del primo atto sono essenzialmente riconducibili al fatto che, nella determinazione dei maggior ricavi, l’Agenzia aveva ritenuto giustificati taluni prelievi effettuati dal ricorrente dal proprio conto, “ancorché […] privi di riscontro, incorrendo, dunque, in un errore di natura sostanziale sulla corretta valutazione del presupposto d’imposta”.
L’errore in merito alla interpretazione di talune movimentazioni da parte del contribuente, oggetto del giudizio innanzi alla Corte di cassazione, è motivo di secondo esame da parte dell’Ufficio del medesimo presupposto impositivo, ma, al contempo, è anche fattispecie astrattamente riconducibile ai casi in cui l’Amministrazione, nel rispetto dei termini decadenziali, può esercitare nuovamente il potere impositivo “non consumato”, emettendo un avviso integrativo del precedente.
Per tale motivo, la Corte, in una lunga dissertazione, si trova a dover affrontare la distinzione fra accertamento in autotutela e accertamento integrativo.
L’esercizio dell’autotutela risponde all’esigenza di porre rimedio a un atto impositivo che, a seguito di una valutazione postuma, si riveli illegittimo, mediante l’annullamento e l’emissione di una nuova pretesa in sostituzione della precedente e, conseguentemente, alla corretta esazione del prelievo fiscale, in accordo con il generale principio della capacità contributiva.
Nelle ipotesi in cui il potere sostitutivo sia esercitato dall’Amministrazione finanziaria per ridefinire la pretesa in senso peggiorativo, come nel caso specifico oggetto della sentenza, l’autotutela si definisce in mala partem.
L’accertamento integrativo, sostiene la pronuncia, si differenzia strutturalmente e funzionalmente, dal potere di autotutela, poiché pur comportando l’emissione di un nuovo atto, questo non è sostitutivo del precedente, ma lo integra, con la conseguenza che, con riferimento al medesimo tributo e periodo d’imposta, sono emessi due o più atti impositivi.
In altri termini, nell’avviso di accertamento integrativo non vi è una rivalutazione degli elementi di fatto e diritto in base ai quali il primo atto è stato emesso, ma una prima valutazione di elementi nuovi non conosciuti in precedenza e, pertanto, non utilizzati ai fini della “costruzione” della originaria pretesa.
Ne consegue che, secondo la sentenza, l’elemento che discrimina l’accertamento in autotutela rispetto all’accertamento integrativo è la “sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi”, non previsto per l’esercizio del potere sostitutivo e presupposto per la validità dell’integrazione successiva della pretesa.
In tal senso, in passato, si è espressa la giurisprudenza, la quale, con l’obiettivo di “riordinare” una così confusa manifestazione del potere impositivo, ha stabilito che, in tema di accertamento integrativo, occorre che il secondo accertamento sia basato su elementi presenti, sin dall’origine, ancorché non contestati (Cassazione n. 23685/2018).
Se astrattamente la distinzione fra le due tipologie accertative sembra di immediata intuizione, maggiori difficoltà si riscontrano all’atto pratico di applicazione, poiché non risulta sempre agevole riconoscere il carattere innovativo di un elemento.
Tale difficoltà potrebbe “giocare” a favore di un eccessivo ampliamento del potere dell’Amministrazione finanziaria, la quale, dovendo rispettare il solo termine decadenziale per l’esercizio del potere accertativo, potrebbe “in corsa” cambiare le ragioni a sostegno della pretesa a seconda delle possibilità di ottenere un maggior margine.
A complicare il già confuso quadro vi è la previsione dell’accertamento parziale, oggetto di un veloce passaggio nella sentenza. La Corte, nel tentativo di ulteriormente dimostrare che la facoltà dell’Amministrazione di esercitare il proprio potere in forma frazionata, sarebbe consentita anche “da un’ampia ulteriore varietà di disposizioni” (come espressamente ricordato dalla Corte dagli “artt. 36-ter, secondo comma, 38-bis, 41-bis (accertamento parziale) DPR n. 600 del 1973 in materia di imposte dirette, nonché l’art. 54, quarto comma, (accertamento parziale), DPR n. 633 del 1972”), di fatto, anziché dissipare i dubbi e porre un argine alla schizofrenia del potere accertativo, rende ancora più difficoltosa la distinzione, a livello pratico, delle diverse forme di esercizio del potere impositivo.
La recente riforma tributaria poteva essere una occasione per porre paletti più chiari all’esercizio del potere accertativo.