Plafond IVA anche per l’acquisto di fabbricati mediante appalto
di Marco PeiroloL’Amministrazione finanziaria è dell’avviso che nell’esclusione dal plafond delle cessioni di fabbricati e di aree fabbricabili, prevista dall’articolo 8, comma 1, lettera c), del D.P.R. n. 633/1972, rientri qualsiasi operazione negoziale che determini comunque, come nel caso dell’appalto, il passaggio della proprietà in capo al committente. E ciò, in particolare, anche se l’acquisto non avvenga mediante un atto direttamente finalizzato al trasferimento immobiliare.
In pratica, secondo questa impostazione, ad assumere rilevanza, ai fini dell’esclusione dell’operazione dal regime di non imponibilità, è la finalità concretamente realizzata dal contribuente, essendo per contro irrilevante il fatto che all’acquisto si sia addivenuti, nella specie, mediante un contratto d’appalto, atteso che tale strumento negoziale ha comunque prodotto il risultato, sia pure indiretto, di determinare il passaggio di proprietà del bene realizzato in capo al committente.
La non estensibilità dell’agevolazione alle cessioni di fabbricati e di aree edificabili si spiega agevolmente ove si consideri che si tratta, com’è del tutto evidente, di beni estranei alle esportazioni, cui si riferisce la norma richiamata.
Il punto controverso, nei giudizi approdati innanzi alla Corte di Cassazione, si incentra, tuttavia, sul concetto di cessione immobiliare, richiamato dalla disposizione in esame.
La giurisprudenza di legittimità ha messo in luce che nel sistema del diritto comunitario, fatte salve alcune previsioni derogatorie, la nozione di “cessione di beni”, ai fini IVA, ricomprende qualsiasi operazione di trasferimento di un bene materiale effettuata da una parte, che autorizza l’altra parte a disporre di tale bene come se ne fosse il proprietario. Il riferimento al trasferimento che deve essere effettuato a titolo oneroso evidenzia che, nel sistema sovranazionale, la cessione di beni postula – in base agli articoli 2 ed 73 della Direttiva n. 2006/112/CE – l’esistenza di un negozio giuridico tra le parti con la pattuizione di un corrispettivo che costituisce il controvalore effettivo dei bene ceduto al cessionario. Ne discende che devono intendersi esclusi dal concetto di cessione quegli accordi attraverso i quali il prezzo corrisposto costituisca il corrispettivo del lavoro espletato, come nei casi dell’appalto e della prestazione d’opera. Ed infatti, ai sensi dell’articolo 14, par. 3, della Direttiva n. 2006/112/CE, è rimessa esclusivamente alla discrezionalità degli Stati membri la possibilità di considerare cessioni di beni, equiparabili a quelle “in senso stretto”, anche, da un lato, la consegna di un lavoro eseguito in base ad un contratto d’opera e, dall’altro, la consegna di taluni lavori immobiliari.
Il legislatore nazionale non ha inteso compiere tale assimilazione. Come, infatti, rilevato nelle sentenze n. 9969/2015 e n. 7504/2016:
- l’articolo 2, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972 definisce le cessioni di beni come “atti a titolo oneroso che importano trasferimento della proprietà ovvero costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento su beni di ogni genere”, laddove gli elementi essenziali dell’operazione sono costituiti dalla presenza di un atto, dagli effetti giuridici traslativi o costitutivi di diritti, e dalla sua onerosità. Se ne deve, pertanto, dedurre che non possono considerarsi cessioni, ai fini della disciplina IVA, gli acquisti a titolo originario di beni, come nel caso dell’occupazione, usucapione, accessione o invenzione, attesa la mancanza dell’atto traslativo a titolo oneroso;
- l’articolo 3, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972, per converso, definisce le prestazioni di servizi come “le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratti d’opera, appalto, trasporto, mandato, spedizione, agenzia, mediazione, deposito e in genere da obbligazioni di fare, di non fare e di permettere quale ne sia la fonte”, laddove il riferimento alle obbligazioni di fare, di non fare e di permettere intende evidenziare inequivocabilmente come l’essenza del concetto di prestazione di servizi sia incentrato sull’esecuzione di un obbligo che non sia di dare. Sicché la specifica indicazione di taluni contratti tipici tra i quali quello d’appalto – che viene in considerazione nel caso di specie – pur avendo certamente un valore esemplificativo, consente, tuttavia, se letta in combinato disposto con il riferimento alle obbligazioni suindicate, di superare i dubbi sulla qualificazione proprio dei contratti d’opera e d’appalto, il cui risultato può, in concreto, essere l’acquisizione di un bene.
Nell’ottica della Suprema Corte, il riferimento, operato dall’articolo 8, comma 1, lett. c), del D.P.R. n. 633/1972, alle cessioni di beni non può essere in alcun modo inteso – non essendosi il legislatore nazionale avvalso della più ampia nozione di cessione autorizzata, ai fini della disciplina IVA, dal diritto comunitario – come riferibile anche agli acquisti a titolo originario, che prescindano dalla sussistenza di un atto negoziale specificamente destinato al passaggio della proprietà del bene. La nozione di cessione recepita dal sistema interno in materia di IVA (articolo 2 del D.P.R. n. 633/1972) è, invero, quella più ristretta, che intende, cioè, la cessione come un trasferimento operato in forza di un atto traslativo a titolo oneroso, nel quale il corrispettivo della vendita rappresenti – come stabilito dal diritto comunitario – il controvalore effettivo del bene ceduto e non il compenso per il lavoro effettuato, come nei contratti d’appalto e d’opera, non a caso ricompresi tra le prestazioni di servizi (articolo 3 del D.P.R. n. 633/1972).
La conclusione raggiunta dai giudici di legittimità supera le contrarie indicazioni fornite dall’Amministrazione fiscale, per la quale “permane, in ogni caso, il divieto di utilizzare il plafond per l’acquisizione di fabbricati, in dipendenza di contratti di appalto avente per oggetto la loro costruzione o di leasing; e ciò in quanto, ancorché la disposizione di cui alla lettera c) dell’articolo 8 del D.P.R. n. 633 del 1972 escluda espressamente dal beneficio solo le cessioni di fabbricati, l’esclusione è evidentemente da estendere a tali modalità di acquisizione dei fabbricati stessi, che realizzano un effetto equivalente” (C.M. n. 145/E/1998, § 7). Si rammenta, in proposito, che l’utilizzo del plafond per i fabbricati acquisiti in leasing è stato ammesso dalla Cassazione nelle sentenza n. 1362/2000, n. 2888/2001 e n. 23329/2013, nel presupposto che il contratto di locazione finanziaria configura una prestazione di servizi sino al momento dell’acquisto finale del bene.
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