Plusvalenza cessione azienda e riserva della proprietà
di Sandro Cerato - Direttore Scientifico del Centro Studi TributariLa cessione d’azienda con clausola di riserva della proprietà determina una plusvalenza che non può essere oggetto di rettifica a seguito dell’inadempimento da parte del cessionario per mancato pagamento integrale del prezzo pattuito.
È quanto emerge dalla risposta all’istanza di interpello n. 92 pubblicata ieri sul sito dell’Agenzia delle entrate e che risponde ad un quesito riguardante la cessione di un’azienda con clausola di riserva delle proprietà e le conseguenze derivanti dal mancato pagamento del corrispettivo da parte dell’acquirente, con particolare riguardo ai seguenti aspetti:
- tassazione della plusvalenza,
- valore di carico dei beni restituiti,
- e deduzione delle quote di ammortamento successivamente alla retrocessione dei beni del ramo d’azienda.
Nell’istanza si fa presente che la cessione dell’azienda è avvenuta con una clausola di riserva della proprietà (ossia con pagamento rateale) e che le parti hanno risolto il contratto a seguito del mancato pagamento del saldo dovuto da parte dell’acquirente, con conseguente reimmissione in possesso del ramo aziendale in capo al cedente.
Nel modello Redditi 2017 per l’anno 2016 (in cui era avvenuta la cessione) il cedente ha correttamente imputato a tassazione l’intera plusvalenza (nel quadro RG) e chiede all’Agenzia delle entrate di poter presentare una dichiarazione integrativa a favore l’anno successivo (2017 a seguito dello scioglimento del contratto) allo scopo di recuperare le maggiori imposte pagate per effetto del venir meno del trasferimento aziendale.
Sul punto, è opportuno ricordare che la vendita con riserva della proprietà, pur differendo, ai fini civilistici, il passaggio della proprietà al momento in cui avviene l’integrale pagamento del prezzo, non assume efficacia sul fronte fiscale, poiché l’articolo 109, comma 2, Tuir, stabilisce che la competenza del componente positivo di reddito (nel caso di specie la plusvalenza) avviene all’atto della stipula dell’atto, a nulla rilevando eventuali clausole di riserva della proprietà (sul punto, l’Agenzia richiama i seguenti precedenti documenti di prassi, ovvero la circolare 41/E/2002, la risoluzione 91/E/2016 e la risoluzione 338/E/2008).
Tali clausole, infatti, conservano effetti ai soli fini civilistici e non anche in ambito fiscale, con la conseguenza che, secondo l’Agenzia, il cedente dell’azienda non è legittimato a presentare una dichiarazione integrativa a favore in quanto il componente positivo di reddito è già stato correttamente e definitivamente tassato nel periodo d’imposta di competenza.
Per effetto della risoluzione del contratto per inadempimento, osserva l’Agenzia, il complesso aziendale rientra nella disponibilità del cedente (in quanto civilisticamente non è avvenuto il trasferimento della proprietà per mancato pagamento integrale del prezzo), con la conseguenza che il cedente stesso deve:
- caricare il valore normale dei beni “retrocessi” oggetto del complesso aziendale;
- stornare il credito corrispondente alla parte di prezzo non pagata.
La differenza tra tali due valori costituisce rispettivamente:
- una perdita su crediti deducibile ai sensi dell’articolo 101, comma 5, Tuir, laddove il valore dell’azienda sia inferiore al valore residuo del credito;
- una sopravvenienza attiva imponibile nell’ipotesi (più remota) in cui il valore dell’azienda restituita sia superiore al credito residuo.
Infine, per quanto riguarda la deduzione delle quote di ammortamento dei beni del complesso aziendale restituito, l’Agenzia precisa che si deve aver riguardo al costo determinato ai sensi dell’articolo 110, comma 1, Tuir, che, nel caso di specie, corrisponde al valore normale dei beni che compongono l’azienda stessa.
Da tale valore, quindi, “riparte” la deduzione delle quote di ammortamento, seguendo i coefficienti di cui al D.M. 31.12.1988, in capo alla società ex cedente dell’azienda.