Possibile la confisca sulla prima casa
di Luigi FerrajoliNel diritto penale-tributario, l’articolo 12-bis, comma 1, D.Lgs. 74/2000 prevede che “nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale per uno dei delitti previsti dal presente decreto, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto”
Inoltre, l’articolo 12 ter D.Lgs. 74/2000 dispone l’applicazione dell’articolo 240 bis c.p., ossia la c.d. confisca per sproporzione, o allargata, anche a determinati reati tributari, subordinando l’applicazione della misura alla presenza di determinate soglie, specificamente individuate in ragione delle singole condotte illecite di volta in volta considerate.
In particolare, le fattispecie interessate dall’applicazione della confisca sono i reati di dichiarazione fraudolenta, di emissione di fatture per operazioni inesistenti e di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, con esclusione dei reati di omesso versamento di ritenute e di imposta sul valore aggiunto.
Le norme in esame devono tuttavia essere coordinate con altre disposizioni legislative, specificamente con quelle che disciplinano la possibilità o meno di assoggettare a confisca determinati beni, che per loro natura e destinazione non si prestano a tale misura.
In particolare, l’attenzione del presente intervento si pone sulla “prima casa” e sulla eventuale ablazione della stessa a seguito di pronuncia giudiziale.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8995/2020, ha dato una risposta nuova e dirompente, in quanto si pone dichiaratamente in contrasto con le precedenti pronunce proprio del Giudice di legittimità e apre le porte a conseguenze gravemente pregiudizievoli per il patrimonio dei soggetti interessati dalla misura in questione.
Nel caso di specie, nei confronti di indagato in ordine all’ipotesi delittuosa di cui all’articolo 2 D.Lgs. 74/2000 il Tribunale del Riesame aveva confermato il provvedimento del Giudice per le Indagini Preliminari che aveva disposto il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, sui beni della persona, quale profitto del reato di dichiarazione fraudolenta.
Nel proprio ricorso avanti la Suprema Corte, la persona sottoposta ad indagini ha evidenziato, quale motivo di impugnazione, la violazione del principio di non pignorabilità della “prima casa”, non sottoponibile a confisca ai sensi dell’articolo 52 D.L. 69/2013 e di quanto stabilito dal Giudice di legittimità nella propria sentenza n. 22581/2019.
Ebbene, sotto tale profilo la Corte di Cassazione ha ritenuto infondata la doglianza, evidenziando che il limite posto dal legislatore all’espropriazione immobiliare non si riferisce alla “prima casa” in sé e per sé considerata, bensì “all’unico immobile di proprietà del debitore”, concetto differente da quanto invocato dal ricorrente.
Secondo tale interpretazione, del tutto innovativa rispetto alle proprie precedenti pronunce, la Corte ha sottolineato che “per invocare l’applicazione della disposizione in tema di espropriazione immobiliare, il debitore non può limitarsi a prospettare che l’immobile pignorato è la sua “prima casa”, perché una tale prospettazione non esclude di per sé che lo stesso debitore sia proprietario di altri immobili”.
Inoltre, come argomentato dal Collegio, la disposizione citata non costituisce un principio generale del nostro ordinamento, ma si rivolge esclusivamente alle espropriazioni da parte del Fisco per debiti tributari e non a quelle promosse da altri creditori per debiti di tipo differente.
Ciò posto, la Suprema Corte ha rappresentato che il profitto del delitto di dichiarazione fraudolenta, possibile oggetto di sequestro preventivo funzionale alla confisca, non comprende le sanzioni né gli interessi maturati in favore dello Stato, come invece compete al debito verso il fisco, che sempre include il debito tributario, gli interessi e le sanzioni.
Infine, ad avviso del Giudice di legittimità il limite alla pignorabilità in questione non trova comunque applicazione con riferimento alla confisca penale (diretta o per equivalente), né al sequestro preventivo ad essa preordinato.
La Corte di Cassazione ha dunque rigettato il ricorso proposto dall’indagato perché infondato, con conseguente condanna al pagamento delle spese processuali.