In buona sostanza, sembrerebbe che, salve le esclusioni tassativamente previste da specifiche disposizioni, tutto ciò che è percepito in relazione all’attività del professionista concorra alla formazione del reddito di lavoro autonomo. In tale ambito rientrerebbero anche le plusvalenze derivanti dalla cessione di quote di partecipazione in studi associati o società semplici che svolgono attività di lavoro autonomo. D’altronde, lo stesso D.Lgs. 192/2024 ha modificato anche l’articolo 17, Tuir, introducendo la nuova lettera g-ter) per la tassazione separata di tali plusvalenze e dei corrispettivi incassati dal professionista per la cessione della clientela o di altro elemento immateriale riferito all’attività, qualora il corrispettivo sia percepito, anche in più rate, nel corso del medesimo periodo d’imposta.
Tuttavia, si potrebbe provare a fornire una chiave di lettura diversa, rispetto a quella proposta, pur precisando che, in assenza di interpretazioni ufficiali, ed al netto di possibili modifiche normative future (presentate anche dal Cndcec don il documento del 4 febbraio 2025), si rimane nel campo delle interpretazioni. A parere di chi scrive, il principio di onnicomprensività dovrebbe “limitarsi” a tutti i componenti positivi collegati direttamente con lo svolgimento dell’attività di lavoro autonomo, ossia derivanti da elementi c.d. di “primo grado”, e non anche estendersi a componenti che possiamo definire di “secondo grado”, quali quelli derivanti dalla cessione di quote di partecipazione in studi associati o società semplici che svolgono attività professionale.
È pur vero che la cessione di una quota di partecipazione in uno studio associato o in una società semplice professionale è ceduta a causa dello svolgimento da parte del socio di un’attività di lavoro autonomo, ma quest’ultima è, in realtà, posta in essere dall’associazione professionale o dalla società semplice di cui è socio il professionista. D’altro canto, il provento incassato dallo stesso non è a beneficio dell’associazione o della società semplice, ma costituisce il realizzo di un guadagno straordinario e maturato in capo esclusivamente al soggetto persona fisica che, grazie alla sua attività svolta quale partecipante all’associazione o alla società, è riuscito a monetizzare. Si tratta, quindi, del realizzo di un bene che, in precedenza, è stato definito di “secondo grado”, di natura strettamente personale e non riferito anche agli altri professionisti che partecipano all’associazione o alla società. Tale provento dovrebbe, quindi, rimanere estraneo all’attività professionale, e più correttamente tassato come capital gain in capo alla persona fisica ex socio o associato.
Ed in tal senso deporrebbe anche la modifica apportata all’articolo 67, lettere c) e c-bis), Tuir, in cui è stata eliminata l’esclusione da tassazione delle cessioni di quote di partecipazione in associazioni professionali o società semplici che svolgono attività di lavoro autonomo. Tra l’altro, fatta salva l’ipotesi che l’associato svolga già un’attività di lavoro autonomo con una propria posizione individuale (nel qual caso le conclusioni ivi indicate non cambierebbero ad avviso di chi scrive), ed al netto della possibilità di fruire della tassazione separata in presenza delle previste condizioni, l’inclusione del provento derivante dalla cessione della quota nel reddito di lavoro autonomo della persona fisica (socio) comporterebbe la necessità di aprire una partita Iva al solo scopo di assoggettare a tassazione tale provento, il che appare francamente eccessivo.