I poteri di disapplicazione del giudice tributario – II° parte
di Francesco RizziPer quanto riguarda la disapplicazione delle sanzioni non penali, l’esercizio di tale potere è disciplinato dal dall’articolo 8 D.Lgs. 546/1992 rubricato “Errore sulla norma tributaria”, secondo cui “La commissione tributaria dichiara non applicabili le sanzioni non penali previste dalle leggi tributarie quando la violazione è giustificata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferisce”.
La norma in commento – che sostanzialmente esprime un principio giuridico generale di tutela dell’affidamento e della buona fede del contribuente, espresso anche in altre norme tributarie (cfr. articolo 6, comma 2, D.Lgs. 472/1997 e articolo 10, comma 3, L. 212/2000) – esige dal giudice un preventivo accertamento dell’obiettiva incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria che, secondo la giurisprudenza di legittimità, deve essere esaminata avendo come riferimento un uomo di media esperienza, scienza e diligenza.
Il giudice è dunque chiamato a verificare l’esistenza di tali circostanze al fine di accertare se vi sia stata o meno una “colpa” del soggetto agente e, qualora tale colpa (intesa quale elemento costitutivo della responsabilità dell’agente) fosse accertata come non sussistente, le sanzioni non penali dovrebbero essere non applicate per assenza del suddetto requisito soggettivo.
È tuttavia opportuno proporre una specifica domanda al giudice. Di fatti, sebbene sia in dottrina che in giurisprudenza vi siano posizioni contrastanti in ordine a tale esigenza processuale, l’orientamento giurisprudenziale ad oggi prevalente sembrerebbe essere quello che ritiene necessaria un’apposita domanda di parte ai fini dell’esercizio di tale potere. Sul punto si ritiene comunque utile segnalare che la parte della dottrina che si è posta in senso contrario reputa non necessaria un’apposita domanda di parte perché sostiene che dovrebbe essere sempre garantita la tutela sostanziale dei diritti del ricorrente secondo la cosiddetta teoria della domanda implicita.
Per quel che concerne la casistica di tali fattispecie, la giurisprudenza della Cassazione ha ritenuto sintomatiche di situazioni di obiettiva incertezza della norma tributaria, le seguenti circostanze:
- assenza di precedenti giurisprudenziali;
- assenza di prassi amministrativa;
- contraddittorietà o scarsa chiarezza delle interpretazioni ministeriali;
- scarsa chiarezza nella grammatica della norma;
- contrasto tra prassi amministrativa e orientamenti giurisprudenziali;
- contrasto tra tesi dottrinali o tra orientamenti giurisprudenziali;
- incertezze oggettive relative all’ambito temporale di applicazione di una norma tributaria o alla sua interpretazione, poi chiarite attraverso una norma di interpretazione autentica.
In proposito è altresì doveroso segnalare che la Cassazione ha anche ritenuto che la presenza di apposite indicazioni all’interno delle istruzioni per la compilazione della dichiarazione dei redditi non siano una ragione idonea ad escludere una situazione di obiettiva incertezza sulla norma tributaria, in quanto dette istruzioni non sono fonti del diritto.
Infine, per quel che concerne il potere di disapplicazione di una norma di legge interna, trattasi di un potere esercitabile dal giudice tributario qualora la norma italiana si ponga in contrasto con il diritto dell’Unione Europea.
Tale potere è esercitabile in qualunque stato e grado del giudizio, sia d’ufficio che su istanza di parte.
Più che di un potere, si tratta in realtà di uno specifico “dovere” di applicazione del diritto dell’Unione da parte del giudice tributario, tant’è che l’omessa disapplicazione della norma domestica contrastante con quella comunitaria implica per lo Stato la commissione di un illecito internazionale per fatto dei suoi giudici che potrebbe comportare una condanna al risarcimento del danno.
Inoltre, qualora nel corso di un processo sorgano dubbi circa la corretta interpretazione di una norma di diritto dell’Unione Europea o della relativa disciplina comunitaria applicabile e da tale dubbio dipenda la sussistenza o meno di una situazione di contrasto tra la norma interna e quella europea, il giudice tributario (come qualsiasi altro giudice nazionale) “può” o, a seconda dei casi, addirittura “deve” sospendere il processo (come previsto dall’articolo 3 L. 204/1958) e rimettere la questione in via incidentale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (ai sensi dell’articolo 267 Trattato UE), formulando un apposito quesito circa la corretta interpretazione della norma di diritto dell’Unione Europea.
Di fatti, ai sensi dell’articolo 267 Trattato UE, “La Corte di giustizia dell’Unione europea è competente a pronunciarsi, in via pregiudiziale:
- sull’interpretazione dei trattati;
- sulla validità e l’interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell’Unione.
Quando una questione del genere è sollevata dinanzi ad un organo giurisdizionale di uno degli Stati membri, tale organo giurisdizionale può, qualora reputi necessaria per emanare la sua sentenza una decisione su questo punto, domandare alla Corte di pronunciarsi sulla questione.
Quando una questione del genere è sollevata in un giudizio pendente davanti a un organo giurisdizionale nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, tale organo
giurisdizionale è tenuto a rivolgersi alla Corte. … omissis …”.
Come si evince dall’articolo 267, il rinvio della questione alla Corte di Giustizia:
- è facoltativo nel caso in cui il dubbio di interpretazione della norma comunitaria sia posto durante il primo (C.T.P.) o il secondo grado di giudizio (C.T.R.), essendo ancora esperibili i mezzi di impugnazione ex articolo 50 D.Lgs. 546/1992 avverso le sentenze emesse da tali organi giurisdizionali (appello, ricorso per cassazione o revocazione);
- è obbligatorio nel caso in cui il dubbio interpretativo si ponga nel giudizio di Cassazione, non essendo più previsto un mezzo di impugnazione della decisione assunta da tale organo giurisdizionale.
Da tutto quanto finora esposto si evince pertanto che il corretto uso dei poteri di disapplicazione da parte del giudice tributario può essere uno strumento giuridico di tutela dei diritti dei contribuenti sia in termini di difesa nei confronti di atti amministrativi illegittimi, che di riparo da sanzioni punitive ingiuste o da applicazioni della normativa domestica in contrasto con il diritto dell’Unione Europea.
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