30 Maggio 2018

I poteri di disapplicazione del giudice tributario – I° parte

di Francesco Rizzi
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Nell’ambito dei poteri attribuiti dalla legge al giudice tributario, un ruolo senz’altro non secondario lo hanno i poteri di disapplicazione.

Tale potestà consiste nel potere del giudice di “non applicare”, ricorrendone i presupposti di legge, i regolamenti, gli atti amministrativi generali, le sanzioni non penali e perfino le norme di diritto interno ove siano in contrasto col diritto comunitario.

Va da subito chiarito che la “disapplicazione” consiste nella “non applicazione” di un determinato atto e cioè nel considerare l’atto disapplicato come “non esistente” ai fini del giudizio.

Tale potere si differenzia dunque dal potere di “annullamento” dell’atto amministrativo, il quale compete esclusivamente al giudice amministrativo e consiste nell’eliminazione dell’atto dal mondo giuridico con effetti opponibili erga omnes.

Il giudice tributario esercita inoltre tale potere in via meramente incidentale ed unicamente ai fini della risoluzione della controversia che si trova ad esaminare. Tale potestà rientra quindi nella “cognizione incidentale” del giudice tributario e il suo esercizio ha effetti solamente ai fini del singolo giudizio e non è opponibile in altre giurisdizioni (a differenza del potere di annullamento del giudice amministrativo, il cui esercizio avviene in via principale ed ha effetti opponibili in altre giurisdizioni).

Una siffatta potestà, sebbene abbia un perimetro di azione indubbiamente “ampio”, deve comunque essere esercitata dal giudice tributario nel rispetto dei limiti e delle condizioni specificamente previsti dalla normativa di riferimento.

Per quanto concerne la disapplicazione di regolamenti e atti amministrativi generali, l’esercizio di tale potere è disciplinato dall’articolo 7, comma 5, D.Lgs. 546/1992 (recante le disposizioni sul processo tributario) a mente del quale “Le commissioni tributarie, se ritengono illegittimo un regolamento o un atto generale rilevante ai fini della decisione, non lo applicano, in relazione all’oggetto dedotto in giudizio, salva l’eventuale impugnazione nella diversa sede competente”.

Dalla citata disposizione normativa si evince dunque che il giudice può disapplicare il regolamento o l’atto amministrativo generale solamente nel caso in cui ravvisi la sussistenza di vizi di legittimità dello stesso (quali, ad esempio, l’incompetenza del soggetto emanante, l’eccesso di potere o la violazione di norme di legge) e purché tali vizi costituiscano il presupposto dell’atto impugnato, nel senso che quest’ultimo risulti viziato in conseguenza dell’illegittimità del regolamento o dell’atto generale.

A titolo esemplificativo, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto legittime le disapplicazioni di delibere inerenti la determinazione delle tariffe Tarsu o dei valori ai fini Imu di terreni edificabili qualora assunte da organo incompetente (ad esempio, la Giunta in luogo del Consiglio comunale) oppure qualora contenenti disposizioni contrastanti con precetti o principi previsti da norme di legge.

L’esercizio del potere di disapplicazione, inoltre, non preclude al contribuente la facoltà di impugnare il regolamento o l’atto generale innanzi al competente giudice amministrativo, ovviamente nel rispetto degli specifici modi e termini di legge.

Al contrario, il potere di disapplicazione del giudice tributario è precluso qualora la legittimità del regolamento o dell’atto generale sia stata confermata dal giudice amministrativo con autorità di giudicato.

Dalla norma in commento si ricava altresì che il giudice può esercitare tale potestà senza necessità di integrazione di contraddittorio con l’autorità che ha emanato l’atto amministrativo ritenuto illegittimo (ciò deriva dalla circostanza che per il giudice tributario trattasi di sindacato incidenter tantum, come sopra già spiegato).

Per ragioni di prudenza è inoltre opportuno che il ricorrente domandi sempre specificatamente al giudice tributario di esercitare tale potere. Di fatti, sia in dottrina che in giurisprudenza, non vi è unanimità circa la possibilità che il giudice tributario possa esercitare tale potestà d’ufficio e quindi anche senza un impulso di parte.

In proposito è possibile distinguere tra

  • una posizione secondo cui tale potere ha natura sostanziale e quindi può essere esercitato dal giudice anche autonomamente, essendo espressione di un potere processuale ufficioso
  • e una tesi opposta che invece ritiene il potere di disapplicazione una potestà il cui esercizio è specificatamente delimitato dalla legge e quindi non avrebbe natura sostanziale, ma sarebbe un potere processuale esercitabile in maniera non discrezionale e attivabile solo dietro specifica istanza di parte.

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