I poteri istruttori del giudice tributario
di Francesco RizziNel D.Lgs. 546/1992 (recante le disposizioni sul processo tributario), la disciplina dei poteri relativi all’istruzione probatoria del giudice tributario è “principalmente” contenuta nell’articolo 7, commi 1, 2 e 4.
Si può dire “principalmente” in quanto essa è in realtà integrata anche da altre norme del suddetto D.Lgs. (ad esempio da quelle inerenti la produzione documentale delle parti) ed ancor più perché, grazie al rinvio alle norme del codice di procedura civile operato dall’articolo 1 comma 2 del citato Decreto, essa è integrata, per quanto non disposto dalle norme del D.Lgs. 546/1992 e se con esse compatibili, da tutte le norme processualcivilistiche sui mezzi di prova recate dagli articoli 202 e ss. c.p.c., ad eccezione di quelle inerenti il giuramento e la prova per testi.
Fatta questa doverosa premessa di carattere sistematico, ci si soffermerà sui poteri istruttori delle commissioni tributarie disciplinati dal suddetto articolo 7.
Il primo di tali poteri è quello disciplinato dal comma 1, a mente del quale le commissioni tributarie “ai fini istruttori e nei limiti dei fatti dedotti dalle parti” possono esercitare i medesimi poteri attribuiti agli uffici tributari e agli enti locali da ciascuna legge d’imposta, in termini di facoltà di accesso, di richiesta di dati, di informazioni e di chiarimenti.
Il giudice tributario può pertanto disporre che vengano eseguiti accessi nei luoghi dove il contribuente svolge la propria attività e perfino nella sua abitazione e può anche chiedere dati e informazioni a soggetti terzi (ad esempio può chiedere ad una banca la copia di un determinato conto corrente oppure al sostituto d’imposta la certificazione delle ritenute operate, ecc.).
Le ordinanze istruttorie del giudice tributario non richiederebbero alcuna specifica autorizzazione da parte di altri organi, tenuto conto della natura giurisdizionale delle commissioni tributarie.
Tuttavia, con specifico riferimento ai poteri di accesso nell’abitazione privata del contribuente e di ispezione di persone e cose (ex articolo 118 c.p.c.), in autorevole dottrina si registrano pareri ancora discordanti.
Il secondo comma dell’articolo 7 D.Lgs. 546/1992 dispone inoltre che il giudice tributario, “quando occorre acquisire elementi conoscitivi di particolare complessità”,
- può richiedere apposite relazioni ad organi tecnici dell’amministrazione dello Stato o di altri enti pubblici tra cui la Guardia di Finanza;
- può disporre una consulenza tecnica.
Il successivo comma 4 (il comma terzo è stato abrogato da diversi anni) preclude invece al giudice tributario l’utilizzo del giuramento e della prova testimoniale. Sul piano istruttorio il processo tributario è infatti un rito precipuamente documentale e la non ammissibilità di tali strumenti probatori è dunque in linea con la ratio dello schema processuale voluto dal Legislatore per tale processo.
Con riferimento ai sopra elencati poteri istruttori, sia la dottrina che la giurisprudenza di legittimità hanno inoltre elaborato nel tempo una ricca e poliedrica esegesi delle norme in commento che, come spesso accade, non sempre è stata costante e condivisa.
Volendo tuttavia provare a fare una sintesi degli approdi ermeneutici su cui è rinvenibile un’unanime o comunque maggiore convergenza, si evidenzia che:
- i poteri istruttori delle commissioni tributarie possono essere esercitati in maniera del tutto discrezionale dal giudice;
- detti poteri sono esperibili anche d’ufficio e quindi pure in assenza di un impulso di parte;
- l’attivazione dei poteri istruttori può essere comunque stimolata dalle parti ma l’eventuale non accoglimento dell’istanza da parte del giudice non è sindacabile;
- la locuzione dell’articolo 7, comma 1, D.Lgs. 546/1992 secondo cui i giudici tributari esercitano i medesimi poteri di accesso, di richiesta dati, ecc. degli uffici tributari, “ai fini istruttori e nei limiti dei fatti dedotti dalle parti”, nonostante sia stata inserita dal legislatore solamente nel primo comma, riguarda in realtà tutti i poteri istruttori del giudice, in quanto il rito tributario, essendo stato codificato sulla stessa linea di quello civile, si rifà più allo schema processuale di tipo “dispositivo” che di tipo “inquisitorio” e pertanto non è consentito al giudice di estendere nessuna delle proprie facoltà istruttorie al di fuori del perimetro dei fatti dedotti dalle parti (si segnala che sul punto non mancano autorevoli distinzioni di opinione, specialmente in dottrina, ove diversi autori sostengono il carattere inquisitorio dei poteri istruttori, sebbene con il limite dei fatti dedotti dalla parte);
- stante in carattere dispositivo del processo tributario, l’esercizio dei poteri istruttori non deve mai essere svolto con finalità “esplorative” e non deve nemmeno essere esercitato per “sopperire” all’onere probatorio che incombe sulle parti (e cioè, nella maggior parte dei casi, sull’ufficio resistente, essendo questo attore in senso sostanziale mentre il contribuente lo è solamente in senso formale). Tramite i poteri istruttori, il giudice può dunque integrare gli elementi probatori delle parti, eventualmente anche a tutela della parte che si trova nell’impossibilità di esibire i documenti (ad esempio, perché ha ripetutamente chiesto al sostituto la consegna della certificazione delle ritenute operate, senza avere riscontro), ma non può “sostituirsi” alle parti nel loro specifico dovere di provare i fatti su cui si fonda l’eccezione o nel loro dovere di rispettare i termini perentori di deposito dei documenti probatori (ad esempio, non è legittimo che un giudice ordini il deposito di un documento alla parte che non vi abbia provveduto entro i termini perentori di legge, anche se sul punto si registrano orientamenti giurisprudenziali propendenti per la tesi opposta).
Si sottolinea, infine, come la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 109/2007, si sia pronunciata anch’essa a favore del carattere dispositivo del processo tributario e abbia altresì chiarito che il giudice tributario, ove lo ritenesse necessario, ha anche il potere di applicare l’articolo 213 c.p.c. e di chiedere d’ufficio alle pubbliche amministrazioni, perfino diverse da quelle che sono parti del giudizio, informazioni o documenti utili ai fini della chiarificazione dei risultati probatori prodotti dai mezzi di prova forniti dalle parti.
Anche in tal caso, nel rispetto della natura dispositiva del processo tributario, tale potere non deve tuttavia essere esercitato per supplire ad un’inerzia della parte nell’assolvimento del proprio onere probatorio.