16 Febbraio 2015

Poveri marescialli

di Michele D’Agnolo
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È ormai evidente a tutti che la crisi che stiamo vivendo non è una crisi congiunturale, ma una crisi sistemica. Il modello economico e sociale capitalistico è profondamente scosso e messo in discussione dalla globalizzazione. Si richiedono riforme epocali in tutte le aree e situazioni. Il mondo delle professioni è particolarmente esposto alla discontinuità posta dal progresso tecnologico.

A ben vedere stiamo vivendo nei servizi professionali lo stesso “ribaltone” che abbiamo studiato ai tempi di scuola e che passa sotto il nome di rivoluzione industriale.

L’informatica rende quasi indifferente il luogo dove una prestazione intellettuale viene svolta e quindi ci pone in competizione diretta con il mondo. Allo stesso tempo, operazioni che prima richiedevano ore e ore di lavoro vengono svolte in maniera sempre più automatizzata da elaboratori elettronici sempre più veloci ed economici. E quello che è accaduto negli anni scorsi alla cassiera del supermercato purtroppo sta accadendo anche ai nostri contabili. Prima digitava i prezzi, poi passava i prodotti sul lettore a codici a barre. Ora lo facciamo noi. Fra cinque anni basterà uscire col barattolo in tasca e sarà lui a contabilizzarsi da solo.

Le normative, i costumi sociali, le scelte economiche dei consumatori e dei clienti sono continuamente cangianti e sempre alla ricerca della migliore occasione disponibile. Tutto avviene ad una velocità che ci fa sentire sempre e comunque inadeguati.

In questo quadro l’unica capacità competitiva che può avere un certo valore per uno studio professionale è la velocità di apprendimento. E di adattamento.

Uno studio professionale o un’impresa possono competere efficacemente solo se riescono ad apprendere prima e meglio delle altre ciò che sta accadendo sul mercato e come fare per soddisfare i loro clienti, procurandosi al meglio le risorse umane, materiali e finanziarie indispensabili per poterli servire. È un mercato severo, che non fa prigionieri. Non esistono più rendite di posizione. Nessun dorma, perché occorre correre sempre.

Per un professionista, una situazione continuamente cangiante e la condanna all’apprendimento continuo dovrebbero essere ormai nel suo dna. È una scelta di vita del tutto diversa fare una professione invece che un semplice lavoro. Dico dovrebbero perché troppo spesso, invece, colleghi giovani e meno giovani ritengono di essere “arrivati” perché sanno chiudere un bilancio o stendere un dichiarativo.

In realtà, l’aggiornamento continuo è più facile dell’apprendimento continuo. Apprendere vuol dire imparare a fare cose diverse da un tempo perché cambiano le esigenze del mercato. Lo sanno bene gli odontoiatri, che stanno inventando nuove prestazioni visto che i bambini, grazie all’educazione alimentare e alla migliore alimentazione non hanno più carie. 

Ma se questo è vero per un professionista, non è così per i nostri dipendenti di studio.

Generalmente, queste persone sono state prese completamente in contropiede dai nuovi paradigmi economici e sociali. Pensavano di imparare un mestiere, di entrare in uno studio e poi di farci la pensione. Hanno prenotato una gita in bici e si ritrovano obbligatoriamente su un toboga. Ed infatti è arrivata la “fregatura” dell’apprendimento continuo anche per loro.

La gran parte dei lavori tecnici sono diventati molto più complessi di una volta. E portano con sé rilevanti responsabilità. L’idraulico di una volta doveva conoscere una serie di nozioni tecniche. Oggi i modelli di caldaia cambiano ogni due anni e la normativa è in continua evoluzione. Gli impianti che una volta ideava direttamente sono progettati da appositi professionisti, i periti termotecnici.

Spesso le persone che hanno scelto di lavorare in uno studio professionale anelavano ad un lavoro fisso e ad una certa tranquillità mentale, ad un certo rassicurante menage e invece sono stati catapultati, loro malgrado, nella competizione globale.

Come spiegare al nostro personale di studio che migliaia di imprese stanno morendo e che il lavoro che svolgevano fino a ieri viene svolto altrettanto bene da soggetti che hanno un costo aziendale di un terzo rispetto al loro. Come fare a convincerle ad adottare comportamenti proattivi nella ricerca continuativa di una sempre maggiore efficacia, efficienza, produttività e cortesia?

Purtroppo molti credono che sia colpa nostra se il telefono dello studio non squilla più. Hanno ragione, ma solo in parte.

Alle volte queste persone riescono a cavalcare la tigre. Magari per capacità innate o curiosità personali hanno mantenuto una rilevante capacità di apprendimento e di adattamento. Altre volte, invece, non riescono a cambiare le proprie abitudini lavorative. Neanche a seguito di adeguati interventi formativi. È il caso delle persone non particolarmente abili sul piano informatico, che oggi i nostri clienti non sono più disposti a remunerare. È anche il caso delle persone brave ma burbere, che i nostri clienti non sono più disposti a sopportare, neanche se ci curassero la salute bene come il dottor House.

È il caso delle persone che non riescono a lavorare in squadra o a cambiare le proprie abitudini organizzative. Ecco che in questi casi lo studio non riesce a fronteggiare la competizione e dopo aver tentato di cambiare il comportamento di queste risorse dovrà probabilmente rinunciare al loro apporto. Con lo stesso dispiacere con cui vediamo sciogliersi realtà economiche che ritenevamo indissolubili. Con lo stesso stupore con cui constatiamo il successo di iniziative virtuali nel mondo del web e dei social media.

È proprio come se fossimo stati catapultati nottetempo in un altro mondo, le cui regole non c’entrano nulla col passato. Chi le dominerà farà la stessa fortuna di chi all’inizio degli anni settanta si prese la briga di studiare l’Iva. Chi non le comprenderà sarà travolto.

Ma i nostri marescialli, i dipendenti senior che tanto hanno fatto negli anni scorsi per il benessere dei nostri studi sacrificandosi, facendo le nottate sui dichiarativi come e più di noi, lasciando i bambini fuori di scuola per soddisfare i clienti, spesso non sono solo inadeguati nelle metacompetenze e nelle competenze tecniche e relazionali. Non solo sono e saranno sostituiti giorno dopo giorno dal computer. Sono anche tallonati dai praticanti e dai giovani professionisti, che spesso prendono il loro posto a minori costi per lo studio e trasformando costi fissi in costi variabili. Assicurando allo studio livelli di responsabilità e di apprendimento più adeguati alla complessità tecnica, informatica e relazionale dei nostri tempi.

Come fare a convincerli che non siamo noi incapaci di trovare nuovo lavoro ma che è il mondo che ci crolla ogni momento sotto i piedi come nella saga dell’era glaciale? Per dirla con Giorgio Squinzi, nessuno si diverte a licenziare le persone. Se avessimo inventato noi il mondo, avremmo cercato di farlo un poco meno triste.

Onore ai caduti, e lunga vita ai superstiti.