Prelazione agraria estesa agli Iap – parte seconda
di Luigi ScappiniCome già segnalato, il collegato agricoltura è stato finalmente approvato e, tra le varie misure introdotte, vi è l’estensione della prelazione agraria, una volta prerogativa riservata ai soli coltivatori diretti, anche agli Iap, a condizione, tuttavia, che sul fondo oggetto di vendita non vi siano insediati mezzadri, coloni, affittuari, compartecipanti, enfiteuti coltivatori diretti.
Il trasferimento di fondi agricoli, infatti, oltre che alle regole comuni previste per le “ordinarie” compravendite immobiliari, quali la verifica sulla proprietà e la libertà da ipoteche, pignoramenti e altri vincoli, i controlli sulla regolarità catastale e sulla destinazione urbanistica, soggiace anche al diritto di prelazione agraria, disciplinato dalla L. 590/1965 e dalla successiva L. 817/1971.
La prelazione ha ad oggetto il fondo agricolo inteso quale terreno destinato all’esercizio di un’attività agricola e quindi comprensivo anche degli eventuali fabbricati rurali abitativi e strumentali.
La ratio della prelazione agraria prende spunto, a bene vedere, dalla stessa Costituzione che all’articolo 47 afferma come la Repubblica favorisca l’accesso alla proprietà diretta coltivatrice.
Tale scopo è perseguito, da un lato con la richiamata prelazione agraria e dall’altro, ad esempio, con la concessione di un regime agevolato in sede di compravendita dei terreni, consistente nell’applicazione delle imposte di registro e delle ipocatastali in misura ridotta rispetto all’ordinaria (la cd. agevolazione per la piccola proprietà contadina).
La prelazione agraria non è unitaria ma, al contrario, si ramifica in varie forme alternative.
L’articolo 8, comma 1, L. 590/1965 prevede l’applicazione della prelazione agraria in caso di trasferimento a titolo oneroso o di concessione di enfiteusi di fondi sui quali è in essere un contratto di locazione contratto con un coltivatore diretto al rispetto di determinati requisiti, tra i quali si segnala la conduzione del fondo medesimo da almeno un biennio e l’estensione dello stesso che non deve essere superiore al triplo della superficie corrispondente alla capacità effettiva del coltivatore diretto e della sua famiglia.
A questa forma di prelazione agraria se ne affianca un’ulteriore prevista dall’articolo 7, L. 817/1971, ed è su questa che interviene il collegato agricoltura, introducendo il comma 2-bis.
Questa forma di prelazione agraria ha ad oggetto sempre un fondo rustico, ma in questo caso viene concessa ai confinanti del fondo, a condizione tuttavia che sullo stesso non sussista un contratto locativo con un coltivatore diretto.
In questa seconda fattispecie, è ancor più evidente lo scopo del Legislatore consistente nel creare strumenti idonei all’ampliamento delle aziende agricole attraverso l’accorpamento di fondi finitimi in modo da incrementare la produttività.
Per quanto attiene ai requisiti richiesti al confinante, lo stesso deve essere un coltivatore diretto, e da adesso uno Iap, la cui qualifica derivi anche dal terreno confinante. In altri termini, il confinante deve coltivare direttamente il fondo confinante da almeno un biennio (senza che rilevi il titolo con cui detto fondo confinante viene condotto, sia esso a titolo di proprietà o di locazione).
Qualche considerazione deve essere fatta in merito al concetto di confinante in quanto il Legislatore non ha dato una definizione compiuta di quando due fondi si possano considerare confinanti o contigui.
Nella pratica operativa si erano andati a sviluppare due differenti correnti di pensiero, la prima che considerava due fondi come confinanti solamente nel caso di effettiva adiacenza fisica e materiale, mentre la seconda, li considerava tali anche quando gli stessi sono separati da elementi quali strade e corsi d’acqua.
La giurisprudenza prevalente, in ossequio alla sentenza della Corte di cassazione a SS.UU. n. 2582/1988, si è allineata con la prima teoria e quindi si devono considerare esclusi dalla facoltà di esercizio del diritto di prelazione i confinanti in ragione di una mera “contiguità funzionale”, che occorre allorquando i fondi separati potrebbero essere accorpati.
Tuttavia, un’interpretazione rigida di tale concetto di contiguità non deve essere sistematicamente avallata, ma deve essere calata nella realtà del singolo caso concreto altrimenti si potrebbe prestare a una forma di abuso.
Si pensi a fondi che sono divisi tra di loro da una striscia di terra. In questo caso, se si volesse utilizzare una stretta interpretazione dell’indirizzo dato dalla giurisprudenza di legittimità, non si potrebbe che concludere per una inapplicabilità del diritto di prelazione agraria.
Tuttavia, si arriverebbe alla medesima conclusione se questa striscia di terra fosse il frutto di un frazionamento eseguito a cura del cedente il fondo rustico “conteso”?
In questo caso non si sarebbe in presenza di una volontaria e pretestuosa operazione tesa a eludere il possibile esercizio di un diritto assegnato ex lege a un determinato soggetto?
Ecco che allora si dovrà aver riguardo alle caratteristiche proprie del terreno in quanto, come affermato in giurisprudenza, se il fondo (la striscia di terra) non è comunque idoneo, per dimensione o forma, alla coltivazione autonoma, il diritto di prelazione sussiste a prescindere dall’assenza di un’effettiva adiacenza fisica e materiale (Cassazione n.6282/2008), al contrario, se il terreno avrà una propria autonomia funzionale il diritto prelazione sarà precluso (Cassazione n.7503/1990).
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