5 Maggio 2015

Prelievi in chiaroscuro nella voluntary

di Nicola Fasano
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Come era facilmente prevedibile la stagione della voluntary si sta inevitabilmente sovrapponendo con quella, “più classica” dichiarativa, facendo aumentare la pressione sugli studi professionali chiamati a gestire e coordinare le due procedure.

È evidente, infatti, che, ad oggi, se da un lato la sanatoria della collaborazione volontaria riguarda i periodi di imposta ancora accertabili fino al 2013, dall’altro impatta direttamente su Unico 2015 relativo al periodo di imposta 2014 nel quale l’RW per le attività e gli investimenti esteri dovrà essere regolarmente compilato, così come gli eventuali quadri reddituali connessi.

Tuttavia, posto che, nella maggior parte dei casi, si sta attendendo che vengano dipanate alcune questioni cruciali (in primis quella sul raddoppio penale dei termini di accertamento che dovrebbe venire escluso per gli anni oramai decaduti grazie alla imminente attuazione della legge delega) ed elaborando la voluminosa documentazione bancaria riguardante gli immancabili conti correnti e relativi dossier, non si deve essere certo dei chiromanti per concludere che il pagamento delle imposte fra giugno e luglio, nonché la presentazione della dichiarazione 2015 a settembre, nella maggior parte dei casi, in via prudenziale non potrà tenere conto degli assets esteri, ma dovrà essere successivamente sanata con apposito ravvedimento. Ciò quanto meno se si intende aspettare che, una volta presentata l’istanza e la relativa documentazione per la voluntary, l’Ufficio notifichi gli inviti al contraddittorio e l’atto di contestazione da cui non emergano differenti ricostruzioni rispetto a quelle preventivate che potrebbero impattare direttamente sulla compilazione dell’Unico 2015.

Una questione delicata su cui sarebbe opportuno che l’Amministrazione finanziaria si pronunciasse in modo chiaro nella prossima preannunciata Circolare, è quella relativa ai prelevamenti non affrontata nella Circolare n. 10/E/2015.

Allo stato attuale l’approccio che sembra doversi seguire è quello che i prelievi, a differenza degli apporti non giustificati, non determinino un maggior reddito imponibile, quanto meno se il contribuente è una persona fisica non imprenditore, ma resterebbe la necessità di motivare e giustificare il prelievo, specificando, fra l’altro, l’utilizzo delle somme, soprattutto se utilizzate per pagamenti in nero in favore di terzi, con un conseguente inevitabile effetto-delazione nei confronti del percettore (si pensi per esempio al caso in cui le somme prelevate siano state impiegate per ristrutturare un immobile).

Il problema, evidentemente, si pone soprattutto con riguardo agli importi prelevati più significativi, poiché quelli più modesti (e con cadenze non frequentissime) dovrebbero essere facilmente giustificabili con le ordinarie esigenze familiari.

Il punto fondamentale è quello di capire le conseguenze della mancata o “fumosa” giustificazione dei prelievi rilevanti, posto che, in molti casi, si tratta di somme prelevate negli anni più recenti, compreso il 2014 (almeno fino a quando le banche estere lo hanno consentito), per la “psicosi” derivante dall’insistenza delle voci sull’imminente scambio di informazioni, poi puntualmente attutato con Stati come Montecarlo o Svizzera in forza dei noti accordi intervenuti. Tali somme, fra l’altro, potrebbero essere state trasferite, per esempio, in cassette di sicurezza italiane e non necessariamente spese, fermo restando che, in tali casi, non si è nelle condizioni di dimostrare analiticamente che i soldi presenti nella cassetta di sicurezza italiana sono proprio quelli prelevati. Da questo punto di vista, peraltro, le dichiarazioni rese dal contribuente nella procedura di collaborazione volontaria in ordine all’utilizzo delle somme prelevate dovrebbe far fede fino a prova contraria a carico dell’Amministrazione finanziaria, anche in considerazione dello specifico reato di dichiarazioni non veritiere di cui si renderebbe responsabile il contribuente che non dichiari il vero (cosa sempre assolutamente sconsigliabile).

D’altro canto, non trattandosi di procedura induttiva, ma, al contrario, analitica non si vede sulla base di quale disposizione (sia quelle della voluntary che quelle extra-voluntary come l’art. 32, D.P.R. n. 600/73 in tema di indagini finanziarie, tipicamente presuntiva) si possa arrivare a conclusioni diverse da quelle sopra formulate.

È bene tuttavia, data la frequenza con la quale si riscontrano situazioni di questo tipo, che l’Amministrazione finanziaria intervenga in modo chiaro sul punto anche per evitare applicazioni difformi fra i vari Uffici.