Prelievi: norma nuova, problemi vecchi
di Maurizio Tozzi – Comitato Scientifico Master Breve 365Mediante l’articolo 7-quater del D.L. 193/2016, il legislatore ha effettuato due interventi nell’articolo 32 del D.P.R. 600/1973, concernente le indagini finanziarie, da un lato, eliminando la parola “compensi”, in aderenza a quanto stabilito dalla Corte Costituzionale con la sentenza 228 del 2014, secondo cui l’applicabilità della presunzione accertativa in riferimento ai prelievi non è applicabile ai professionisti e, dall’altro, cercando di attenuare la problematica per quanto riguarda i titolari di reddito d’impresa, prevedendo una sorta di soglia di esenzione dalla presunzione in argomento anche per i prelievi effettuati nel mondo del reddito d’impresa, per un ammontare non superiore a mille euro e comunque con un tetto massimo di 5 mila euro mensili.
Proprio questa modifica normativa, però, rischia di creare non pochi problemi interpretativi, a partire dalla prima necessaria questione circa l’applicazione temporale, ossia se trattasi di norma sostanziale, dunque applicabile per il futuro, ovvero abbia carattere procedurale e dunque sia riferita a tutti gli accertamenti ancora da emanare, potendosi addirittura eccepire una sorta di applicazione interpretativa estesa anche a tutti gli accertamenti già emanati e ancora non divenuti definitivi.
I soli aspetti incontrovertibili sono che:
- la presunzione accertativa riferita ai prelievi riguarda ormai i titolari di reddito d’impresa;
- i prelievi inferiori a mille euro giornalieri e comunque entro il limite di 5 mila euro mensili non sono rilevanti.
Se questi sono i punti fermi, non può negarsi che le problematiche sono molteplici. Invero, nel voler davvero dare un senso alla presunzione riferita ai prelievi, impedendo soprattutto usi (o abusi) in termini accertativi, era forse necessario prevedere in capo all’ufficio procedente l’obbligo di riconoscere un’adeguata percentuale di costi al contribuente, di fatto stabilendo la sola possibilità di emanazione dell’avviso di accertamento induttivo ex secondo comma dell’articolo 39 del D.P.R. 600/1973. Così non è stato e senza tanti giri di parole è evidente che la prima implicazione è che si tratta di una sorta di “soglia di allarme”, da tradurre, per quanto non “politicamente corretto”, nella seguente affermazione: se non si superano gli ammontari fissati dal legislatore, si possono dormire sonni tranquilli. Una simile impostazione è davvero difficile da comprendere, posto che sembra quasi una sorta di “tracciato” di impunità, con l’implicito assunto che entro i predetti limiti tutto è lecito ed è ammesso.
La norma però si offre a non poche criticità. Detto dell’applicazione temporale, la prima osservazione che viene spontanea è la totale assenza di differenze in funzione delle dimensioni del contribuente. Si prescinde dai fatturati dichiarati, trovando la previsione indifferente applicazione sia nei confronti dei contribuenti minimi che in relazione ai soggetti giuridici. Dopo di che nemmeno sono poste distinzioni circa l’applicazione della presunzione nei confronti dei c.d. “soggetti terzi”. Trattasi delle casistiche in cui, in forza di presunzioni qualificate, l’Amministrazione finanziaria procede al controllo dei conti formalmente intestati a soggetti terzi collegati al contribuente sottoposto al controllo. Nel tempo, la Cassazione ha ammesso tali indagini nei confronti dei soci, dei familiari (sia dell’imprenditore che dei medesimi soci), dell’amministratore e di altri soggetti potenzialmente collegati al contribuente. La presunzione utilizzata è che tali soggetti non hanno solitamente altre entrate finanziarie e dunque il conto corrente può essere ricondotto ad utilizzi nell’interesse del contribuente accertato, sia per quanto concerne i versamenti, che relativamente ai prelevamenti. I dubbi al riguardo sono almeno due:
- l’assenza di una qualsiasi previsione di contenimento della presunzione posto che trattasi comunque di conti correnti ad utilizzi nella sfera personale, del pari di quanto accade per i professionisti. Peraltro non sono nemmeno previsti ammontari minimi che si ritiene siano destinati proprio agli utilizzi personali;
- la non previsione della corretta applicazione della disposizione quando, ad esempio, la sommatoria dei prelievi in capo ai soggetti terzi supera i limiti di mille euro al giorno o di 5 mila mensili. Non è dato sapere, infatti, se il limite deve essere interpretato in riferimento al singolo contribuente accertato ovvero in relazione ad ogni titolare del conto corrente di cui si discute: in termini pratici, se si procede a controllare il conto del contribuente e del coniuge, in presenza nello stesso giorno di due prelievi di 800 euro effettuato sui differenti conti, non è chiaro se detti importi siano da sommarsi (perché la verifica riguarda un solo contribuente) o sono da considerare singolarmente (ossia in rapporto al titolare del conto).
D’altra parte proprio il conteggio dei limiti di cui si discute rischia di far diventare tutto molto farraginoso. Cosa accade se il conto è cointestato? Il limite sembra essere riferito al singolo contribuente e dunque dovrebbe procedersi ad una imputazione del prelievo proporzionale: di fatto un prelievo di 1.500,00 euro in capo a due coniugi aventi due separate attività sembra debba essere attribuito al 50% a ciascuno.
Ancora, bisogna comprendere cosa accade nelle ipotesi in cui a cavallo di due mesi si procede ad un rilevante prelievo superiore a 5.000,00 euro complessivi. Ad esempio, 4 prelievi di 900 euro ciascuno dal 28 al 31 gennaio e 4 prelievi di ulteriori 900 euro dal 3 al 6 febbraio. In totale trattasi di 7.200,00 euro di prelievi in poco più di dieci giorni, ma stando al tenore letterale della disposizione non sembrano sussistere problemi di sorta.
Sorge poi il dubbio del destino dei prelievi quando si ha lo sforamento di 5.000,00 euro nel mese considerato: sembrerebbe che in tale circostanza qualsiasi singolo prelievo diviene “sospetto”, anche di entità effimera, a prescindere dall’importo, spettando dunque al contribuente l’onere di fornire un’adeguata giustificazione. Tema peraltro rimasto del tutto inevaso da parte del legislatore, laddove ancora non è dato sapere come si possa ritenere formata la prova difensiva contraria, avendosi aperto contrasto tra chi sostiene che è sufficiente indicare il nominativo del beneficiario e chi, invece, ritiene che siano necessari elementi probatori più circostanziati. Pur ricordando che alcun pronunce di merito si sono espresse per la validità della fase difensiva che si è limitata a richiamare i nominativi dei soggetti destinatari dei prelievi, è di tutta evidenza che la disponibilità di ulteriore documentazione, come ad esempio i documenti fiscali che attestano l’utilizzo del prelievo o ancora l’autocertificazione da parte del beneficiario che dichiara di aver ricevuto gli importi prelevati dal contribuente, rappresenta un vero “toccasana” in termini di idonea difesa.
In conclusione non può sottolinearsi che si è persa una valida occasione per fare chiarezza nell’ambito applicativo della disposizione. Per il futuro non resta che adeguarsi al messaggio invero poco “consono” di dover rispettare le soglie e in pratica fare quel che si vuole entro detti limiti (una sorta di zona franca di evasione), attendendo il sopraggiungere degli indispensabili chiarimenti.
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