Prescrizione del credito e deduzione della perdita: le contraddizioni dell’Agenzia
di Fabio GarriniIn caso di inattività nella riscossione del credito, la perdita che ne deriva per l’impresa creditrice non sarebbe deducibile, in quanto tale atteggiamento sarebbe ascrivibile ad una sorta di liberalità in favore del debitore: questa la posizione dell’Agenzia espressa nella risposta all’istanza di interpello n. 197 del 18.06.2019.
Quella espressa dall’Amministrazione Finanziaria in tale documento è una posizione non condivisibile, che di fatto rende non operativa la presunzione contenuta nell’articolo 101, comma 5, Tuir relativamente ai crediti non più incassabili a causa dello spirare dei termini previsti per la prescrizione.
La perdita su crediti e le presunzioni
La rilevazione in bilancio di una svalutazione o di una perdita su crediti è elemento valutativo di pertinenza dell’organo amministrativo che, in sede di redazione del bilancio, deve considerare la probabilità di incasso delle somme, secondo le indicazioni del principio contabile Oic 15.
Ai fini fiscali, per ridurre i margini di discrezionalità, sono posto due norme:
- l’articolo 106 Tuir che vincola la deducibilità della svalutazione entro un determinato importo parametrato all’ammontare dei crediti iscritti in bilancio;
- l’articolo 101, comma 5, Tuir che limita il diritto alla deduzione delle perdite alla verifica degli “elementi certi e precisi”.
Con riferimento a tale ultima previsione, onde ridurre l’alea dell’individuazione dei presupposti per la deduzione, sono poste alcune situazioni ove tali elementi certi precisi si presumono esistenti:
- una prima riguarda i crediti vantati verso debitori assoggettati a procedure concorsuali, o nei confronti di imprese che hanno concluso degli accordi di ristrutturazione dei debiti omologati a norma dell’articolo 182-bis o piani attestati ex articolo 67, comma 3, L.F.;
- una seconda è prevista per i crediti di “modesto” importo, per i quali, una volta decorso il termine di sei mesi rispetto alla scadenza di pagamento, si presumono esistenti gli elementi certi e precisi per la deduzione della relativa perdita. A tal fine, l’articolo 101, comma 5, Tuir considera di modesta entità i crediti di importo non superiore a euro 2.500 (ovvero 5.000 per le grandi imprese, intendendosi per tali quelle con un volume d’affari o ricavi non inferiori a 100 milioni di euro);
- una terza ipotesi riguarda i crediti prescritti. In relazione a tale ipotesi la norma letteralmente recita: “Gli elementi certi e precisi sussistono inoltre quando il diritto alla riscossione del credito è prescritto.”
Al riguardo va ricordato che:
- la prescrizione è un istituto previsto dall’articolo 2934 cod. civ. secondo il quale “ogni diritto si estingue per prescrizione, quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge”;
- il successivo articolo 2943 cod. civ. afferma che “la prescrizione è interrotta dalla notificazione dell’atto con il quale si inizia un giudizio (…) dalla domanda proposta nel corso di un giudizio (…). La prescrizione è inoltre interrotta da ogni altro atto che valga a costituire in mora il debitore”.
Questa ultima previsione è stata oggetto di analisi da parte dell’Amministrazione finanziaria con la recente risposta ad interpello n. 197/2019.
Senza ripercorrere il complesso caso che ha portato all’istanza di interpello, risulta di interesse la motivazione che ha portato l’Agenzia a respingere il diritto alla deduzione dei crediti prescritti. In particolare, viene affermato che il diritto alla deduzione della perdita su crediti sarebbe subordinato alla verifica di una eventuale inattività del creditore.
Tale posizione viene assunta richiamando un passaggio contenuto nella circolare 26/E/2013, il documento di prassi di riferimento in tema di perdite su crediti, pubblicato a seguito della modifica apportata all’articolo 101, comm 5, Tuir ad opera del D.L. 82/2012.
Il citato documento di prassi chiarisce infatti che: “(…) resta salvo il potere dell’Amministrazione di contestare che l’inattività del creditore abbia corrisposto ad una effettiva volontà liberale”.
Tale passaggio era stato peraltro richiamato nella successiva circolare 10/E/2014.
Nella risposta ad interpello 197 in commento, l’Agenzia conferma la posizione in precedenza espressa, negando la deducibilità di alcune perdite su crediti a causa del comportamento di inattività dell’istante nella riscossione dei crediti scaduti, comportamento che corrisponderebbe ad una volontà liberale.
La giustificazione resa dall’Agenzia a tale posizione risiede nel fatto che “la società istante, pur effettuando numerosi incontri e solleciti per l’incasso dei crediti insoluti, non ha posto in essere atti o comportamenti interruttivi della prescrizione, adducendo come motivazione la circostanza di privilegiare il mantenimento dei rapporti commerciali basati su una “gestione informale” direttamente da parte del sig. (…), in considerazione delle prassi di mercato in (…), Paese nel quale si attribuisce valore a un approccio fiduciario.”
Non si può non notare come sia quantomeno contradittorio richiedere che il contribuente ponga in essere comportamenti interruttivi della prescrizione, quando si sta valutando la deduzione di un credito prescritto; se per attivare tale forma di deduzione non è sufficiente sollecitare il debitore, ma occorre promuovere atti interruttivi della prescrizione, è di tutta evidenza che non può mai configurarsi una prescrizione provvista di effetti fiscali.
A ben vedere, se una totale inattività del creditore che conduce alla prescrizione del credito può essere letta come atto di liberalità, allo stesso modo non può dirsi quando la prescrizione avvenga a seguito di una documentata attività di sollecito, anche se poi non risulti attivata una attività giudiziaria per la riscossione.
La posizione assunta dall’Agenzia in relazione a tale presunzione nella deduzione delle perdite su crediti pare quindi eccessivamente restrittiva e deve essere oggetto di ripensamento.