Prescrizione del recupero accisa energia elettrica per comportamenti omissivi
di Gabriele DamascelliL’articolo 57 del TUA (Testo Unico Accise – D.Lgs. 504/1995), comma 3, secondo alinea, nella parte in cui non prevede una data certa di inizio della decorrenza del termine di prescrizione delle obbligazioni tributarie e delle sanzioni correlate al loro inadempimento nel caso di comportamenti omissivi del contribuente produce di conseguenza, sotto il profilo difensivo, un irragionevole effetto discriminatorio per il contribuente tenuto al pagamento dell’accisa sull’energia elettrica.
L’assenza di un dies a quo “certo” di inizio del computo di decorrenza della prescrizione del credito tributario – e della decadenza dalla pretesa sanzionatoria, per effetto del rinvio operato dall’articolo 20, comma 1, D.Lgs. 472/1997 – nella misura in cui viene ricollegato alla semplice “scoperta dell’illecito”, ha l’effetto di esporre a tempo indeterminato il contribuente alle pretese del fisco, potenzialmente avanzabili anche a distanza di decenni dall’insorgenza dell’obbligo rimasto inadempiuto, in violazione dell’articolo 24 Cost..
Queste, in sintesi, le conclusioni a cui è giunta la Corte Costituzionale nella sentenza n. 200/2021 con cui, pur condividendo le ragioni del rinvio operato dalla Corte di Cassazione (ordinanze n. 5483 e 5484 del 2020) e riconoscendo palese l’inadeguatezza del regime dell’articolo 57, comma 3, secondo periodo del TUA rispetto alle “esigenze” poste dall’articolo 24 Cost., conclude di non potervi porre rimedio, riconoscendo fondata ed assorbente l’eccezione d’inammissibilità con la quale il Presidente del Consiglio dei ministri sottolinea che la reductio ad legitimitatem auspicata dal rimettente postula un intervento manipolativo-additivo, la cui scelta è prioritariamente affidata alla discrezionalità del legislatore.
Ciononostante la Consulta afferma che, se è vero che è rimesso alla valutazione discrezionale del legislatore, anche in forza del principio della polisistematicità dell’ordinamento tributario, il ragionevole adattamento ai vari tributi di istituti comuni, quali la prescrizione e la decadenza della pretesa fiscale (v. sentenze Consulta n. 375/2002 e n. 201/2020), combinandole e modulandole in relazione agli specifici interessi di volta in volta coinvolti, pur tuttavia sottolinea che “quanto evidenziato in ordine al diritto di difesa rende ineludibile un tempestivo intervento legislativo volto a porvi rimedio” per non lasciare il contribuente inerme dinnanzi all’azione dell’Erario per un tempo indefinito ed indefinibile.
All’origine della questione vi era un ricorso in Cassazione proposto dalle Dogane, in relazione alla violazione, non controversa, dell’articolo 59 del TUA, da parte di una società che aveva omesso la preventiva denuncia di attivazione di un’officina di produzione di energia elettrica, punita con una sanzione amministrativa dall’articolo 59, comma 1, lett. a), del TUA, ipotesi in relazione alla quale è applicabile l’articolo 57, comma 3, secondo alinea del TUA, quale comportamento omissivo che giustifica il recupero da parte delle Dogane mediante avvisi di pagamento per omessa denuncia, omesso versamento del diritto di licenza, omesso versamento dell’accisa e delle addizionali comunali e provinciali sull’energia elettrica, nonché relative sanzioni, nel termine prescrizionale decorrente, appunto, dalla scoperta dell’illecito.
La Cassazione ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale ritenendo che, se da un lato era appurato che la società avesse attivato alcune officine di produzione di energia elettrica senza la preventiva denuncia e licenza di esercizio, con conseguenti obblighi tributari formali e sostanziali (articoli 52, comma 1 e 53 comma 1, ultima parte del TUA vigenti ratione temporis) e conseguenti relative sanzioni (articolo 59, comma 1, lett. a, TUA), di contro non era comprensibile per quale “motivo razionale discretivo” i soggetti debitori di tale accisa, che fossero inadempienti ad obblighi dichiarativi omologhi a quelli cui sono tenuti i soggetti passivi delle imposte dirette, dell’Iva e del registro, dovessero, diversamente da quelli soggetti a tali ultimi tributi, essere esposti ad un’azione accertatrice/sanzionatoria temporalmente indefinita.
La Cassazione ha osservato altresì che, nonostante l’esistenza di una disposizione analoga all’articolo 57, comma 3 alinea 2, di portata vieppiù generale, sia rinvenibile nell’articolo 2941 n. 8), cod. civ., di contro ha rilevato che nella legislazione speciale tributaria sono rintracciabili disposizioni diverse che, per l’omogeneità della materia disciplinata, devono ritenersi più propriamente utilizzabili come “paradigmi normativi equiordinati (tertia comparationis)” (concetto poi ripreso dalla Consulta in ordinanza).
Ci si riferisce in particolare a quanto previsto per le principali imposte erariali quali l’articolo 57, comma 2, D.P.R. 633/1972, l’articolo 43, comma 2, D.P.R. 600/1973 e l’articolo 76, comma 1, D.P.R. 131/1986, le cui discipline, riferisce la Consulta, anche con riferimento ai soggetti passivi che si siano sottratti agli obblighi dichiarativi su di essi gravanti, ancorano ragionevolmente la decorrenza del periodo entro il quale l’amministrazione può far valere le proprie pretese ad un termine iniziale certo, coincidente con la data di scadenza dell’obbligo inadempiuto, ossia con la consumazione dell’illecito omissivo, anche nel caso di condotta particolarmente lesiva, quale quella dell’evasore totale.
Ha evidenziato la Cassazione che, nella disciplina delle principali imposte erariali, i soggetti passivi che si siano sottratti agli obblighi di natura dichiarativa non sono esposti all’azione accertatrice (e sanzionatoria) per un tempo indefinito (ovvero a partire dalla data, eventuale ed incerta, in cui sia stata scoperta la loro omissione), bensì per un periodo di tempo ben determinato (decorrente da un giorno certo), superato il quale l’Ente impositore non può più agire per il recupero dell’imposta evasa.
Nelle tre ipotesi sopra richiamate il dies a quo è stato individuato dal legislatore nella data di scadenza dell’obbligo inadempiuto e quindi della consumazione dell’illecito fiscale omissivo, con altresì ragionevole ed eventuale maggior durata del termine ordinario entro il quale l’amministrazione deve procedere alla riscossione in considerazione della indiscutibile maggiore decettività/lesività della condotta dell’evasore totale.
L’“incongruenza” normativa di cui all’articolo 53, comma 3, alinea 2 del TUA è altresì avvalorata, come si deduce dall’ordinanza di rinvio della Cassazione, dall’antinomia presente nello stesso TUA, il cui articolo 15, contenente la disciplina generale della prescrizione dei diritti di accisa, a seguito della radicale modifica resa dall’articolo 4 ter D.L.193/2016 (conv. in L. 225/2016), stabilisce “ora” che “Il termine di prescrizione per il recupero del credito da parte dell’Agenzia è di cinque anni ovvero, limitatamente ai tabacchi lavorati di dieci anni”, risultando così “depurato” nel nuovo testo normativo dalla previsione “eccezionale” del testo previgente riguardante il caso dei “comportamenti omissivi”, con la fissazione del termine iniziale della prescrizione a partire dalla data della loro scoperta.
Il testo dell’articolo 57 del TUA, che regola specificamente la prescrizione dell’accisa sull’energia elettrica, è invece rimasto immutato e ciò, appunto, alimenta ancor più i dubbi di incongruenza/irrazionalità sistematica, anche settoriale, e dunque di incostituzionalità della norma.
Non si comprende infatti per quale ragione, riferisce la Cassazione, quanto al decorso della prescrizione delle obbligazioni d’imposta (e relative sanzioni), vi sia un diverso e deteriore trattamento per l’accisa sull’energia elettrica rispetto agli analoghi tributi disciplinati dal TUA.
Di qui il rinvio alla Consulta stante la chiarezza del dato testuale che non consentiva, secondo la Cassazione, di percorrere un’interpretazione alternativa – costituzionalmente orientata – della norma in esame.
L’articolo 57, comma 3, TUA, in relazione alla prescrizione dei diritti erariali inerenti l’accisa sulla produzione dell’energia elettrica (e dei correlati poteri sanzionatori), prevede una regola ed un’eccezione: la prima, espressamente, fissa il dies a quo di decorrenza del termine prescrizionale nella “data in cui è avvenuto il consumo”; la seconda, appunto in via di eccezione, sancisce che la prescrizione “opera dal momento della scoperta del fatto illecito” nel caso in cui esso consista in “comportamenti omissivi”.
La Corte Costituzionale ha da un lato accolto l’eccezione d’inammissibilità del Presidente del Consiglio dei ministri come sopra argomentato ma dall’altro ha ricordato come lei stessa abbia già avuto modo di chiarire (sentenza n. 280/2005) e ribadire (sentenza n. 11/2008 e ordinanza n. 178/2008) che l’articolo 24 Cost. impedisce di lasciare il contribuente assoggettato all’azione del fisco per un tempo indeterminato (sentenza n. 356/2008), ancorché condizionata dal mancato compimento di una specifica attività posta dalla legge a carico del contribuente medesimo.
La Corte Costituzionale ha poi ricordato, in ossequio all’esigenza di certezza nei rapporti giuridici, di aver già avallato, come costituzionalmente orientata, l’interpretazione volta a porre un termine prescrizionale determinato all’esercizio dell’azione di recupero dei tributi doganali (sentenza n. 247/2011) e di considerare essenziale la previsione di un preciso limite temporale per l’esercizio del potere sanzionatorio dell’amministrazione, in chiave di tutela dell’interesse soggettivo alla definizione della propria situazione giuridica (sentenza n. 151/2021).
In conclusione con la sentenza n. 200 del 26.10.2021 la Corte costituzionale ha così affermato che “… la norma censurata, identificando nella scoperta dell’illecito il termine di decorrenza della prescrizione del credito tributario – e della decadenza dalla pretesa sanzionatoria, per effetto del rinvio operato dall’articolo 20, comma 1, del d.lgs. n. 472 del 1997 – non individua in maniera certa il dies a quo di inizio del computo, così esponendo a tempo indeterminato il contribuente alle pretese del fisco, potenzialmente avanzabili anche a distanza di decenni dall’insorgenza dell’obbligo rimasto inadempiuto, in violazione dell’articolo 24 Cost. Ad aggravare il pregiudizio del diritto di difesa, quantomeno con riferimento al credito dell’imposta, concorrono l’esclusiva previsione di un termine di prescrizione – suscettibile, a differenza di quello di decadenza, di interruzione e, quindi, eventuale fonte di ulteriore indeterminatezza – nonché la circostanza che l’obbligo di conservazione documentale, funzionale a contraddire le pretese del fisco, sia previsto per un tempo molto più breve (artt. 2220 del cod. civ. e 8, comma 5, della L. n. 212/2000 nonché l’articolo 15, comma 6 del TUA)”.