Prestazioni di servizi e accordi transattivi con clienti UE: regole Iva
di Clara PolletSimone DimitriNell’ambito dei rapporti commerciali può capitare di incappare in una contestazione con la controparte dell’operazione.
Nella risposta all’istanza di interpello n. 356/E del 19.05.2021 l’Agenzia affronta il trattamento ai fini Iva delle somme dovute a seguito della stipula di un accordo transattivo intercorso tra un operatore italiano ed un soggetto intracomunitario.
Trattasi, nello specifico, di una società italiana che aveva stipulato due distinti accordi di fornitura con un cliente stabilito in un altro Stato membro, aventi ad oggetto la realizzazione e la fornitura di sistemi di comunicazione satellitare. La consegna dei beni, la cui produzione è stata affidata alla società italiana (istante), doveva avvenire presso un magazzino ubicato in Italia, in ottemperanza agli accordi contrattuali tra le parti (Purchase Agreement).
Il cliente Ue aveva inoltre versato degli acconti negli anni 2015 e 2016, fatturati regolarmente con Iva dal fornitore italiano, attesa la consegna della merce su suolo nazionale.
Si ricorda che è dovuta l’imposta nel territorio dello Stato, ai sensi dell’articolo 7-bis D.P.R. 633/1972, quando manca la movimentazione materiale del bene dall’Italia allo Stato membro del cliente Ue (non trova applicazione la non imponibilità Iva prevista dall’articolo 41 D.L. 331/1993).
Nel 2018 il cliente intracomunitario comunica al fornitore la volontà di interrompere la fornitura, da cui scaturisce una contestazione tra le parti, conclusasi con:
- un accordo transattivo (denominato Settlement Agreement) volto a dirimere ogni reciproca pretesa riconducibile ai due preesistenti Purchase Agreements nonché a stabilire che – dopo il periodo di sospensione – ogni rapporto commerciale tra le parti risulterà regolato da un nuovo accordo;
- un nuovo accordo di fornitura, la cui regolamentazione tecnica ed economica non è in alcun modo influenzata da quanto accaduto, diretto a regolamentare esclusivamente i nuovi rapporti.
L’accordo transattivo prevede inoltre che il cliente corrisponda alla società interpellante una somma forfettaria, a fronte della reciproca rinuncia a qualsiasi pretesa riconducibile agli intercorsi rapporti di cui ai Purchase Agreements e a copertura dei costi sostenuti dall’istante fino al momento della sospensione della fornitura.
L’Agenzia delle entrate viene interpellata per conoscere il trattamento Iva da riservare alle somme concordate nell’accordo transattivo, che il soggetto passivo Iva italiano dovrà incassare in attuazione del predetto Settlement Agreement.
Nella risposta 356/E/2021 le Entrate ricordano che occorre, in primo luogo, indagare sulla “funzione economica” delle suddette somme verificando:
- se le stesse costituiscano l’effettivo corrispettivo di una cessione di beni e/o di un servizio fornito nell’ambito di un rapporto giuridico caratterizzato da prestazioni sinallagmatiche, condizione sintomatica della sussistenza di nesso diretto tra la cessione di beni e/o il servizio reso e il controvalore ricevuto (sentenze 8 marzo 1988, causa 0102/86, causa C-16/93, causa C-174/00, causa C-210/04);
- ovvero se le stesse siano versate a titolo di liberalità oppure abbiano natura meramente risarcitoria (carenza del presupposto oggettivo).
Con riguardo alla nozione di prestazione di servizi l’articolo 24, comma 1, della Direttiva comunitaria n. 112/2006 stabilisce che “si considera prestazione di servizi ogni operazione che non costituisce una cessione di beni“.
Il successivo articolo 25, comma 1 prevede, altresì, che “una prestazione di servizi può consistere, tra l’altro, in una delle operazioni seguenti: (…) b) l’obbligo di non fare o di permettere un atto o una situazione (…)“.
Nell’ordinamento domestico il suddetto articolo 25 è stato trasfuso nell’articolo 3, comma 1, D.P.R. 633/1972, che qualifica come prestazioni di servizi, ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, “le prestazioni verso corrispettivo dipendenti (…) in genere da obbligazioni di fare, di non fare e di permettere quale ne sia la fonte“.
I caratteri distintivi della prestazione di servizi possono essere così riepilogati:
- la configurabilità di un rapporto giuridico da cui scaturiscano le attribuzioni patrimoniali;
- la reciprocità delle attribuzioni, data dalla sussistenza di un nesso diretto tra il servizio fornito al destinatario ed il compenso da costui corrisposto (Cassazione, sentenza n. 23668 del 01.10.2018 e sentenza n. 14406 del 09.06.2017, oltre che Corte Giustizia sentenza del 22 febbraio 2018, causa C-182/17).
Con riferimento alla fattispecie rappresentata nell’istanza di interpello emerge che la somma corrisposta dal cliente Ue a fronte dell’impegno assunto di rinunciare a qualsiasi ulteriore pretesa, consente di qualificare la somma in argomento come il corrispettivo previsto per l’assunzione di un obbligo di non fare/permettere posto a carico della società istante; tali indicazioni valgono a prescindere dal fatto che l’importo dovuto sia parametrato in base alle attività svolte e ai costi sostenuti dalla società istante fino alla data di sospensione dei contratti di fornitura.
Pertanto, l’operazione rientra tra i servizi generici eseguiti nei confronti di un soggetto passivo Iva residente in un altro Paese europeo, escluso da imposizione nel territorio dello Stato italiano, da fatturare ai sensi dell’articolo 7-ter D.P.R. 633/1972 (si veda anche la risposta all’istanza di interpello n. 145/E del 03.03.2021).
In ottica di fatturazione elettronica la stessa richiede l’indicazione delle “Natura N2.1 – operazioni non soggette ad Iva ai sensi degli artt. da 7 a 7-septies del D.P.R. n.633/1972”.