Il prestito obbligazionario non configura abuso del diritto
di Luigi FerrajoliLa Commissione Tributaria Provinciale di Pavia con la sentenza n. 313 del 10 maggio 2016 depositata il 30 maggio 2016 ha esaminato la fattispecie del prestito obbligazionario alla luce della contestazione formulata dall’Ufficio delle entrate in merito ad una presunta assenza di economicità nell’emissione dello strumento da parte della Società e conseguentemente alla natura abusiva dell’operazione.
Questa la vicenda sottoposta all’esame dei primi giudici: una Società emetteva un prestito obbligazionario che i propri soci sottoscrivevano ad un tasso superiore a quello bancario.
L’Ufficio riteneva che non esistessero valide ragioni economiche per l’emissione del prestito, recuperando a tassazione, per conseguenza, le quote degli interessi imputate in bilancio negli esercizi di competenza a partire dall’anno di emissione del prestito obbligazionario, deliberato il 23 luglio 2008 e con scadenza nell’anno 2013.
Dall’esame della contabilità si rilevava che la differenza tra l’incassato con l’emissione del prestito e l’ammontare delle disponibilità era stata utilizzata dalla società nell’esercizio della propria attività.
Avverso la motivazione dell’avviso di accertamento relativo all’annualità 2012 la Società ricorrente argomentava illustrando le ragioni logico-economiche sottese alla operazione contestata. In particolare chiariva che i soci avevano preferito evitare il prestito bancario ed in diritto affermava che, in ogni caso, a seguito dell’intervento del D.L. n. 179/2012 (c.d. decreto sviluppo due) l’articolo 32, comma 8, aveva mitigato le limitazioni specifiche alla deducibilità degli interessi passivi relativi a titoli obbligazionari e similari disposte dall’articolo 3, comma 115, della L. n. 549/1995 stabilendo che queste non si applicassero alle cambiali finanziarie nonché alle obbligazioni e titoli similari emessi da società non quotate, purché i beneficiari effettivi fossero – come nella specie – residenti in Italia, indipendentemente dal fatto che fossero o meno soci dell’emittente.
Inoltre la Società affermava che i tassi praticati dal sistema bancario risultavano comunque meno vantaggiosi.
L’Ufficio costituitosi nel giudizio di primo grado controdeduceva rilevando che le obbligazioni emesse, al tasso del 7%, erano state sottoscritte tutte dai soli soci legati da vincoli di parentela, che non era stata data prova degli investimenti effettuati con le risorse reperite con l’emissione delle obbligazioni e che comunque poteva provvedersi altrimenti per ottenere la liquidità, ad esempio con un finanziamento infruttifero, come del resto era stato fatto successivamente alla scadenza del prestito.
Dopo aver lamentato la violazione del principio del contraddittorio, che veniva tuttavia esclusa dalla Commissione sul presupposto dell’assenza di un obbligo in capo all’Amministrazione finanziaria di instaurazione del contraddittorio preventivo in presenza di accertamenti scaturiti da c.d. indagini a tavolino, la Società chiedeva l’annullamento del rilievo per inesistenza dell’abuso del diritto.
La Commissione, decidendo nel merito della sussistenza di una fattispecie abusiva, richiamava l’ormai noto indirizzo della Corte di Cassazione che vieta l’uso distorto di strumenti giuridici, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, al fine di ottenere un’agevolazione o un risparmio di imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione.
Pur tuttavia, nella fattispecie di causa la Commissione di merito rilevava l’assenza di elementi sufficienti per considerare la deduzione degli interessi passivi effettuata in abuso del diritto specificando, in merito alla corretta ripartizione dell’onere probatorio, che fosse onere dell’Ufficio evidenziare la norma violata ed il vantaggio tributario conseguito.
I primi giudici concludevano infatti precisando che “in merito all’assenza di valide ragioni economiche, l’Ufficio sostiene, senza produrre alcuna dimostrazione, che il finanziamento è superfluo, non necessario, non collegato a necessità gestionali”, sicché rileva a contrario il Collegio che “tale prova non può riscontrarsi nell’operazione alternativa corrispondente ad un prestito infruttifero, né nella deduzione di interessi, consentita dall’ordinamento. Né i tassi utilizzati sono più onerosi rispetto a finanziamenti bancari”.
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