Presunzione di distribuzione di utili extracontabili: profili penali per i soci
di Stefano RossettiLa presunzione di distribuzione degli utili extracontabili da parte delle società a ristretta base partecipativa prevede, in estrema sintesi, che i costi neri (o i ricavi non tassati) dalla società accertata rappresentino utili percepiti dalla compagine sociale.
La presunzione, così strutturata, si fonda sull’assunto che la società, a cui viene rettificato il reddito imponibile, sia “a ristretta base partecipativa” di cui i soci, ragionevolmente, ne rappresentino i dominus nella misura in cui riescano ad occultare, a loro vantaggio, materia imponibile in capo alla stessa.
Tale presunzione che, ad oggi, è di natura semplice, poiché di origine giurisprudenziale, dovrebbe essere tipizzata nell’ambito della delega fiscale oggetto di attuazione.
Tralasciando in questa sede le diverse criticità e contraddizioni, che caratterizzano la presunzione per come oggi è strutturata, nel contesto di questo contributo si intende dare evidenza alle ricadute che essa può avere sul piano penale, prendendo spunto da un recente arresto di legittimità (Cassazione n. 41579/2023).
In estrema sintesi, la Corte di Cassazione ritiene che il socio – che non indica nella propria dichiarazione i redditi da partecipazione (seppur in base al meccanismo presuntivo) – commette il reato di dichiarazione infedele, di cui all’articolo 4, D.Lgs 74/2000, a mente del quale: “Fuori dei casi previsti dagli articoli 2 e 3, è punito con la reclusione da due anni a quattro anni e sei mesi chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi inesistenti, quando, congiuntamente:
a) l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro centomila;
b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi inesistenti, è superiore al dieci per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è superiore a euro due milioni”.
L’Amministrazione finanziaria, nell’applicare la presunzione in rassegna, riqualifica gli utili extracontabili “incassati” dai soci come dividendi, applicando le relative regole di tassazione.
Si ricorda che la disciplina dei dividendi è stata modificata dall’articolo 1, commi 999–1006, L. 205/2017 (Legge di bilancio 2018), a decorrere dall’1.1.2018.
Antecedentemente la citata modifica, la tassazione dei dividendi dipendeva dalla tipologia di partecipazione posseduta dal socio; infatti:
- il possesso di una partecipazione qualificata (intendendosi per tale una partecipazione che, alternativamente, attribuisce una percentuale di diritti di voto esercitabili nell’assemblea ordinaria superiore al 20%, ovvero una partecipazione al capitale o al patrimonio superiore al 25%. Nel caso di titoli negoziati in mercati regolamentati, le citate percentuali sono rispettivamente del 2 e del 5 %), comportava la tassazione del dividendo secondo la logica del reddito complessivo, ma in misura parziale. L’importo del dividendo assoggettato a tassazione era pari:
- al 40% se l’utile oggetto di distribuzione era stato prodotto entro il 31.12.2007;
- al 49,72% se prodotto tra il 1.1.2008 e il 31.12.2016;
- al 58,14% se prodotto nel 2017.
- il possesso di una partecipazione non qualificata (diversa dalle precedenti) comportava la tassazione del dividendo in misura pari al 26%, mediante l’applicazione del meccanismo della sostituzione d’imposta che permetteva di esaurire il rapporto tributario (ritenuta alla fonte a titolo d’imposta).
Quindi, nel primo caso (possesso di una partecipazione qualificata), la responsabilità penale della mancata indicazione del reddito da partecipazione nella dichiarazione dei redditi ricadeva sul socio (come nel caso trattato dalla sentenza oggetto di commento), mentre nel secondo caso (possesso di partecipazione non qualificata), la richiamata responsabilità penale ricadeva sulla società a ristretta base sociale, nella persona del legale rappresentante, per la mancata indicazione nella dichiarazione fiscale dei sostituti d’imposta.
A decorrere dall’1.1.2018, la tassazione dei dividendi è stata oggetto di riforma: non è più necessario, infatti, distinguere tra partecipazioni qualificate e non qualificate poiché, a prescindere dall’entità della partecipazione, la tassazione del dividendo avviene mediante applicazione di una ritenuta a titolo d’imposta nella misura del 26%.
Ciò fa sì che, come nel caso delle partecipazioni non qualificate anteriforma, l’obbligo di effettuare la ritenuta fiscale, versarla, certificarla e dichiararla ricade in capo alla società.
Da ultimo si ricorda che, per effetto delle modifiche introdotte dal D.Lgs 158/2015, le dichiarazioni fiscali dei sostituti d’imposta rientrano nel perimetro applicativo dell’articolo 4, D.Lgs 74/2000: l’articolo 1, comma 1, lett. c), D.Lgs 74/2000, prevede, infatti, che per “dichiarazioni” si debba intendere “anche le dichiarazioni presentate in qualità di amministratore, liquidatore o rappresentante di società, enti o persone fisiche o di sostituto d’imposta, nei casi previsti dalla legge”.