12 Marzo 2018

Presunzione imponibilità capitali esteri: ribadita l’irretroattività

di Angelo Ginex
Scarica in PDF

La pretesa natura procedimentale della norma contenuta nell’articolo 12, comma 2, D.L. 78/2009 che pone, in favore dell’Amministrazione finanziaria, una più favorevole presunzione legale relativa rispetto al quadro normativo previgente, oltre a porsi in contrasto con il tradizionale criterio della sedes materiae, che vede abitualmente le norme in tema di presunzioni collocate nel codice civile e dunque di diritto sostanziale e non già nel codice di rito, porrebbe il contribuente, che sulla base del quadro normativo previgente non avrebbe avuto interesse alla conservazione di un certo tipo di documentazione, in condizione di sfavore, pregiudicandone l’effettivo espletamento del diritto di difesa, in contrasto con i principi di cui agli articoli 3 e 24 Cost.. È questo il principio affermato dalla Corte di Cassazione, con sentenza 2 febbraio 2018, n. 2662, conformemente al recente orientamento della giurisprudenza di legittimità.

Per comprendere meglio la portata della decisione dei giudici di legittimità e le argomentazioni da essi addotte, si rammenta che, ai sensi dell’articolo 12 D.L. 78/2009, gli investimenti e le attività di natura finanziaria detenuti in Paradisi fiscali, in violazione della legislazione sul monitoraggio fiscale:

  • si presumono costituiti, salva la prova contraria, mediante redditi sottratti a tassazione;
  • risultano essere soggetti alle sanzioni in misura doppia rispetto a quelle previste in via ordinaria dall’articolo 1 D.Lgs. 471/1997 (non sono quindi dal 90 al 180 per cento dell’imposta evasa, ma dal 180 al 360 per cento, e lo stesso dicasi per le più elevate sanzioni da omessa dichiarazione);
  • soggiacciono a un raddoppio dei termini per la notifica degli atti impositivi, e ciò vale sia per l’accertamento fondato sulla presunzione di cui sopra sia per le sanzioni da omessa/irregolare compilazione del quadro RW.

L’Agenzia delle Entrate, al fine di promuovere e giustificare la tesi positiva circa la possibilità di una applicazione retroattiva della disposizione indicata, ha costantemente configurato la stessa, anche nel caso di specie, come norma procedimentale: per tale ragione, essa ricomprenderebbe i fatti riguardanti periodi d’imposta anche precedenti alla sua entrata in vigore e, quindi, anche annualità antecedenti al 2009.

Al contrario, la maggior parte della giurisprudenza di merito e il recente orientamento della Suprema Corte, ribadito nella pronuncia in rassegna, sostiene la tesi negativa, affermando tout court la natura sostanziale della norma in questione, alla luce sia della collocazione sistematica delle norme sulle presunzioni sia dell’integrazione di una violazione del diritto di difesa costituzionalmente tutelato.

D’altronde, se si seguisse la tesi dell’Agenzia delle Entrate, il contribuente si troverebbe nella spiacevole e difficile situazione di dover far fronte all’onere probatorio relativamente ad attività ed investimenti effettuati e detenuti prima dell’entrata in vigore della norma che ha preveduto la presunzione iuris tantum in esame: palese risulta la violazione del diritto di difesa del soggetto accertato, il quale potrebbe non aver più la possibilità di provare la provenienza dei redditi che si presumono frutto di evasione.

Per quanto concerne infine il regime sanzionatorio previsto per le omissioni nel quadro RW, la Corte di Cassazione, dopo aver rilevato che le sanzioni irrogate ex articolo 5 D.L. 167/1990 trovano applicazione a prescindere dall’accertamento di evasioni fiscali connesse alle attività finanziarie detenute all’estero e non dichiarate, in quanto autonomo obbligo dichiarativo posto da una norma già in vigore, ha cassato la sentenza impugnata, rinviando al giudice di appello, affinché verifichi, in ragione del principio del favor rei, l’applicabilità del trattamento sanzionatorio più favorevole, giusta la novella dell’articolo 5 citato.

 

La dichiarazione dei redditi delle persone fisiche