Presunzione da redditometro e spese per il mantenimento dei cavalli
di Luigi FerrajoliCon la recente ordinanza n. 12889/2018, la Corte di Cassazione è stata chiamata, nuovamente, a esaminare la natura della presunzione introdotta dal redditometro.
La controversia ha tratto origine dal ricorso presentato da un contribuente avverso la sentenza della CTR Friuli Venezia Giulia che, confermando le statuizioni del Giudice di prime cure, aveva ritenuto legittimo l’accertamento sintetico condotto dall’Agenzia delle Entrate in relazione agli anni d’imposta 2007 e 2008.
Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente deduceva la violazione dell’articolo 38 D.P.R. 600/1973, nonché degli articoli 2727, 2729 e 2697 cod. civ., sostenendo che la CTR non avrebbe considerato che la presunzione nascente dalla disciplina in tema di redditometro ha qualifica di presunzione semplice e non legale.
La Suprema Corte, confermando un costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, ha sottolineato che “la disciplina del “redditometro” introduce una presunzione legale relativa, (cfr. Cass. nn. 17487/2016; 9549/2011; 4646/2011; 22936 e 22937/2007; 16284/2007) che dispensa l’Amministrazione da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva, giacché codesti restano individuati nei decreti (Cass. nn. 7284/2017; 21142/2016; 16912/2016; 9539/2013)”.
Pronunciandosi a censura di uno dei motivi di ricorso proposti dal contribuente, la Corte di Cassazione ha chiarito i confini della prova contraria offerta per opporsi alla ricostruzione presuntiva del reddito operata dall’Amministrazione finanziaria, precisando che “non è sufficiente dimostrare la mera disponibilità di ulteriori redditi o il semplice transito della disponibilità economica, in quanto, pur non essendo esplicitamente richiesta la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, si ritiene che il contribuente sia onerato della prova in merito a circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere (cfr. Cass. nn. 12207/2017; 1332/16; 22944/15; 14885/2015; 6396/2015; 25104/2014)”.
Alla luce di tali principi, la Corte di Cassazione ha ritenuto scevra da censure la pronuncia del Giudice d’appello e ha, pertanto, rigettato il ricorso.
L’orientamento confermato dai Giudici di legittimità offre un’illuminata interpretazione della modalità di applicazione del redditometro che, a decorrere dal periodo di imposta 2009, è entrato in vigore nella sua nuova versione.
A differenza del “vecchio” redditometro, che era basato sul concetto di “possesso” di alcuni beni individuati, il nuovo strumento si basa sulla “spesa sostenuta”, in tal modo garantendo che – unitamente alla categoria dei beni interessati – rilevino la tipologia dei servizi connessi e le spese sostenute.
Nel D.M. 16.09.2015, tra gli indicatori di capacità contributiva rilevanti ai fini del nuovo redditometro, vengono annoverate le “spese sostenute per cavalli”.
In linea generale, il possesso amatoriale di cavalli, a prescindere dagli obblighi fiscali connessi alle eventuali provvidenze UNIRE, costituisce, per la persona fisica, fattore-indice di capacità contributiva e funge da presupposto e base per la ricostruzione dell’eventuale maggior reddito con metodo sintetico.
L’articolo 38, comma 4, D.P.R. 600/1973 consente, infatti, all’Amministrazione Finanziaria di determinare presuntivamente (e sinteticamente) il reddito complessivo delle persone fisiche, in presenza di elementi indicativi di maggior reddito risultanti da fatti certi.
L’articolo 1, comma 5, D.M. 16.09.2015 stabilisce, al riguardo, che il calcolo dell’importo di spesa rilevante ai fini dell’accertamento cambia a seconda del fatto che il cavallo sia mantenuto in proprio (€ 5,00 al giorno per ciascun equide) o tenuto in pensione presso una struttura attrezzata (€ 10,00 al giorno per ciascun equide).
Nella previsione testuale del decreto non risulta tuttavia presente alcuna specificazione in ordine alla rilevanza o meno delle varie tipologie di equide, lasciando spazio all’interpretazione che assegnerebbe valore ai fini fiscali anche alle spese relative ai cavalli da passeggiata, detenuti ai fini dell’allevamento, o ai puledri, esclusi dalla previgente disposizione.
Della questione si è occupata, di recente, la Corte di Cassazione che, con l’ordinanza n. 22386/2017, ha statuito l’irrilevanza fiscale, ai fini del redditometro, del possesso di un cavallo adatto a una mera passeggiata (c.d. cavallo da passeggio).
La Suprema Corte, nella citata ordinanza, ha ribadito che “in tema di accertamento tributario ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, articolo 38, comma 4 (nel testo vigente “ratione temporis”), costituisce indice di particolare capacità contributiva, ai sensi del D.M. 10 settembre 1992, non il generico possesso di cavalli, ma solo di quelli “da equitazione” (categoria in cui sono compresi sia i cavalli da concorso ippico sia quelli da maneggio) o “da corsa”, in ragione della particolare cura ed addestramento che gli stessi richiedono. Sulla base di tale principio, si è escluso che costituisca indice di particolare capacità contributiva il possesso di cavalli qualificati come “fattrici adibiti a passeggiate” – cfr. Cass. n. 21335/2015”.
Per approfondire questioni attinenti all’articolo vi raccomandiamo il seguente corso: