Per quanto concerne poi il termine di deposito, ai sensi dell’articolo 32, comma 1, D.Lgs. 546/1992, è previsto che le parti possano depositare documenti fino a venti giorni liberi prima della data di trattazione.
Al riguardo, nel caso di documento illegittimamente o tardivamente acquisito in primo grado, in relazione agli “effetti” che ne derivano, occorre operare una distinzione tra giudizio di primo e secondo grado.
Con riferimento al giudizio di primo grado, si è affermato che la facoltà di produrre documenti entro venti giorni liberi prima della data di trattazione, pur in mancanza di una esplicita sanzione per la parte che intenda avvalersene, è da ritenersi sottoposta a un termine perentorio e, quindi, sanzionata a pena di decadenza (Cassazione n. 20523/2013).
Quanto al giudizio di secondo grado, la Cassazione ha più volte precisato che l’articolo 58, D.Lgs. 546/1992, fa salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti anche al di fuori degli stretti limiti consentiti dall’articolo 345 c.p.c., ma tale attività processuale deve essere esercitata – stante il richiamo operato dall’articolo 61, D.Lgs. 546/1992, alle norme relative al giudizio di primo grado – entro il termine previsto dall’articolo 32, comma 1, D.Lgs. 546/1992, ossia fino a venti giorni liberi prima dell’udienza, con l’osservanza delle formalità di cui all’articolo 24, comma 1, D.Lgs. 546/1992, dovendo tale termine ritenersi, anche in assenza di espressa previsione legislativa, di natura perentoria e, quindi, sanzionato con la decadenza, per lo scopo che persegue e la funzione (rispetto del diritto di difesa e del principio del contraddittorio) cui adempie (Cassazione n. 18103/2021).
Sotto altro profilo, poi, è stato chiarito che, laddove un documento venga acquisito attraverso un illegittimo ordine giudiziale di sua esibizione a fronte di una lacuna probatoria della parte che ne viene onerata, quest’ultima, nel susseguente giudizio d’appello, in applicazione dei principi della verità materiale e dell’agevolazione probatoria, può limitarsi al mero richiamo, senza che sia necessaria la sua produzione con le modalità di cui all’articolo 57 D.Lgs. 546/1992, in quanto il documento medesimo è già entrato nel fascicolo d’ufficio ed è a disposizione della controparte, che può esercitare il suo diritto di difesa (Cassazione n. 34756/2023).
Al riguardo, si rammenta che l’articolo 7, comma 3, D.Lgs. 546/1992, in passato, stabiliva che è sempre data alle “vecchie” commissioni tributarie facoltà di ordinare alle parti il deposito di documenti ritenuti necessari per la decisione della controversia. Tuttavia, tale previsione è stata poi abrogata dall’articolo 3-bis, comma 5, D.L. 203/2005.
Infine, con specifico riferimento al secondo grado di giudizio, occorre segnalare che la disciplina in materia è stata innovata dal D.Lgs. 220/2023, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 2 del 3.1.2024, il quale ha apportato tutta una serie di modifiche al processo tributario, in attuazione dei principi e criteri direttivi indicati nell’articolo 19, L. 111/2023 (Legge delega fiscale).
Nello specifico, il “nuovo” articolo 58, D.Lgs. 546/1992, in vigore dallo scorso 4.1.2024, stabilisce che non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che il collegio li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa, ovvero che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile.
Inoltre, è stabilito che non è mai consentito il deposito di deleghe, procure e altri atti di conferimento di potere rilevanti ai fini della legittimità della sottoscrizione degli atti, nonché di notifiche dell’atto impugnato ovvero degli atti che ne costituiscono presupposto di legittimità che possono essere prodotti in primo grado, anche ai sensi dell’articolo 14, comma 6-bis, D.Lgs. 546/1992.
Quindi, ora, dovrà necessariamente tenersi conto di tali disposizioni che innovano completamente la disciplina in tema di deposito di nuovi documenti in appello.