Profili di abuso del diritto nel trasferimento di azienda
di Paolo Meneghetti - Comitato Scientifico Master Breve 365Alla vigilia della entrata in vigore delle modifiche alla fiscalità delle operazioni straordinarie, modifiche che saranno apportate dal cosiddetto Correttivo Ires (in attesa di approvazione definitiva da parte dai rami parlamentari), un tema molto rilevante nella prassi quotidiana è aggiornare lo scenario normativo/interpretativo sul tema dell’abuso del diritto. Nella prossima giornata del Master Breve Euroconference 2024/2025 dedicata al trasferimento di azienda, sarà proposto un approfondimento specifico su tale tematica che è fondamentale per il professionista, al fine di consigliare (o meno) alcune operazioni fiscalmente interessanti collegate alla cessione della azienda tramite conferimento, fusione e scissione.
Diciamo subito che tra le tre operazioni succitate, quella che storicamente ha sempre generato maggiori problemi, in ordine alla tematica dell’abuso del diritto, è stata la scissione, ma anche in questo caso gli scenari sono cambiati rispetto al passato e sono destinati a cambiare ulteriormente, con l’entrata in vigore del nuovo articolo 173, Tuir, così come riformato dal citato Correttivo Ires (la cui entrata in vigore è prevista per le operazioni straordinarie eseguite nel periodo d’imposta di approvazione dell’intero decreto, verosimilmente il 2024).
Partiamo dalla operazione che ha sempre presentato le maggiori garanzie di inattaccabilità in merito al supposto abuso del diritto, cioè il conferimento di azienda, mentre fusione e scissione saranno analizzati in prossimi interventi. È noto a tutti che la cessione di azienda nella forma indiretta, cioè conferimento di azienda a beneficio di colui che potremmo definire il “sostanziale acquirente”, con successiva ed immediata cessione della partecipazione da parte della conferente, è sempre stato tutelato dal legislatore e riconosciuto come strumento fiscalmente idoneo a trasferire l’azienda. Non è un caso che, ormai da venti anni, l’articolo 176, comma 3, Tuir, impedisce l’utilizzo dello strumento “abuso del diritto” per contestare il riconoscimento fiscale dell’operazione di conferimento di azienda seguita da cessione con pex della partecipazione; tutto ciò eseguito al fine di contenere il gravame fiscale in un prelievo quasi simbolico (il 24% applicato sul 5% dell’importo plusvalenze della partecipazione ceduta con l’agevolazione di cui all’articolo 87, Tuir). Sul punto, il correttivo Ires non apporta particolari stravolgimenti; quindi, viene confermata la sostanziale tutela fiscale, che semmai va aggiornata alla luce di alcune recenti pronunce della Agenzia delle entrate.
In primo luogo, è interessante esaminare la risposta ad interpello 260/2023, in tema di conferimento di azienda e abuso del diritto sul fronte delle imposte sul reddito. La questione esaminata nell’interpello è certamente particolare, poiché la conferente una volta eseguito il conferimento verso NewCo, cede la partecipazione totalitaria in Newco ad una terza società, la quale poi gestirà direttamente l’azienda oggetto di conferimento tramite un contratto di affitto di azienda, nel quale parte locatrice è proprio NewCo. Ebbene, nonostante la particolare trama degli accordi societari tra le tre parti in causa (e non due come accade di solito nei normali conferimenti di azienda), la conclusione della Agenzia delle entrate è fermamente ancorata all’assunto che un trasferimento di azienda possa legittimamente avvenire sia in modo diretto (cessione) sia in modo indiretto (conferimento). Sotto questo profilo, è irrilevante che, poi, sia stato stipulato tra conferitaria ed acquirente delle partecipazioni un contratto di affitto di azienda. Viene, semmai, giustamente evidenziato che la legittimità fiscale della operazione sia condizionata dal fatto che oggetto del conferimento sia una azienda (e non singoli beni), ma questo è un elemento indiscutibile ritraibile chiaramente dal contenuto dell’articolo 176, comma 3, Tuir.
Ciò che appare, invece, non condivisibile (e per certi versi preoccupante) è l’inciso contenuto nell’Interpello in cui si afferma che: “….sempre che il prezzo di cessione delle partecipazioni nella conferitaria alla società istante sia congruo, ossia adeguato al valore di mercato dell’azienda precedentemente conferita, (circostanza in questa sede non appurabile in quanto estranea alle prerogative esercitabili in sede di interpello), l’operazione proposta rientra nell’ambito applicativo del comma 3 dell’articolo 176 ed è, ex lege, alle condizioni sopra riportate, sottratta al sindacato antiabuso”.
Da quale norma sia ricavabile l’assunto secondo cui l’iscrivibilità di detta operazione, nel novero di quelle inattaccabili dal tema dell’abuso del diritto, sia condizionata alla congruità del prezzo di cessione della partecipazione, è passaggio non chiaro. Non solo, potrebbero esservi motivi di opportunità negoziale a cedere la partecipazione ad un prezzo diverso dal valore normale, ma anche ammettendo questo riferimento all’articolo 9, Tuir ( il cui fondamento non è dimostrato ) resta una contraddizione di fondo: perché mai il legislatore avrebbe voluto sottrarre il conferimento di azienda con successiva cessione della partecipazione dal sindacato di legittimità da parte della Amministrazione finanziaria, se poi tale sindacato rientra sottoforma di potere di giudizio ( e contestazione) sull’ammontare del valore normale di cessione della partecipazione?
Occorre concludere che il passaggio in questione è stato scritto per una sorta di cautela, per così dire stilistica, da parte della Agenzia delle entrate, ma che non determini effetti negativi sul piano pratico.
Ma il conferimento di azienda pone il tema dell’abuso del diritto, non solo sul fronte della imposizione diretta, ma anche su quello, forse più insidioso, della imposizione indiretta. Anche su questo tema, tuttavia, possiamo segnalare una pronuncia (meno recente di quella sopra citata, ma certamente ancora attuale) dell’Agenzia delle entrate che dissolve i timori di possibili accertamenti poggianti sulla questione dell’illegittimo risparmio fiscale. In tale comparto impositivo, l’elemento particolarmente delicato è capire se la cessione della partecipazione, eseguita dopo il conferimento di azienda (partecipazione che rappresenta il controllo totalitario della conferitaria) può essere contestata come operazione simulata che nasconde una cessione di azienda. È noto che, mentre la cessione di partecipazione sconta imposta fissa di registro, la cessione di azienda sconta imposta proporzionale al 3%. Ebbene, la risposta ad interpello n. 196/2019 ha il pregio di azzerare eventuali timori accertativi, sia sul fronte dell’articolo 20, D.P.R. 131/1986, sia su quello dell’articolo 10 bis, L. 212/2000. Sul primo aspetto, l’Agenzia delle entrate non può che ricordare che, dopo l’intervento della L. 205/2017, l’articolo 20, Tur, comporta un’applicazione dell’imposta di registro in base al contenuto dell’atto, senza poter utilizzare, ai fini accertativi, elementi extra testuali, e il contenuto dell’atto di cessione della partecipazione verte indiscutibilmente su un trasferimento di immobilizzazione finanziaria soggetto a tassa fissa. Ma nemmeno utilizzando il più ampio raggio di azione dell’abuso del diritto si potrà invocare l’applicazione di imposta proporzionale. Infatti, viene riscontrato che con la cessione di quote in luogo della cessione di azienda viene conseguito un indubbio vantaggio fiscale, ma esso non risulta indebito e se non vi è indebito vantaggio, nemmeno non si può procedere con l’esame degli altri presupposti su cui poggia l’abuso del diritto.