Profili fiscali del passaggio generazionale d’impresa
di Angelo GinexL’espressione “passaggio generazionale”, ove riferita all’impresa, sta ad indicare una serie di operazioni idonee a garantire la successione, inter vivos o mortis causa, nell’esercizio di una realtà imprenditoriale.
A ben vedere, si tratta di una prima definizione alquanto generica, dalla quale emerge immediatamente che il perimetro delle fattispecie giuridiche interessate è assai ampio. Invero, esso comprende sia ipotesi di circolazione dell’azienda, sia ipotesi di circolazione delle partecipazioni societarie.
Inoltre, la finalità della trasmissione non corrispettiva o non onerosa dei beni di primo o secondo grado può essere realizzata attraverso diversi strumenti giuridici, tra loro anche variamente combinati.
Quindi, appare evidente come, all’interno di una vasta rosa di modalità operative differenti che è garantita dall’autonomia negoziale, diviene fondamentale individuare quelle più opportune a realizzare le volontà del singolo imprenditore.
Evidentemente, le ragioni delle scelte non saranno solo di natura fiscale, se si considera l’estrema delicatezza del momento del “passaggio generazionale” dal punto di vista personale, familiare, imprenditoriale.
Tuttavia, è indubbio che la variabile fiscale debba essere considerata all’interno delle ragioni che possono condurre ad una precisa scelta negoziale, onde evitare di far gravare (in termini sia di rischio sia di carico impositivo) di un peso fiscale eccessivo la successione imprenditoriale.
Restringendo il campo di indagine alla fiscalità indiretta del passaggio generazionale, occorre evidenziare che l’articolo 3, comma 4-ter, D.Lgs. 346/1990, contempla un’importante agevolazione fiscale.
In particolare, è previsto che i trasferimenti, effettuati anche tramite i patti di famiglia a favore dei discendenti e del coniuge, di aziende o rami di esse, di quote sociali e di azioni non sono soggetti all’imposta ove siano soddisfatte le seguenti condizioni:
- In caso di quote sociali e azioni di soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lettera a), Tuir (quindi, nel caso di società di capitali), il beneficio spetta limitatamente alle partecipazioni mediante le quali è acquisito o integrato il controllo ai sensi dell’articolo 2359, comma 1, numero 1), cod. civ.
- Il beneficio si applica a condizione che gli aventi causa proseguano l’esercizio dell’attività d’impresa o detengano il controllo per un periodo non inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento, rendendo, contestualmente alla presentazione della dichiarazione di successione o all’atto di donazione, apposita dichiarazione in tal senso.
Il mancato rispetto della condizione del controllo di diritto comporta la decadenza dal beneficio, il pagamento dell’imposta in misura ordinaria, della sanzione amministrativa prevista dall’articolo 13, D.Lgs. 471/1997, e degli interessi di mora decorrenti dalla data in cui l’imposta medesima avrebbe dovuto essere pagata.
Tra le varie pronunce della suprema Corte intervenute a chiarire i diversi dubbi della disciplina in esame, certamente meritevole di attenzione è l’ordinanza n. 6082/2023, ove è stato precisato che l’esenzione prevista dall’articolo 3, comma 4-ter, D.Lgs. 346/1990, presupponendo non solo l’acquisizione del controllo della società e la sua detenzione per almeno un quinquennio, ma anche l’esercizio dell’impresa da parte della società partecipata, non spetta in caso di donazione ai figli di partecipazioni sociali in società di mero godimento immobiliare, poiché il trasferimento del controllo di società, che non hanno un’effettiva ed operativa attività economica, non è equivalente al trasferimento di un’azienda.
Quindi, stando ai chiarimenti offerti dalla giurisprudenza di legittimità, che poi sono i medesimi della prassi amministrativa (risposta a interpello n. 552/2021), l’esenzione dall’imposta sulle successioni e donazioni del trasferimento di partecipazioni in ambito familiare dovrebbe essere riferita alle sole ipotesi di società che esercitano un’effettiva attività d’impresa.
Si ritiene che tale posizione giurisprudenziale non sia affatto corretta sul piano del metodo interpretativo, in quanto introduce una condizione limitativa non prevista e non voluta dalla disposizione in esame. La norma si pone il fine di favorire situazioni giuridiche differenti, ma comunque meritevoli in termini costituzionali, per cui è necessario distinguere tra passaggio generazionale di aziende e passaggio generazionale nell’ambito delle compagini societarie.
Secondo un’interpretazione letterale (ex articolo 12 delle preleggi), la quale invita l’operatore prima di tutto ad attribuire il senso fatto palese dal “significato proprio delle parole secondo la connessione di esse” e dalla “intenzione del legislatore”, quando oggetto del trasferimento sono partecipazioni in società di capitali, deve sussistere la condizione dell’acquisizione o dell’integrazione del controllo ai sensi dell’articolo 2359, comma 1, n. 1), cod. civ.
Invece, l’ulteriore requisito della prosecuzione per almeno un quinquennio dell’attività di impresa da parte dei beneficiari è disposto evidentemente solo con riferimento alla fattispecie del trasferimento di azienda. Tale assunto trova conferma nel fatto che, per la fattispecie del trasferimento di quote di società di capitali, è prevista la diversa condizione del mantenimento quinquennale del controllo.
In definitiva, quindi, occorrerà vagliare con attenzione anche questo aspetto ogni qualvolta si pianifichi il passaggio generazionale di una società di capitali holding.