28 Agosto 2024

Profili fiscali nella successione e donazione di opere d’arte e collezioni

di Luigi A. M. Rossi
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La disciplina fiscale del trasferimento a titolo gratuito, inter vivos o mortis causa, di opere d’arte e oggetti da collezione presenta delle interessanti sfaccettature derivanti dalle peculiarità che caratterizzano l’impianto tributario del nostro ordinamento giuridico. Complice una normativa estremamente vantaggiosa contenuta nel Testo Unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni (D.Lgs. 346/1990), si può affermare che la fiscalità derivante da successione o donazione, consente di strutturare strategie di pianificazione patrimoniale particolarmente efficienti salvaguardando il valore di un asset, quale quello delle opere d’arte e delle collezioni private, che sta acquistando una quota di rilevanza strategica e culturale sempre maggiore nei patrimoni delle famiglie. 

Diverse sono le prospettive dalle quali può essere inquadrato il tema del trasferimento a titolo gratuito delle opere d’arte, a seconda che si tratti di fenomeni di natura successoria, donativa, in relazione alle quali trovano applicazione le regole generali stabilite dal D.Lgs. 346/90 (c.d. Testo Unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni), ovvero casistiche particolari che, sempre all’interno del medesimo Decreto, investono il trasferimento di beni culturali, in relazione ai quali il Legislatore ha adottato una politica di favore volta a promuoverne la conservazione.

Nel presente contributo[1] si procederà a una illustrazione dettagliata dei principali profili dell’imposta di successione e donazione rilevanti, per il trasferimento di opere d’arte e oggetti da collezione.

Principi generali dell’imposta di successione

L’imposta di successione e donazione è un tributo che colpisce il trasferimento di beni e diritti a seguito della morte di una persona (successione) o tramite un atto tra vivi a titolo gratuito (donazione). Uno degli aspetti più rilevanti e complessi della sua applicazione è il criterio di collegamento territoriale, ossia le regole che determinano quando e come questa imposta deve essere applicata in funzione del luogo di residenza del defunto o del donante, e della ubicazione dei beni trasferiti.

Il criterio di collegamento territoriale

L’ambito territoriale di applicazione dell’imposta di successione e donazione è regolato all’articolo 2, D.Lgs. 346/1990 (c.d. Tusd), il quale prevede al, comma 1 che “l’imposta è dovuta in relazione a tutti i beni e diritti trasferiti, ancorché esistenti all’estero”, delimitando territorialmente la pretesa impositiva italiana in base alla residenza del de cuius, o del soggetto donante alla data dell’apertura della successione o della donazione[2].

Il principio contenuto nella norma, noto come “principio dell’imposizione globale” definisce il perimetro territoriale di applicazione dell’imposta prevedendo che questa, quindi, sia dovuta in relazione a tutti i beni e i diritti trasferiti per donazione o mortis causa, ovunque risultino situati, nell’ipotesi in cui il de cuius o il soggetto donante sia residente in Italia.

Questo principio garantisce che lo Stato italiano possa esercitare la propria potestà impositiva su tutte le attività patrimoniali della persona residente, indipendentemente dalla loro ubicazione fisica.

Ai sensi del successivo comma 2 del medesimo articolo, nell’ipotesi in cui alla data dell’apertura della successione o a quella della donazione il defunto o il donante non era residente nello Stato, l’imposta è dovuta limitatamente ai beni e ai diritti ivi esistenti.

Tale principio c.d. della territorialità, prevede, quindi, che, qualora il de cuius o il donante risieda all’estero al momento dell’apertura della successione, l’imposta è dovuta in relazione ai soli beni e diritti trasferiti che risultino “esistenti” – ovverosia materialmente collocati – in territorio italiano.

Questo approccio limitativo, basato sull’ubicazione dei beni, restringe il campo di applicazione dell’imposta ai soli beni che si trovano fisicamente o giuridicamente in Italia.

Occorre evidenziare che, come correttamente osservato da attenta dottrina, l’attuale impianto normativo prescinde del tutto dal concetto di “cittadinanza”: i principi impositivi di cui all’articolo 2, Tusd, sono infatti fondati solo sulla “allocazione” territoriale dei beni e diritti caduti nella successione di un “qualunque” cittadino. Ciò che rileva è solo il rapporto tra bene/diritto e residenza del defunto, ed è solo con riferimento a quest’ultima che la tassazione sarà “globale” (perché appunto riferita a tutti i beni e diritti devoluti, anche se posti all’estero) o, in mancanza, riferita solo a quelli “esistenti” nel territorio dello Stato[3].

In precedenza, e cioè nel sistema previgente rispetto al D.P.R. 637/1972, la normativa fiscale (articolo 20, R.D. 3270/1923) era informata al principio della lex rei sitae, che comportava la soggezione al tributo dei soli beni situati in territorio italiano, chiunque fosse il successore, dovunque fosse la residenza dell’autore della successione, qualunque fosse la sua cittadinanza e dovunque fosse avvenuto il suo decesso[4].

Con riferimento, invece, ai casi di successioni o donazioni che coinvolgono beni situati all’estero, qualora il defunto o il donante fosse residente in Italia, si pone il problema della doppia imposizione internazionale. Per evitare questo, l’Italia, com’è noto, ha stipulato alcune Convenzioni bilaterali con altri Paesi[5], che prevedono misure per eliminare o attenuare la doppia imposizione, con le quali sono state stabilite regole che attribuiscono il diritto di tassazione al Paese di residenza del defunto o del donante o al Paese dove sono situati i beni, e prevedono meccanismi di credito d’imposta per le imposte pagate all’estero.

In sintesi, per l’applicazione delle imposte di successione e di donazione, ciò che rileva è solo la residenza del de cuius o del donante, e, per l’effetto, il defunto o donante straniero residente in Italia è trattato oggi come il cittadino italiano residente e il cittadino italiano residente all’estero è trattato al pari di qualsiasi cittadino straniero, non residente in Italia[6].

Avverso tale impostazione, non vanno sottaciute le critiche sollevate dalla dottrina, che ha ritenuto irragionevole che l’applicazione dell’imposta in parola sia condizionata dalle caratteristiche personali del de cuius o del donante e non, come sarebbe più logico, dalle caratteristiche personali dell’erede o donatario: difatti, se il presupposto dell’imposizione fiscale è l’arricchimento di cui il beneficiario della successione/donazione profitta, il criterio di tassazione dovrebbe fondarsi sulle sue caratteristiche personali, giacché è nel patrimonio di questi che entra ricchezza, e il relativo criterio soggettivo avrebbe dovuto avere riguardo alla residenza di quest’ultimo e non a quella del de cuius o del donante[7].

Per l’applicazione dell’imposta di successione e donazione, il Tusd fa espresso riferimento, quindi, alla residenza del defunto o del donante[8], concetto che l’articolo 43, comma 2, cod. civ., definisce “luogo in cui la persona ha la dimora abituale”, intendendosi come “dimora” la casa di abitazione[9].

Atteso che la legge successoria deve essere interpretata anche con criteri che consentano di dedurre modalità operative caratterizzate da sufficiente certezza, tanto per il contribuente, che deve adempiere il proprio obbligo tributario, quanto per l’amministrazione, che deve effettuare la propria attività di controllo, parrebbe corretto prediligere un approccio di tipo formale, che consenta di individuare la residenza come risultante dai registri anagrafici, rispetto a quello sostanziale, l’effettiva dimora, indipendentemente dalle risultanze anagrafiche[10] (sebbene, comunque, rappresentando la residenza una situazione di fatto, essa può provarsi con qualunque mezzo e non soltanto, quindi, con i certificati anagrafici).

A ogni modo, è il medesimo concetto della residenza che, ai sensi dell’articolo 6, comma 1, Tusd, funge da elemento in grado di individuare l’ufficio competente per l’applicazione dell’imposta e al quale deve essere presentata la relativa dichiarazione di successione.

Nell’ipotesi in cui, invece, in cui il de cuius fosse residente all’estero: “l’ufficio finanziario competente a ricevere la dichiarazione di successione è quello nella cui circoscrizione era stata fissata l’ultima residenza italiana[11]

I criteri di determinazione del valore delle opere cadute in successione

Nell’ambito del Tusd, articolo 19, il valore della base imponibile “relativamente ai beni e ai diritti compresi nell’attivo ereditario” è determinato “assumendo il valore venale in comune commercio” (alla data di apertura della successione o al momento della donazione), intendendosi come tale il valore medio di mercato, ovvero il prezzo che si potrebbe ottenere vendendo l’opera d’arte in una transazione tra un venditore e un acquirente liberi da vincoli particolari.

Questo principio mira a garantire che l’imposta sia calcolata su un valore realistico e attuale dei beni trasferiti, valore che, per le opere d’arte e i beni da collezione, può variare considerevolmente a seconda di diversi fattori, tra cui l’autenticità, la provenienza, lo stato di conservazione e infine la domanda di mercato.

Tale norma, pur riferendo ai “beni e ai diritti compresi nell’attivo ereditario”, si utilizza anche per la determinazione della base imponibile per l’applicazione dell’imposta di donazione, in forza del richiamo effettuato dall’articolo 56, comma 4, Tusd.

Il valore di tali beni, che viene dichiarato dal contribuente, è sempre suscettibile di rettifica, ai sensi dell’articolo 34, Tusd con conseguente liquidazione della maggiore imposta, da parte dell’ufficio del registro.

Questa rappresenta la regola generale che, ai fini dell’imposta di successione, trova applicazione “relativamente ai beni e ai diritti compresi nell’attivo ereditario diversi da quelli contemplati nell’art. 9, comma 2”.

Tale ultima disposizione, rappresenta una significativa eccezione che caratterizza l’ordinamento italiano, a mente del quale: “si considerano compresi nell’attivo ereditario denaro, gioielli e mobilia per un importo pari al dieci per cento del valore globale netto imponibile dell’asse ereditario anche se non dichiarati o dichiarati per un importo minore, salvo che da inventario analitico redatto a norma degli articoli 769 e seguenti del codice di procedura civile non ne risulti l’esistenza per un importo diverso”.

Questo comma introduce una presunzione di valore, iuris tantum, valevole per il denaro, i gioielli e la mobilia, che si caratterizza per la sua duplice finalità: da un lato quella di semplificazione, in quanto la presunzione di valore snellisce di gran lunga il processo di valutazione dell’attivo ereditario, evitando la necessità di stime dettagliate e spesso complesse per beni di valore difficilmente determinabile, come, per l’appunto, denaro contante, gioielli e mobilia; in secondo luogo, contrasta il rischio che tali beni, facilmente occultabili e non tracciabili, vengano dichiarati per un importo inferiore al loro valore reale o addirittura non dichiarati affatto, riducendo così l’imposta dovuta.

Lo spirito della norma fu ben illustrato nella sentenza n.109/1967, emessa dalla Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla compatibilità con l’articolo 53, Costituzione, di tale presunzione, che la Corte ha ritenuto: “fondata sulla comune esperienza e risponde a principi di logica tanto rilevanti da legittimare la certezza giuridica della esistenza dei beni; e che, altresì, data la natura di essi facilmente occultabili, sfuggenti a qualsiasi accertamento fiscale e di valore difficilmente valutabile, sussisteva per il legislatore la necessità di rendere precisa la pretesa tributaria, sollecita la riscossione del tributo e vano ogni tentativo di evasione”.

Orbene, l’applicazione della norma in commento ha importanti implicazioni pratiche e giuridiche, nonché un impatto rilevante sulla determinazione del valore imponibile dell’asse ereditario e può condurre a risultati sorprendenti sotto il profilo del carico fiscale, in generale con riferimento a tutti i beni mobili non registrati, e in particolare con riferimento alle opere d’arte e gli oggetti da collezione, il cui valore, come ben noto, può raggiungere cifre significative senza che ciò si traduca nell’applicazione di un tributo gravoso.

Soffermandoci, infatti, sul concetto di “mobilia”, come definito dal successivo comma 3 del medesimo articolo, questo intende “l’insieme dei beni mobili destinati all’uso o all’ornamento delle abitazioni, compresi i beni culturali non sottoposti al vincolo di cui all’art. 13

Le opere detenute nelle abitazioni dei collezionisti cadono appieno in questo specifico regime impositivo.

Come emerge dal testo normativo, infatti, la presunzione in esame si applica solo ai beni mobili “destinati all’uso” o “all’ornamento dell’abitazione” del de cuius escludendo quindi, nel caso questi fosse proprietario di opere, tutte quelle che si trovano, anche temporaneamente, in spazi espositivi, quali musei, mostre, etc. o che siano depositate presso dei caveaux dedicati[12].

A titolo esemplificativo, un compendio di collectibles detenuto nell’abitazione di proprietà del defunto, che rappresenta l’unico cespite caduto in successione, determina che il valore tassabile dei primi sia pari al 10% del valore, ai fini successori, del secondo, prescindendo da loro effettivo valore di mercato.

ESEMPIO

Successione (senza testamento)
De cuius + moglie + 1 figlio
Valore del patrimonio ereditario: 4 milioni di euro
Quota per ciascun erede: 2 milioni di euro
Valore imponibile di ciascuna attribuzione: 2.000.000 – 1.000.000 (franchigia) x 10% = 1.000.000 + 100.000
Totale valore imponibile: 1.100.000 euro

Nell’ipotesi in cui, invece, nella dichiarazione di successione saranno indicate opere d’arte per un valore pari o superiore al dieci per cento del valore netto imponibile dell’attribuzione ereditaria, non si farà luogo all’aumento a titolo presuntivo della base imponibile, risultando soddisfatto lo scopo della norma di tassare la “mobilia” che risulterà, in tale caso, espressamente enunciata (e non presunta) nel compendio ereditario.

La redazione dell’inventario

Più complessa è l’ipotesi in cui il valore dei beni mobili indicati sia di gran lunga inferiore al valore emergente dal calcolo presuntivo, e il contribuente intenda da questo affrancarsi.

Tale presunzione, infatti, ha carattere relativo, potendo essere superata mediante la redazione di un: “inventario analitico redatto a norma degli articoli 769 e seguenti del codice di procedura civile [da cui] risulti l’esistenza per un importo diverso”.

La norma consente, quindi, al successore di legittimamente scegliere se applicare la presunzione del 10% o vincerla mediante un apposito inventario analitico dei vari beni mobili, redatto da un notaio secondo le regole del codice di procedura civile, ben potendo accadere, infatti, che, pur in presenza di danaro, gioielli e mobilia, il restante attivo ereditario sia molto elevato e che quindi la presunzione in parola comporti una tassazione eccessiva della “mobilia”.

La norma richiede espressamente che l’inventario sia analitico ovvero che descriva i beni mobili e ne stimi anche il valore ma soprattutto che, ovviamente, rispetti i requisiti di validità formale e sostanziale fissati dal codice di procedura civile[13].

E difatti, attesa la specifica finalità per la quale l’articolo 9, comma 2, Tusd richiede tale adempimento, non è necessario che l’inventario venga redatto alla stregua delle (diverse) finalità previste dal codice civile (nelle ipotesi, ad esempio, di accettazione col beneficio d’inventario ex articolo 484), essendo sufficiente il rispetto delle formalità previste dal codice di procedura civile per il superamento della presunzione.

Per cui la redazione di tale inventario prescinde dalle modalità di accettazione dell’eredità (con beneficio di inventario o meno) e dai tempi che la legge prescrive sia per la redazione dell’inventario valevole per l’accettazione dell’eredità con beneficio di inventario, sia dai tempi di presentazione della dichiarazione di successione.

La possibilità di vincere la presunzione circa l’esistenza nella massa ereditaria di “denaro, gioielli e mobilia”, facendo ricorso alla redazione dell’inventario, è, peraltro, disposta a vantaggio del contribuente che se ne voglia avvalere, ma di certo non fa venire meno l’obbligo del contribuente di dichiarare (e il potere dell’Amministrazione di accertare) l’esistenza nell’asse di “denaro, gioielli e mobilia” per un valore eccedente il 10% del valore netto imponibile dell’attribuzione ereditaria. Ben potrebbe, infatti, accadere che (anche a seguito della redazione di un inventario) il patrimonio ereditario si componga prevalentemente di “denaro, gioielli e mobilia” per un valore superiore al 10% del valore netto imponibile dell’attribuzione ereditaria e, in tal caso, il contribuente non può sottrarre tal maggiore valore alla tassazione con l’imposta di successione[14].

Tuttavia, il tema della possibilità per l’Amministrazione finanziaria di accertare l’eventuale maggior valore dei beni rispetto a quello indicato in dichiarazione di successione è questione delicata e dibattuta.

Sul punto, il Consiglio Nazionale del Notariato[15] ha fornito risposta negativa, partendo dall’analisi letterale dei seguenti articoli:

  • l’articolo 19, Tusd, secondo cui la base imponibile, relativamente ai beni e ai diritti compresi nell’attivo ereditario “diversi da quelli contemplati nell’art. 9, comma 2”, e negli articoli da 14 a 18, è determinata assumendo il valore venale in comune commercio alla data di apertura della successione;
  • l’articolo 32, comma 3, Tusd, che qualifica come “infedele” soltanto la dichiarazione in cui sono dichiarati valori “inferiori a quelli determinati secondo le disposizioni degli articoli da 14 a 19”;
  • l’articolo 34, comma 2, Tusd, il quale stabilisce che a fronte di una dichiarazione infedele “l’avviso di rettifica e di liquidazione della maggiore imposta deve contenere l’indicazione del maggior valore attribuito a ciascuno dei beni o diritti dichiarati e … l’indicazione dei criteri seguiti nella determinazione dei valori a norma degli articoli da 14 a 19, 8, comma 4, e 10”.

Il combinato disposto di cui alle norme richiamate, consentirebbe, quindi, di concludere nel senso che la base imponibile dei beni “contemplati nell’art. 9 comma 2” (e quindi, per intendersi, di quelli che vengono incisi dall’imposta facendo applicazione del congegno presuntivo ivi disciplinato, salva la redazione di un inventario analitico per la tassazione di un importo diverso) neanche dovrebbe assumere rilevanza in sede di successiva (eventuale) rettifica da parte dell’ufficio, in quanto il ricorso alla presunzione siffatta pare definire senza appello il rapporto impositivo – quanto ai detti beni – tra Amministrazione finanziaria e cittadino.

In ultimo, va segnalato come la giurisprudenza di legittimità, ha avuto modo di chiarire che la presunzione in parola non possa trovare applicazione con riferimento alle successioni dei soggetti non residenti in Italia per i beni esistenti nel territorio italiano, atteso che il valore presuntivo deve essere calcolato sul “valore globale netto imponibile dell’asse ereditario”[16].

Il regime fiscale dei beni culturali

Il Testo Unico delle imposte sulle successioni e donazioni prevede 2 specifiche agevolazioni per il trasferimento di beni culturali.

L’articolo 13, Tusd, dispone, infatti, che: “I beni culturali di cui agli articoli 1, 2 e 5 della legge 1° giugno 1939, n. 1089, e all’art. 36 del decreto del Presidente della Repubblica 30 settembre 1963, n. 1409, sono esclusi dall’attivo ereditario se sono stati sottoposti al vincolo ivi previsto anteriormente all’apertura della successione e sono stati assolti i conseguenti obblighi di conservazione e protezione”.

Preliminarmente va chiarito che, attesa l’intervenuta abrogazione della L. 1089/1939 e il D.P.R. 1409/1963 disposta dall’articolo 166, D.Lgs. 490/1999, il riferimento ai “beni culturali” va oggi individuato nel D.Lgs. 42/2004, nel cui articolo 2, comma 2, vengono definiti come tali: “le cose immobili e mobili che, ai sensi degli articoli 10 e 11, presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà”.

Requisito previsto dalla norma è dato dalla soggezione del bene al c.d. “vincolo” con questo intendendosi, ai sensi dell’articolo 13, comma 1, D.Lgs. 42/2004, la “dichiarazione dell’interesse culturale” con la quale si “accerta la sussistenza, nella cosa che ne forma oggetto, dell’interesse richiesto dall’articolo 10, comma 3” (stesso Decreto), il quale deve essere apposto, in un momento anteriore a quello di apertura della successione, presupponendo, nello spirito dell’articolo 13, Tusd, che i “beni culturali vincolati” vadano a comporre la massa ereditaria, ancorché esclusi dall’attivo ereditario imponibile.

Nell’ipotesi in cui, invece, per il bene oggetto di successione, ancorché rientrante nella elencazione prevista degli articoli 10 e 11, D.Lgs. 42/2004, non sia ancora stata emanata la relativa dichiarazione di interesse culturale, di cui all’articolo 13, stesso Decreto, il Tusd non consente diversa interpretazione: il bene andrà a comporre l’attivo ereditario imponibile[17].

Il Tusd lascia comunque uno spazio agevolativo con riferimento però ai soli “beni immobili culturali” per i quali, anche se non sottoposti al vincolo anteriormente all’apertura della successione, l’articolo 25 prevede che “l’imposta dovuta dall’erede o legatario al quale sono devoluti è ridotta dell’importo proporzionalmente corrispondente al cinquanta per cento del loro valore”.

In ogni caso, per il bene immobile culturale, indipendentemente dalla apposizione del vincolo, trovano applicazione secondo le regole ordinarie, le imposte ipotecaria e catastale[18].

Il procedimento agevolativo

L’articolo 13, comma 2, Tusd, prevede che l’erede o legatario che voglia avvalersi della norma agevolativa debba: “presentare l’inventario dei beni di cui al comma 1 che ritiene non debbano essere compresi nell’attivo ereditario, con la descrizione particolareggiata degli stessi e con ogni notizia idonea alla loro identificazione, al competente organo periferico del Ministero per i beni culturali e ambientali, il quale attesta per ogni singolo bene l’esistenza del vincolo e l’assolvimento degli obblighi di conservazione e protezione. L’attestazione deve essere presentata all’ufficio del registro in allegato alla dichiarazione della successione o, se non vi sono altri beni ereditari, nel termine stabilito per questa”.

Va prontamente chiarito che il riferimento all’“inventario” non va inteso l’inventario disciplinato dagli articoli 769 e ss., c.p.c., bensì come una descrizione particolareggiata dei beni stessi e ogni notizia idonea alla loro identificazione da redigersi senza specifici requisiti di forma.

Ricevuto tale documento, la Sovrintendenza dovrà, valutate positivamente le caratteristiche, attestare per ogni singolo bene l’esistenza del vincolo e l’assolvimento degli obblighi di conservazione e protezione, in modo che il contribuente possa presentare tale attestazione all’ufficio del registro, il quale liquiderà l’imposta di successione senza considerare, nel relativo calcolo, il valore imponibile relativo ai beni culturali provvisti di attestazione.

La norma non prevede alcuna decadenza in relazione alla mancata allegazione dell’attestazione alla dichiarazione di successione, o al mancato rispetto del termine di presentazione all’ufficio, ben potendo questa essere presentata dopo la dichiarazione di successione, prima della liquidazione dell’imposta o anche dopo, purché entro i termini previsti per l’istanza di rimborso dell’imposta che il contribuente ritiene non dovuta.

Soccorre sul punto l’articolo 30, comma 6, Tusd, il quale nelle ipotesi in cui: “i documenti provenienti da pubbliche amministrazioni […] non siano stati rilasciati entro il termine stabilito per la presentazione della dichiarazione, compresi l’attestazione di cui all’art. 13, comma 2”, prevede una proroga di sei mesi condizionata alla circostanza che “alla dichiarazione sia allegata copia della domanda di rilascio […]”.

Nell’ipotesi in cui, invece, la Sovrintendenza non conceda l’attestazione, ai sensi del comma 3, articolo 13, Tusd, al contribuente è concessa facoltà di presentare “ricorso gerarchico al Ministro, il quale decide sentito il Consiglio nazionale per i beni culturali e ambientali” il quale in caso di accoglimento, consente di ottenere il rimborso dell’eventuale maggiore imposta pagata, a condizione che il contribuente, presenti all’ufficio competente copia della decisione di accoglimento del ricorso nel termine di 30 giorni.

Le cause di decadenza dal beneficio

La norma qui descritta prevede quale “contraltare” della agevolazione fiscale diversi obblighi in capo al contribuente, previsti dal comma 4, articolo 13, Tusd, il cui mancato rispetto determina “l’inclusione dei beni nell’attivo ereditario”.

Le specifiche cause di decadenza dal beneficio dell’esclusione sono:

  1. l’alienazione del bene prima che sia decorso un quinquennio dall’apertura della successione;
  2. la tentata esportazione dei beni non autorizzata;
  3. il mancato assolvimento degli obblighi prescritti per consentire l’esercizio di prelazione allo Stato.

Al verificarsi di una di tali circostanze, “L’amministrazione dei beni culturali e ambientali ne dà immediata comunicazione all’ufficio del registro competente” affinché questi provveda a esercitare il proprio potere di liquidazione dell’imposta di successione, nonché l’irrogazione della conseguente sanzione amministrativa prevista all’articolo 53, comma 1, Tusd, in misura “dal cento al duecento per cento dell’imposta o della maggiore imposta dovuta”.

In conclusione, appare quindi chiaro lo spirito che anima la norma in commento, tesa a ponderare l’interesse specifico del soggetto che acquista per successione un bene culturale, con l’interesse generale della collettività alla conservazione dei beni connotati da un valore storico-artistico, ben potendosi affermare che la limitazione della proprietà privata, finalizzata, per l’appunto, alla effettiva conservazione di tali beni, è ampiamente bilanciata dalla agevolazione di cui può beneficiare il contribuente (erede o legatario) su cui gravano i relativi obblighi normativi.

I beni culturali per il pagamento delle imposte di successione

Un altro aspetto rilevante è la possibilità, prevista dall’articolo 39, Tusd, in base alla quale gli eredi e i legatari possono proporre allo Stato il pagamento totale o parziale dell’imposta sulla successione, delle relative imposte ipotecaria e catastale, degli interessi e delle sanzioni amministrative, attraverso la cessione di beni culturali vincolati o non vincolati e di opere di autori viventi o eseguite da più di 50 anni[19].

La disposizione in commento, quindi, avvantaggia tanto lo Stato, il quale può acquisire la proprietà di beni culturali o opere d’arte moderna arricchendo il proprio patrimonio storico, artistico e culturale, quanto il contribuente (erede o legatario) al quale è data la facoltà di “proporre” all’Amministrazione finanziaria di definire la posizione debitoria senza fare ricorso alle proprie finanze.

Va rilevato che la norma non limita il pagamento dell’imposta di successione attraverso la cessione di beni culturali oggetto di successione: difatti nulla esclude che il soggetto passivo di imposta possa ricorrere al proprio patrimonio (artistico) personale, per assolvere le imposte derivanti dalla successione, e quindi proporre il pagamento attraverso la cessione di beni culturali che non sono ricompresi nella massa ereditaria[20].

L’articolo 39, comma 2, Tusd, prevede che il procedimento si attivi a impulso del soggetto passivo di imposta attraverso una proposta di cessione che contenga “la descrizione dettagliata dei beni offerti con l’indicazione dei relativi valori e corredata da idonea documentazione, deve essere sottoscritta a pena di nullità da tutti gli eredi o dal legatario e presentata al Ministero per i beni culturali e ambientali ed all’ufficio del registro competente” da sottoporre nel termine di 60 giorni dalla notifica dell’avviso di liquidazione, con conseguente interruzione del termine di pagamento, al fine di permettere al Ministero di valutarne l’opportunità.

Ai sensi dei successivi commi 3 – 9, articolo 39, Tusd, che descrivono l’intero procedimento, l’Amministrazione dei beni culturali, entro il termine di 6 mesi, dovrà successivamente valutare la caratteristica del bene (o dei beni), a seguito del quale emanerà un decreto con cui dichiara l’interesse (o il mancato interesse) dello Stato all’acquisto e la conseguente accettazione (o rifiuto) della proposta di cessione del contribuente, stabilendone, infine, le condizioni e il valore della cessione.

Se l’Amministrazione finanziaria rifiuta la proposta di cessione, notifica il decreto negativo al contribuente, dandone notizia all’ufficio del registro, e dalla data della notifica decorre il termine di 60 giorni per effettuare il pagamento, senza applicazione di sanzioni, ma dei soli interessi legali.

In caso, invece di valutazione positiva, il contribuente (proponente) deve comunicare entro 2 mesi al Ministero la propria accettazione (a pena di decadenza) e all’ufficio del registro competente, entro 60 giorni dalla dichiarazione di accettazione, la copia autentica di detta accettazione e del decreto recante l’indicazione del valore dei beni ceduti.

In caso di beni immobili, il decreto e la dichiarazione di accettazione costituiscono titolo per la trascrizione del trasferimento nei registri immobiliari, in caso invece di beni immobili, questi vanno consegnati dal contribuente entro 30 giorni dalla notifica dell’accettazione.

Per perfezionare la procedura, e quindi estinguere il debito tributario, gli eredi o i legatari, devono produrre all’ufficio del registro competente, entro 60 giorni dalla dichiarazione di accettazione le copie autentiche della stessa e del decreto recante l’indicazione del valore dei beni ceduti.

Tuttavia, nell’ipotesi in cui il valore dei beni ceduti sia inferiore al debito di imposta (comprensivo degli accessori) il contribuente è obbligato a pagare la differenza; nel caso contrario in cui il valore del bene ceduto risultasse superiore, non ha, però, diritto al rimborso.

Tale meccanismo di pagamento, in conclusione, consente di bilanciare il perseguimento di un interesse pubblico, che trova il suo fondamento nella tutela e promozione del patrimonio culturale di cui all’articolo 9, Costituzione, con l’interesse del privato cittadino all’adempimento tributario utilizzando il diritto di proprietà per adempiere un debito d’imposta.

Senza dubbio il sacrificio dell’interesse fiscale, atteso che lo Stato rinuncia a riscuotere l’imposta dovuta e per effetto della cessione dovrà inoltre sopportare maggiori costi di gestione per la tutela dei beni culturali acquisiti, consente però di evitare l’amara circostanza della “svendita” di opere, dettate da necessità economiche (e fiscali) del contribuente.

Tuttavia, va rilevato come tale istituto non pare abbia riscontrato un particolare successo applicativo, nonostante preveda un raggio di applicazione più ampio di quello disciplinato, ad esempio, nel sistema francese[21], da cui prende spunto, e che ha rivelato un esito di certo più favorevole, essendo ben conosciuto da collezionisti ed artisti con ovvie ricadute positive per il sistema museale nazionale[22].

 

[1] Si segnala che gli ulteriori profili fiscali relativi alla circolazione delle opere d’arte sono stati già trattati da L. A.M. Rossi “Il regime fiscale della cessione dei patrimoni artistici: i diversi profili del collezionista, del mercante d’arte e dello speculatore nella interpretazione dell’Amministrazione finanziaria e della giurisprudenza” in Patrimoni, finanza e internazionalizzazione n. 26/2020 e L. A.M. Rossi “L’imposta sul valore aggiunto nella cessione dei patrimoni artistici” in Patrimoni, finanza e internazionalizzazione n. 32/2021.

[2] Si rimanda per una trattazione approfondita sul principio di territorialità dell’imposta a Consiglio nazionale del Notariato, Studio n. 194-2009/T.

[3] A. Pischetola, “Successione aperta all’estero e territorialità dell’imposta”, Notariato 2016, 3, 313.

[4] G. Gallo Orsi e O. Gallo Orsi, “L’imposta di successione. Commento aggiornato alla L. 30-12-1991, n. 41”3, Torino, 1993; G. Gaffuri, “L’imposta sulle successioni e donazioni”, Padova, 1993, 190 ss.. La dottrina ha rilevato come il Legislatore italiano, abbandonando il principio in parola (che permane solo per i soggetti non residenti) in favore del principio di residenza del defunto, si sia allineato alle normative vigenti negli Stati più moderni.

[5] Le Convenzioni internazionali contro la doppia imposizione in materia di imposta di successione e donazione sono relativamente poche rispetto ad altre tipologie di imposte (come quelle sui redditi). Tuttavia, esistono accordi significativi con alcuni Paesi, come Francia, Regno Unito, e Stati Uniti.

[6] A. Busani, “Ambito territoriale di applicazione dell’imposta di successione”, in Corriere Tributario, 2007, 617.

[7] A. Fedele, “Commento all’art.2, D.Lgs. 346/1990, Codice delle leggi tributarie” a cura di Fedele-Mariconda-Mastroiacovo, Torino, 2014.

[8] Non rientra nello scopo del presente contributo, ma si riporta comunque per completezza espositiva, il disallineamento concettuale che la norma in questione evidenzia rispetto al disposto del codice civile ove, all’articolo 456 è prescritto che la successione si apre nel luogo “dell’ultimo domicilio del defunto”.

[9] Concetto differente da quello di “domicilio” che, ai sensi dell’articolo 43, comma 1, cod. civ., è il luogo dove un soggetto “ha la sede principale dei suoi affari ed interessi”.

[10] A. Busani, “Ambito territoriale di applicazione dell’imposta di successione”, in Corriere Tributario, 2007, 622.

[11] Articolo 15, comma 3, L. 383/2001, che ha parzialmente modificato l’articolo 6, Tusd.

[12] In tale ipotesi, ai sensi dell’articolo 48, Tusd, le cassette e gli armadi di sicurezza detenuti presso depositi privati devono essere aperti per redigere l’inventario del contenuto da parte di un notaio o di un funzionario dell’Amministrazione finanziaria. In base al valore stimato da un perito tecnico, poi, verranno applicate le ordinarie aliquote previste dalla legge.

[13] Sul punto, si ritiene opportuno richiamare la sentenza n. 12935/2013 con la quale la Cassazione ha ribadito, ove fosse necessario che alcuna validità, ai fini dell’applicazione della presunzione in oggetto, possa essere attribuita a un inventario redatto anteriormente al decesso del de cuius, presunzione che può essere vinta “solo se l’inventario ivi previsto sia redatto “post mortem” in conformità agli artt. 769 e seguenti cod. proc. civ., e cioè se esso risponda ai requisiti di validità formale e sostanziale fissati dal codice, essendo lo scopo della norma evitare il facile occultamento di detti beni; tale presunzione, pertanto, non può ritenersi superata nel caso in cui l’inventario sia eretto, come nella specie, in sede di procedimento d’interdizione prima del decesso del “de cuius”.

[14] A. Busani, “Imposta di successione e donazione”, Milano, 2020.

[15] Consiglio nazionale del Notariato, quesito n. 99-2016/T “Obbligo di indicazione di opere d’arte nella denunzia di successione e problematiche relative”. Nel medesimo documento vengono riportate anche le posizioni della dottrina (G. Gaffuri, “L’imposta sulle successioni e donazioni”) e della giurisprudenza (Cassazione n. 5773/2000 e n. 7078/2000) che hanno sostenuto l’opinione della potestà dell’Amministrazione finanziaria di addivenire alla “correzione” (evidentemente al rialzo) del valore del danaro, dei gioielli e della mobilia attribuito dal dichiarante “indipendentemente da una constatazione formale della loro consistenza, facendo uso di qualunque strumento probatorio”.

[16] Cassazione n. 4751/2008.

[17] Sul punto, si richiama Cassazione n. 4753/2008, la quale ha ricordato che la disposizione di cui all’articolo 13, Tusd “ha carattere eccezionale, in quanto contrasta con il principio costituzionale di cui all’art. 53, secondo cui tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Dovendosi la disposizione in parola, ai sensi dell’art. 14 delle preleggi, interpretare rigorosamente, vanno esclusi dall’attivo ereditario soltanto i beni classificati culturali, a condizione che essi siano sottoposti al vincolo in epoca anteriore all’apertura della successione, risultino assolti gli obblighi di conservazione e protezione e facciano parte fisicamente del relictum”.

[18] In tal caso gli immobili in questione andranno indicati nella dichiarazione di successione, nonostante la previsione di esclusione dall’attivo ereditario.

[19] L’istituto è stato introdotto dalla L. 512/1982, fortemente voluta dall’artista Renato Guttuso, allora Senatore della Repubblica. Sue le parole “Un governo saggio dovrebbe rendersi conto che il vero grande patrimonio italiano sono le sue opere d’arte; frutto di secoli di cultura, fantasia, creatività e magistero”.

[20] Si segnala che lo stesso istituto opera altresì per il pagamento delle imposte dirette, ai sensi dall’articolo 28-bis, D.P.R. 602/1973, con la (rilevante) differenza che, diversamente da quanto accade per le imposte di successione “la proposta di cessione non sospende il pagamento delle imposte”.

[21] Per interessante analisi dell’istituto della “dation e paiement”, si veda M. Bisogno, “L’adempimento tributario Mediante cessione di opere d´arte: Spunti per un´analisi comparata”, in Rivista trimestrale di diritto tributario, Torino.

[22] Basti pensare che la costituzione del Museo Picasso, con sede Hôtel Salé di Parigi, è stata possibile grazie alla dazione di opere da parte dell’artista stesso e, successivamente, dai suoi eredi per estinguere le imposte di successione. Nel 1968, infatti, l’allora Ministro francese André Malraux, in occasione dei festeggiamenti per l’ottantacinquesimo compleanno dell’artista, istituì appositamente la “Legge sulle dazioni” (Loi n. 68-1251 du 31 décembre 1968 tendant à favoriser la conservation du patrimoine artistique national, Journal Officiel du 03/01/1969), proprio in previsione della scomparsa del pittore spagnolo ed in modo da favorire la conservazione del patrimonio artistico nazionale attraverso il lascito delle opere d’arte come pagamento delle imposte di successione.

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “Patrimoni, finanza e internazionalizzazione.