Profili iva della fornitura di impianti e macchinari con installazione o montaggio all’estero
di Marco Peirolo
L’impresa che stipula contratti di fornitura di impianti e macchinari con installazione o montaggio all’estero si trova ad affrontare problematiche diverse da quelle dell’impresa che, in base ad un contratto d’appalto, realizza l’impianto o il macchinario direttamente all’estero utilizzando sia beni inviati dall’Italia, sia beni acquistati da altri fornitori non residenti.
Nella prima ipotesi, oggetto della presente analisi, è dato osservare che l’art. 36 della Direttiva n. 2006/112/CE dispone che, quando il bene spedito o trasportato dal fornitore o dall’acquirente oppure da un terzo deve essere installato o montato, con o senza collaudo, da parte del fornitore o per suo conto, si considera come luogo della cessione quello dove avviene l’installazione o il montaggio. La norma prosegue stabilendo che, qualora l’installazione o il montaggio sono eseguiti in uno Stato membro dell’Unione europea diverso da quello del fornitore, lo Stato membro in cui avviene l’installazione o il montaggio adotta le misure necessarie per evitare una doppia imposizione al suo interno.
Se la fornitura avviene in altro Paese UE, l’impresa italiana applica l’art. 41, comma 1, lett. c), del D.L. n. 331/1993. La norma qualifica come operazioni non imponibili IVA “le cessioni, con spedizione o trasporto dal territorio dello Stato, nel territorio di altro Stato membro di beni destinati ad essere ivi installati, montati o assiemati da parte del fornitore o per suo conto”.
Secondo l’Amministrazione finanziaria, lo stesso trattamento si applica alle forniture di beni, anche in dipendenza di contratti d’appalto, d’opera e simili, inviati in altri Paesi UE per essere ivi installati o montati dal fornitore italiano o da terzi per suo conto (C.M. 23 febbraio 1994, n. 13-VII-15-464, § B.1.3).
È evidente, pertanto, che il citato art. 41, comma 1, lett. c), del D.L. n. 331/1993 non è in linea con l’art. 36 della Direttiva n. 2006/112/CE, dato che quest’ultimo qualifica l’operazione, nella sua interezza, come territorialmente rilevante nel Paese UE in cui avviene l’installazione o il montaggio.
Se, tuttavia, per le forniture in altri Paesi UE è possibile avvalersi della non imponibilità, generando anche plafond (circolare dell’Agenzia delle Dogane 27 febbraio 2003, n. 8, § 2), per le forniture in Paesi extra-UE non è prevista una disposizione analoga a quella applicabile in ambito intracomunitario.
Il criterio territoriale dettato dall’art. 36 della Direttiva n. 2006/112/CE vale anche quando l’installazione o il montaggio avviene al di fuori della UE, per cui sembrerebbe corretto affermare che si tratti di operazioni escluse da IVA in Italia per carenza del presupposto territoriale.
Un diverso approccio è quello basato sull’art. 7-bis, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972, distinguendo a seconda che il passaggio di proprietà dei beni si verifichi quando gli stessi sono ancora materialmente presenti in Italia o meno; con la conseguenza che il regime di non imponibilità di cui all’art. 8 del D.P.R. n. 633/1972 non è ammesso se dalla volontà contrattuale emerge che l’effetto traslativo della proprietà si verifica a seguito dell’installazione o del montaggio.
È il caso, però, di osservare che l’Amministrazione finanziaria, con la C.M. 3 agosto 1979, n. 26/411138, ha chiarito che costituiscono cessioni all’esportazione, non imponibili ai fini IVA, le cessioni che hanno per oggetto beni inviati all’estero a cura o a nome del cedente, considerandosi tali le consegne all’estero di beni anche in dipendenza di contratti di appalto, limitatamente al corrispettivo dei beni esportati.
In base a questa indicazione, la fattura può essere emessa in regime di non imponibilità per l’intero corrispettivo pattuito con cliente extra-UE, salvo che una quota-parte sia costituita da componenti acquistati all’estero dall’impresa italiana, che resta esclusa da IVA ai sensi dell’art. 7-bis del D.P.R. n. 633/1972.
La prestazione di installazione o montaggio è accessoria alla fornitura dell’impianto e macchinario, ex art. 12 del D.P.R. n. 633/1972, per cui ne segue lo stesso trattamento IVA.
È opportuno che in fattura il relativo corrispettivo sia indicato distintamente affinché non sia assoggettato ai dazi doganali.
Sul punto, l’art. 33, lett. b), del Reg. CEE n. 2913/11992 (Codice doganale comunitario) prevede infatti che, ove distinti dal prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci importate, il valore in dogana non comprende “le spese relative a lavori di costruzione, d’installazione, di montaggio, di manutenzione o di assistenza tecnica iniziati dopo l’importazione, sulle merci importate, ad esempio impianti, macchinari o materiale industriale”; tale disposizione è stata trasfusa nell’art. 72, lett. b), del Reg. UE n. 952/2013 (Codice doganale dell’Unione), la cui applicazione è rinviata al 1° giugno 2016.
Lo sdoganamento nel Paese di importazione viene eseguito a nome del cliente extracomunitario, come avviene, per esempio, in caso di fornitura di un macchinario smontato con reso DDU. In questa ipotesi, l’impresa italiana dichiara il macchinario in dogana per l’esportazione definitiva e si procura la prova dell’esportazione a fondamento della fatturazione in regime di non imponibilità, mentre il cliente estero effettua lo sdoganamento pagando gli eventuali dazi sul valore del solo macchinario.
Se la prestazione di installazione o montaggio viene fatturata successivamente, l’impresa italiana deve presentare istanza di revisione dell’accertamento doganale in quanto il corrispettivo dichiarato in dogana all’atto dell’esportazione del macchinario è diverso da quello definitivo della fornitura.
Le considerazioni esposte valgono anche quando sia l’impresa italiana a farsi carico dei dazi doganali, come avviene in caso di reso DDP.