Proposte di lettura da parte di un bibliofilo cronico
di Andrea ValiottoAlessandro Barbero
Laterza
Prezzo – 20,00
Pagine – 368
Un uomo del Medioevo, immerso nel suo tempo. Questo il Dante che ci racconta un grande storico in pagine di vivida bellezza. Dante è l’uomo su cui, per la fama che lo accompagnava già in vita, sappiamo forse più cose che su qualunque altro uomo di quell’epoca, e che ci ha lasciato la sua testimonianza personale su cosa significava, allora, essere un giovane uomo innamorato o cosa si provava quando si saliva a cavallo per andare in battaglia. Alessandro Barbero segue Dante nella sua adolescenza di figlio d’un usuraio che sogna di appartenere al mondo dei nobili e dei letterati; nei corridoi oscuri della politica, dove gli ideali si infrangono davanti alla realtà meschina degli odi di partito e della corruzione dilagante; nei vagabondaggi dell’esiliato che scopre l’incredibile varietà dell’Italia del Trecento, fra metropoli commerciali e corti cavalleresche. Il libro affronta anche le lacune e i silenzi che rendono incerta la ricostruzione di interi periodi della vita di Dante, presentando gli argomenti pro e contro le diverse ipotesi e permettendo a chi legge di farsi una propria idea, come quando il lettore di un romanzo giallo è invitato a gareggiare con il detective e arrivare per proprio conto a una conclusione.
Ade Zeno
Bollati Boringhieri
Prezzo – 16,50
Pagine – 192
Gonzalo fa un mestiere insolito. Impiegato come cerimoniere presso la Società per la Cremazione di una grande città, si occupa di organizzare e presiedere funerali laici nella Sala del Commiato dell’antico Cimitero Monumentale. Nel corso dei dodici anni passati al Tempio Crematorio gestisce con passione e professionalità migliaia di riti funebri. È sposato con Gloria, conosciuta fra i banchi universitari, e ha una figlia, l’adoratissima Inés, che all’età di otto anni cade in uno stato di coma profondo a causa di una misteriosa malattia. Confinato fra le mura di una stanza d’ospedale, il destino di Inés è appeso a un filo. Tra padre e figlia si instaura un dialogo silenzioso, fatto di presenza e di musiche ascoltate insieme. Tra queste, le canzoni e il tip tap di Gene Kelly, l’unico in grado di indurre sulle palpebre di Inés quello che sembra un accenno di vitalità. La speranza, sempre più labile, di trovare una cura in grado di svegliarla, un giorno viene inaspettatamente riaccesa da Malaguti, uomo equivoco e affascinante che propone a Gonzalo di lavorare per lui, o meglio per la sua anziana padrona. In cambio della promessa di ricoverare Inés in una clinica esclusiva, Gonzalo abbandona la vecchia occupazione per passare alle dipendenze della Signorina Marisòl. Capostipite di una potente famiglia, la donna vive in una grande villa in collina, senza mai uscire dalla sua camera da letto. Il suo aspetto è quello di una nonnina decrepita, ma una volta alla settimana la sua natura mostruosa le impone di divorare carne umana. Ormai troppo debole per procacciarsi cibo da sola, ha bisogno di un assistente in grado di cercare e condurre da lei le vittime sacrificali. L’impresa non è semplice, gli ostacoli sono molti, e Gonzalo dovrà fare i conti non soltanto con il desiderio di salvare la figlia, ma anche con il bisogno di redimersi. E sarà proprio l’anziana Marisòl ad aprirgli gli occhi, insinuando il dubbio che anche lui sia un mostro come lei, come tanti, e come tutti illuso che i semi della mostruosità dimorino sempre altrove. L’incanto del pesce luna è un romanzo di una forza visionaria fuori dal comune. Ha il cinismo più feroce, ed è al contempo gravido di delicatezza e commozione. Ade Zeno, tra i migliori narratori italiani della sua generazione, ha scritto un libro spericolato e malinconico sul confine tra ciò che conosciamo e ciò che ci spaventa. Tra quelli che sono i morti ancora vivi, e i vivi che hanno smesso di esserlo da un po’. Tra i mostri che escono allo scoperto, e quelli che dicono di essere normali.
Szczepan Twardoch
Sellerio
Prezzo – 15,00
Pagine – 520
C’era una volta a Varsavia. 1937. A pochi mesi dall’invasione nazista e in un clima politico di crescente dittatura e inconsapevolezza del futuro, si svolge l’ascesa di Jakub Shapiro, ebreo, gran pugile ma anche un assassino al servizio del capomafia della comunità israelitica. La racconta, cinquanta anni dopo, da Tel Aviv dove si era rifugiato in tempo, Moises Inbar, all’epoca diciassettenne, che di Jakub era diventato l’ombra. Da quando Jakub ha ucciso con sanguinaria crudeltà il mite padre di Moises, il ragazzo è una specie di specchio del travolgente criminale, in un rapporto odio-identificazione difficile da decifrare. Del boss avventuroso, il fragile ragazzino ebreo testimonia, ammirato e schifato, gli atti e le passioni di una vita avida, in un continuo di episodi e figure travagliate, ebrei e non ebrei, nessuna delle quali solo comprimaria ma sempre caratterizzata da una propria storia (il capomafia, la tenutaria del bordello, la moglie ebrea borghese, l’amante polacca aristocratica, il fratello sionista idealista, il killer mostruoso con il suo demone, e i molti minori che compongono lo sfondo sociale). Soprattutto Moises avverte del «re di Varsavia» quel «nucleo oscuro» che rende in fondo contraddittorio ogni suo successo. E che preannuncia qualcosa di terribilmente triste e sorprendente. Il re di Varsavia è un romanzo criminale; è un romanzo storico sulla Varsavia antisemita e capitale dell’ebraismo, divisa tra l’aspirazione a metropoli europea e un autoritarismo provinciale, mentre scivola verso la tragedia; è un romanzo morale, sull’assuefazione alla violenza e su quanta e quale ne è giustificata dalla voglia di rivalsa di chi è oppresso; ed è un romanzo politico, sulle radici della nazione di Israele.
Antonella Frontani
Garzanti
Prezzo – 18,00
Pagine – 204
Lorenzo è convinto che la propria vita sia impeccabile così com’è. Una quotidianità scandita da rituali rassicuranti, il lavoro di insegnante al Conservatorio, due amici intimi e il microcosmo del suo appartamento sono tutto ciò di cui ha bisogno per dirsi felice. Finché qualcosa inceppa questo meccanismo, che ha sempre funzionato alla perfezione. Una strana sensazione lo spinge a interrogarsi sul vuoto che gli prende lo stomaco e non lo lascia respirare. Un vuoto a cui non sa dare un nome, ma che gli impedisce di godersi la routine con la serenità di prima. È per questo che Lorenzo non trova altra soluzione al suo malessere se non quella di allontanarsi per un po’. Di partire per l’India con un gruppo di sconosciuti, una realtà così poco familiare da consentirgli di prendere la giusta distanza per rimettere ordine dentro sé stesso. Ciò che non si aspetta è di restare affascinato da uno dei suoi compagni di viaggio: Zoe, una ragazza dai lunghi capelli fucsia, che in circostanze normali avrebbe giudicato sopra le righe. Giorno dopo giorno, Lorenzo si rende conto che Zoe è capace di intravedere la bellezza dell’esistere, anche quando si cela nelle situazioni impreviste. Sa che da lei può imparare ad apprezzare di nuovo la vita in tutte le sue sfumature, ma per farlo deve prima scoprire l’altro lato di Zoe, quello che la ragazza si ostina a nascondere dietro un fare sfuggente e ambiguo. Solo così potrà lasciarsi andare e abbattere anche le sue ultime resistenze.
Ennio Flaiano
Adelphi
Prezzo – 19,00
Pagine – 329
«Quando la campagna sarà finita non pochi si precipiteranno a scrivere dei libri» annota Flaiano nel febbraio del 1936, mentre, sottotenente del Genio, partecipa alla guerra d’Etiopia. «Già immagino il contenuto e i titoli: “Fiamme nel Tigrai”, “Africa te teneo”, “Tricolore sull’Amba”!». Non a caso, attenderà dieci anni prima di ricavare da quella sofferta esperienza – fatta di sete e stanchezza, caldo e paura – un romanzo. Un romanzo sconcertante, tanto più in pieno clima neorealista, che ha come sfondo non la «terra ideale dei films Paramount», ma il paese triste, ingrato, ambiguo, sfuggente delle iene (e che dunque cela di necessità «qualcosa di guasto»), e al centro una vicenda «assolutamente fantastica»: un delitto futile e fatale, che scatena in chi l’ha commesso un corrosivo delirio. E gli trasmette il morbo di un «impero contagioso», di un senso di colpa inscindibile dal rancore, di una pietà commista a disprezzo per un mondo ignoto, l’Africa – «lo sgabuzzino delle porcherie», dove gli occidentali vanno «a sgranchirsi la coscienza».