9 Settembre 2016

Proposte di lettura da parte di un bibliofilo cronico

di Andrea Valiotto
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Aldo Moro – Lo statista e il suo dramma

Aldo Moro - Lo statista e il suo drammaGuido Formigoni

Il Mulino

Prezzo – 28

Pagine – 488


«Moro non era stato mai popolare, non era mai stato un leader ampiamente amato o un capopopolo. Aveva avuto avversari acerrimi e detrattori feroci, ma aveva conservato attorno a sé, nonostante tutto, l’alone diffuso del riconoscimento di un grande disegno. Era stato un politico con una strategia». Il rapimento e l’assassinio per mano delle Brigate rosse, nel 1978, hanno finito per concentrare in quella fine tragica la memoria di Aldo Moro. Nell’intento di riscoprire nella sua interezza questo significativo protagonista della storia italiana, il libro ne tratteggia un profilo biografico completo: l’intellettuale, il giurista, il dirigente delle associazioni cattoliche, il costituente, il politico, lo statista. Moro fu il principale stratega del centro-sinistra e della «solidarietà nazionale», ma anche a lungo guida del governo e della politica estera italiana. La sua esperienza assunse un carattere drammatico non solo per il violento epilogo ma anche per la crescente difficoltà nel tenere assieme Stato e società, innovazione e tradizione, cambiamento e coesione, in un sistema sociale e politico messo a dura prova dalla transizione degli anni Settanta.

 

Fummo giovani soltanto allora. La vita spericolata del giovane Montanelli

Fummo giovani soltanto allora. La vita spericolata del giovane MontanelliSalvatore Merlo

Mondadori

Prezzo – 20

Pagine – 225


Romanzo di formazione, cinematografico, movimentato, in cui il protagonista, imbevuto di letture e fantasie risorgimentali, si muove all’interno della Grande Storia, ci sbatte dentro, con incoscienza e ironia, con coraggio e infantilismo, a volte con iattanza, ma con un romantico gusto ottocentesco per l’avventura. Dall’esperienza coloniale (come volontario) in Africa Orientale alle corrispondenze di guerra per il «Corriere della Sera», dalle amicizie, non prive di scintille e contrasti, con Dino Buzzati, Curzio Malaparte, Galeazzo Ciano, ma soprattutto Leo Longanesi, fino al progressivo e tormentato distacco da Mussolini e dal regime, la prigionia a San Vittore e la fuga rocambolesca in Svizzera, Indro Montanelli ha condotto il suo lungo viaggio attraverso il fascismo (e la giovinezza) dimenandosi con la violenza e la voluttà di chi ce l’ha nel sangue di rompere e scuotere via ogni ceppo e catena. Il papà mazziniano lo voleva diplomatico, la mamma cattolica lo esortava all’autocontrollo, mentre il Regime e lo Stato volevano scandirgli l’esistenza e la giornata. Ma per lui la vita era una camera delle meraviglie, un teatro verso il quale bastava allungare un braccio per cogliere un’occasione. Fummo giovani soltanto allora ripercorre i tanti e avventurosi episodi che hanno costellato la giovinezza di Montanelli, così immersa nell’atmosfera culturale e politica della sua epoca da tramutarsi nell’affresco di un’intera generazione: quella dei tanti giovani italiani che il fascismo lo trovarono già nato e cresciuto, che vissero le contraddizioni di un secolo, il Novecento, ribollente e drammatico, contrassegnato da tensioni ideali violente e smodate, ma anche da furbo opportunismo e cinica realpolitik. Ma come ci ricorda l’autore in una delle tante pagine felici di questo libro, il Montanelli degli anni Trenta e Quaranta non è ancora il Montanelli stecca nel coro unanime del dopoguerra, «non è ancora l’italiano che si sente sempre altrove, sempre contro, sempre fuori, e che afferma il suo impegno civile sotto la specie di un affetto ombroso e sarcastico per l’Italia alle vongole. Indro viveva ancora, malgrado l’altalena degli umori, di passioni faziose, da italiano appunto». Nel tornare con il ricordo ai tempi della sua giovinezza, il vecchio giornalista era solito abbondonare la zavorra, ormai pesante e inutile, della spiegazione autoindulgente per mettersi in ascolto di se stesso e rispondere: «Sono i mie vent’anni, i miei stupidi e bellissimi vent’anni. E non li posso rinnegare».

Anna e l’Uomo delle rondini

Anna e l'Uomo delle rondiniGavriel Savit

Sperling & Kupfer

Prezzo – 17,90

Pagine – 256


Cracovia, nel 1939, non è esattamente il posto migliore dove crescere. Le strade sono un lugubre concerto di soldati in marcia e cani feroci, spari e grida. Non risuonano più di risate e chiacchiere tra amici, passeggiate al parco e caffè all’aperto.  Anna ha solo sette anni, ma conserva un vago ricordo di quei lontani giorni di sole e di calore. Ora ha imparato che ciò che gli adulti chiamano “guerra” è come la tempesta: quando si annuncia all’orizzonte, meglio chiudersi in casa.  Solo che lei, una casa, non ce l’ha più. Dal mattino in cui suo padre è uscito per andare all’Università e non ha fatto ritorno. Anna non sa che i tedeschi l’hanno portato via, insieme a tanti altri insegnanti. E mentre i vicini e gli amici di un tempo le voltano le spalle, lei resta completamente sola.  È allora, mentre vaga per la città, che incontra l’Uomo delle rondini.  Dapprima è un rumore di passi sull’acciottolato, poi una sagoma sottile che incombe, altissima, con un’aura di mistero e autorevolezza. Quando le rivolge la parola, Anna scopre che, come suo padre, ha un talento per le lingue: conosce il polacco, il russo, il tedesco, lo yiddish, persino il linguaggio degli uccelli. Nel momento in cui chiama a sé una bellissima rondine – che scende a posarsi sulla sua mano – per calmare il pianto di Anna, la bambina resta incantata. E decide di seguirlo, ovunque sia diretto.  È così che inizia il loro lungo viaggio per non farsi trovare.  Un’avventura che per Anna è una scoperta della vita, tra le insidie dei boschi e quelle della natura umana, sotto la guida esperta dell’Uomo delle rondini, scrigno di storie e di saggezza.

Noi tre

Noi treMario Fortunato

Bompiani

Prezzo – 17

Pagine – 182


Noi tre è la storia di Pier Vittorio Tondelli, di Filippo Betto e dell’autore di questo romanzo – tre ragazzi che volevano essere scrittori. Venivano dalla provincia, avevano pochi mezzi e “consideravano la letteratura il loro mondo segreto, oltre che la principale ragion d’essere”. E poiché avevano quasi tutto in comune, “si amarono come ci si ama da ragazzi, senza remore morali né pietà”. L’Italia è quella degli anni ottanta del secolo scorso. Un Paese opulento, di colpo incline a scrollarsi di dosso le molte ipocrisie della tradizione cattolica e di quella comunista. L’Italia che dissipò se stessa nell’ubriacatura del consumismo, ma anche una nazione che finalmente si affacciava alla modernità. Nella musica pop trionfavano le band neoromantiche. In letteratura si riscopriva il minimalismo. Nell’arte tornava l’uso dei pennelli e della tela. La pubblicità – Andy Warhol era ancora vivo – usciva dal dominio dell’economia per entrare in quello dell’estetica. Pier, Filippo e Mario inventarono un linguaggio quotidiano di amicizia, complicità, erotismo. E quella fu la loro “età del jazz” formato tascabile. Erano giovani, si sentivano liberi e persero tutto. Pier incontra subito la notorietà letteraria, pagandola a caro prezzo. Filippo è il più giovane: possiede il distacco dei fratelli minori, ma l’inquietudine lo divora. Mario, che dei tre si direbbe il più forte, è tuttavia il meno sicuro di sé. Pubblicando i loro libri, i ragazzi diventano uomini. Ma alla soglia dell’età matura Pier se ne va per colpa dell’aids. Poi anche Filippo va via, nella maniera contraddittoria e caotica che ha segnato la sua esistenza. Così Mario, rimasto solo, si chiede per anni se raccontare la storia della loro giovinezza meravigliosa e irrevocabile. Si chiede, e continua a farlo, che cosa ne penserebbero gli altri due. E per tentare di capirlo scrive Noi tre.

Gli americani a Vicenza

Goffredo PariseGoffredo Parise

Adelphi

Prezzo – 18

Pagine – 220


Benché uscito dopo la sua morte, questo libro porta a compimento un progetto di Parise: radunare intorno a Gli americani a Vicenza – dove l’arrivo delle truppe della SETAF assume i caratteri stralunati di una minacciosa invasione aliena – una costellazione di altri racconti più o meno coevi. Racconti che potrebbero figurare sotto l’etichetta «I dintorni del Prete bello», tanto appaiono variabili di quello splendido romanzo popolato di personaggi festosamente eccentrici, ma in cui sopravvive anche qualcosa del Parise magico e surrealista del Ragazzo morto: «gli occhi esposti alle prime impressioni del mondo come a un tiepido e funebre refolo d’aria primaverile – sbarrati davanti alla vanità inconsolabile che si cela dietro qualunque mistero» (C. Garboli). Basti pensare al viscido e vizioso don Claudio, dalla veste che sa «di incenso, di crema per dopo-barba e di un odore che avevo sentito vicino alle gabbie delle scimmie durante la fiera»; ad Adelina, la cui vita si spegne lentamente nel collegio delle Addolorate fra mirabili ricami e ‘pazienze’; a Cleofe, che gira per la città vestita di fastosi cenci offrendo polvere che fa prurito, farfalle di carta giapponese, macchie finte d’inchiostro; a Teo, che si consuma d’amore per una donna a cui non ha neppure mai rivolto la parola, e quando alla fine riesce a sposarla, ormai vecchia, è solo per abbandonarla poco dopo – a tutti gli scherzi, insomma, che solo in provincia il destino gioca a chi gli viene a tiro, a tutte quelle storie tragiche e grottesche che Parise (sono di nuovo parole di Garboli) sa miracolosamente «far decollare dalla pagina», con «mano senza peso» e con «il riso di eterno puer».

Dottryna