Proventi immobiliari con dubbia imputazione nelle nuove semplificate
di Fabio GarriniIl nuovo regime (naturale) previsto per i contribuenti in contabilità semplificata che, salvo opzione per la disciplina della registrazione di cui all’articolo 18, comma 5, D.P.R. 600/1973, impone di tenere una accurata gestione di incassi e pagamenti, presenta molti profili di dubbia applicazione, legati ad una formulazione legislativa per larghi tratti non particolarmente precisa.
Tra i componenti sui quali si innesca qualche dubbio applicativo vi è quello legato ai proventi di natura immobiliare, in relazione ai quali non è chiara la regola di imputazione; si tratta di una fattispecie tutt’altro che remota visto che le piccole immobiliari sono sovente costituite in forma di società di persone e fruiscono della contabilità semplificata, proprio per evitare gli aggravi amministrativi della gestione degli aspetti finanziari.
I proventi immobiliari
Il nuovo articolo 66 Tuir, così come modificato dalla legge di Bilancio 2017, recita testualmente: “Il reddito d’impresa dei soggetti che, secondo le disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, applicano il regime di contabilità semplificata, è costituito dalla differenza tra l’ammontare dei ricavi di cui all’articolo 85 e degli altri proventi di cui all’articolo 89 percepiti nel periodo d’imposta e quello delle spese sostenute nel periodo stesso nell’esercizio dell’attività d’impresa. La differenza è aumentata dei ricavi di cui all’articolo 57, dei proventi di cui all’articolo 90, comma 1, delle plusvalenze realizzate ai sensi dell’articolo 86 e delle sopravvenienze attive di cui all’articolo 88 e diminuita delle minusvalenze e sopravvenienze passive di cui all’articolo 101”.
Non si può non notare come il riferimento alla percezione del provento e al sostenimento del costo sia presente solo nel primo periodo; al contrario, va evidenziato come nel secondo periodo vengono elencati proventi e costi da sommare e sottrarre senza far alcun riferimento ai connessi aspetti finanziari.
Di per sé la differenziazione risulta ragionevole per i proventi dell’articolo 57 (ricavi da destinazione a finalità estranea all’attività d’impresa) e, tutto sommato, pure per le componenti straordinarie (plus/minus e sopravvenienze); risulta invece poco comprensibile per quale motivo i proventi immobiliari derivanti da fabbricati a destinazione abitativa dovrebbero essere gestiti con criteri “tradizionali” e non secondo le nuove previsioni che impongono l’applicazione del principio di cassa, valido invece per la generalità dei ricavi.
Ci troveremmo, in questo caso a vedere un effetto differenziato (davvero poco giustificabile) a seconda dell’immobile che viene locato:
- se la società dà in locazione un fabbricato a destinazione strumentale (un ufficio o un negozio), i ricavi, ascrivibili all’articolo 85, rileverebbero sulla base dell’effettivo incasso nel periodo d’imposta;
- al contrario, il canone relativo alla locazione di un fabbricato abitativo andrebbe imputato al reddito del periodo d’imposta sulla base del principio di competenza.
Si potrebbe affermare che il richiamo all’articolo 90 potrebbe essere relativo esclusivamente alla modalità di determinazione del reddito, che appunto impone un criterio fondiario, senza voler invece fare alcuna differenziazione circa il criterio di rilevanza (cassa competenza); va però detto che, se così fosse, tale rinvio si sarebbe dovuto collocare nel comma 2 dell’articolo 66 e non nel comma 1 che invece è dedicato all’individuazione delle regole base per la costruzione del reddito di periodo.
Il dubbio esiste e, in attesa di indicazioni ufficiali, la formulazione letterale porta inevitabilmente a considerare i proventi immobiliari legati a fabbricati a destinazione abitativa come rilevanti indipendentemente dalla loro effettiva percezione.
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