8 Novembre 2014

Può restare in vita, post conferimento, una ditta di gestione immobiliare?

di Comitato di redazione
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Nella
seconda giornata del Master Breve, in rampa di lancio la prossima settimana, discuteremo di
conferimento d’azienda. Una delle questioni che ci ha stimolato alcune riflessioni è quella attinente alla
posizione dell’imprenditore individuale che, anche al fine di addivenire alla cessione della propria attività, decide di
scorporare il comparto produttivo (mediante un conferimento d’azienda in una NewCo)
riservandosi la proprietà del compendio immobiliare originariamente posseduto unitamente all’azienda.
I
motivi che possono determinare questa situazione sono, generalmente,
di duplice natura:
  • da un lato la necessità di creare un “veicolo” più facilmente cedibile, posto che appare più semplice trovare un acquirente disposto a rilevare un’azienda priva di immobili, in quanto meno costosa;
  • per altro verso, la volontà del titolare della ditta individuale di mantenere la proprietà del “mattone”, dalla quale ritiene di poter ricavare una rendita (derivante dalla locazione) oltre che una possibile (ma forse oggi non più attuale) rivalutazione del capitale.
Ipotizziamo, allora, che il Sig. Mario Rossi conferisca la propria azienda produttiva in una NewCo, escludendo dal compendio conferito uno o più immobili che intenda detenere come sopra detto. Cosa accade in capo alla ditta individuale che rimane come soggetto che svolge unicamente attività di gestione immobiliare?
Le
conseguenze che si sprigionano possono interessare sia il
comparto delle imposte dirette che
quello dell’IVA, posto che l’assenza di svolgimento di una “attività” determinerebbe la
necessità di autoconsumare i beni residui.
Partendo dal comparto delle
imposte dirette, non vi è dubbio che la
logica impone di considerare cessata l’attività, anche se non va dimenticato che la medesima ditta individuale (laddove si potesse considerare ancora come esistente ed operante) avrebbe iscritto nel proprio attivo non solo l’immobile, ma anche la partecipazione ricevuta a seguito del conferimento. Tuttavia, la
semplice detenzione di un immobile o di una partecipazione
evoca un troppo immediato parallelo con la persona fisica che ben può divenire proprietario di tali beni e detenerli a titolo privatistico.
Non risultano prese di posizione dirette ed esplicite da parte dell’Agenzia delle entrate, anche se si potrebbe rinvenire
un labile spunto dalla lettura della
risoluzione n. 280/E del 4 luglio 2008, rilasciata in occasione della
estromissione dei beni immobili strumentali dal regime di impresa. Nel quesito avanzato all’Agenzia delle entrate si prospettata la situazione di
un fantomatico sig. Alfa che,
svolgendo attività di gestione immobiliare, intendeva estromettere i fabbricati con la norma agevolativa. Le Entrate
indicano la possibile soluzione
senza constatare, come avrebbero potuto fare,
che la situazione in essere non riguardava un imprenditore ma un soggetto che realizza una pura gestione di beni immobili. Non è molto, ne siamo consci, ma si potrebbe utilizzare l’indicazione come
possibile strumento di difesa per situazioni già in essere, sostenendo che è stata implicitamente riconosciuta la possibile esistenza di una ditta di gestione immobiliare. Rimangono, ovviamente, i
problemi con il Registro delle imprese, che sembra negare l’iscrizione di soggetti individuali che indichino come codice quello della gestione immobiliare. Infine, si potrebbe anche evocare il tema dell’affitto dell’unica azienda posseduta dall’imprenditore individuale, a sostenere che, se il TUIR dispone che si tratti di redditi diversi (mancando una specifica categoria reddituale di appartenenza), si dovrebbe concludere che la locazione dell’immobile debba produrre redditi di natura fondiaria. Ma anche viaggiando su questa direttrice, ci si inoltra in un campo minato, poiché ci si dovrebbe interrogare sulla possibile differente soluzione nell’ipotesi in cui gli immobili detenuti siano più d’uno (situazione peraltro evocata dalla citata R.M. 280/E/2008).
Se poi sconfiniamo nel
comparto dell’imposta sul valore aggiunto e spostiamo l’interesse fuori dai confini nazionali, dobbiamo riscontrare che
l’articolo 9 della Direttiva 2006/112/CE individua la figura del soggetto passivo come colui che esercita, in modo indipendente ed in qualsiasi luogo, un’attività economica, indipendentemente dallo scopo o dai risultati dell’attività; inoltre, definisce attività economica lo sfruttamento di un bene materiale o immateriale per ricavarne introiti aventi carattere di stabilità.
La
Corte di Giustizia UE, in numerose pronunce (sentenze C-219/12 del 20-06-2013; C-230/94 del 26-09-1996; C-23/98 del 27-01-2000), sembra avvalorare la possibile esistenza di una attività economica nella semplice locazione immobiliare.
Certamente i due comparti (dirette ed IVA) potrebbero viaggiare su binari, non solo autonomi, ma anche tra loro confliggenti, ma sono tutti spunti sui quali appare opportuno ragionare.
Preso atto, dunque, della impossibilità di giungere ad una soluzione pacifica, non resta che riscontrare
l’esistenza di una possibile alea di rischio in capo all’imprenditore del nostro esempio, rischio che si potrebbe concretizzare nella
contestazione di un mancato autoconsumo per cessazione effettiva dell’attività.
Si potrebbe
ovviare all’inconveniente facendo l’originario
conferimento dell’intera ditta (compresi i fabbricati) e, successivamente, scorporare la parte operativa (magari con un altro conferimento) in modo da “blindare” il comparto immobiliare all’interno di una società che, producendo per presunzione reddito di impresa, non si troverebbe a fronteggiare le suesposte difficoltà.
Oppure, si potrebbe
porre in fase di liquidazione la ditta individuale, dando conto della volontà di voler procedere alla cessione dei beni; questa, però, oltre a non essere una soluzione definitiva, pone un ulteriore problema in merito alla sorte delle partecipazione ricevute in cambio del conferimento.
Sarebbe allora
opportuno che venisse confermato (o smentito ufficialmente) che
l’attività di gestione immobiliare possa essere svolta in modo privatistico o sotto la veste di impresa, a scelta del contribuente. Le conseguenze tributarie della scelta, in effetti, non dovrebbero determinare salti di imposta, poiché la fine dell’impresa determinerà, comunque, un atto di autoconsumo che potrebbe, però, essere rinviato nel tempo.