Può una palestra farsi pubblicità?
di Guido Martinelli
Ogni tanto, a fare la professione, ti capita di sentirti chiedere le cose più strane. A me, oggi, una associazione sportiva dilettantistica mia cliente, che gestisce un centro sportivo, mi ha chiesto: “ma io come posso fare pubblicità alla mia attività?”. Di istinto avrei voluto rispondere che si sarebbe dovuta rivolgere ad un esperto di comunicazione, non essendo ancora io un tuttologo. Poi mi sono ricordato che proprio le modalità di comunicazione verso l’esterno stanno diventando presupposto, innesco di accertamenti da parte dell’Agenzia delle Entrate e mi sono chiesto come rispondere. Ciò anche al fine di evitare che una campagna associativa male impostata possa essere causa di dispiaceri in caso di verifica
Le conseguenze, sotto il profilo fiscale, delle modalità di comunicazione tra un gestore “profit” di un centro sportivo e uno “non profit” (o meglio non commerciale) sono date proprio dagli obiettivi che queste campagne comunicazionali si propongono. Se entrambi i soggetti si rivolgono al medesimo “mercato” vendendo la stessa tipologia di servizi alla collettività indifferenziata, alla generalità dei richiedenti non vi è dubbio che la conseguenza sarà lo svolgimento, per entrambi, di una attività c.d. commerciale con il conseguente assoggettamento ad imposte sui redditi e ad iva del relativo corrispettivo.
Quindi il proporre, da parte di associazioni sportive campagne di abbonamento per accessi periodici al centro, l’iscrizione a corsi, magari con tariffazione diversa a seconda delle fasce orarie o giornaliere o sulla base del tipo di corso prescelto, senza il dover verificare la sussistenza di alcun requisito preliminare di accesso (pertanto io che leggo il messaggio pubblicitario non devo verificare se possiedo o meno le condizioni presupposte per partecipare a quel tipo di attività e iscrivermi alla palestra che mi interessa) produce come conseguenza che ci si pone in regime di libera concorrenza con le imprese “profit”; non vi è dubbio, in tal caso, che la conseguenza non potrà che essere quella di dover operare con le medesime regole e, quindi, con assoggettamento ad imposizione diretta e indiretta dei corrispettivi specifici a tal fine riscossi.
In cosa si deve differenziare, quindi, la campagna di comunicazione della nostra associazione che voglia continuare, invece, l’opera di defiscalizzazione di detti corrispettivi.
Non dovrà essere una promozione di vendita servizi quanto una campagna tesa all’incremento della base associativa.
Le più importanti organizzazione di charity che operano in Italia inviano alle loro mailing list delle richiesta di adesione, di associazione al loro ente. “Diventa nostro socio e così potrai o farai.” Questa deve diventare la convinta politica di comunicazione del nostro soggetto non profit: io non voglio fare vendita ma aumentare il numero dei miei associati, delle persone che condividono le mie finalità. A tali persone, poi (ma solo in ordine temporale successivo) offro la possibilità, a pagamento, di partecipare all’attività svolta, tra cui quella di gestione di un centro sportivo e la partecipazione ai corsi di attività motoria che vengono disputati all’interno. Questo è il messaggio che deve emergere.
Quindi deve essere chiaro, sin dal primo contatto (medesima filosofia dovrà essere imposta anche al sito internet del centro), che il soggetto che per qualsivoglia motivo non voglia associarsi, è consapevole che non potrà frequentare quello specifico impianto sportivo.
Ne deriva che l’ammissione a socio (con relativo perfezionamento del vincolo mediante accettazione della proposta), non solo nella forma ma anche nella sostanza, è condizione preliminare presupposta e necessaria per poter poi non assoggettare ad imposizione la quota che viene così versata.
Attenzione, pertanto, a quelle clausole statutarie che prevedono che l’ammissione a socio non si perfezioni fino alla accettazione della proposta da parte del consiglio direttivo. Questo significa che fino a quando ciò non avverrà, le quote eventualmente versate non potranno godere di alcuna agevolazione fiscale.
Si ricorda che l’art. 148 del Tuir equipara agli associati i tesserati per la medesima organizzazione sportiva nazionale o territoriale di riferimento.
Pertanto, nel caso in cui non si voglia/possa associare, l’agevolazione fiscale mantiene la sua ragione d’essere in presenza di tesseramento, perfezionato anche in questo caso, alla Federazione sportiva nazionale o all’ente di promozione sportiva a cui il centro aderisca.
Come si vede il come si fa pubblicità e in favore di cosa la si fa costituisce spartiacque per il godimento legittimo o meno della defiscalizzazione del corrispettivo.
Una concezione della comunicazione in termini di impresa, di servizi o di abbonamenti da vendere, inevitabilmente porta a considerare l’attività tra quelle commerciali rientranti all’interno della fattispecie di cui all’art. 2195 del codice civile.
E’ certo che dopo 30 anni di avvocatura non avrei mai pensato di dovermi occupare anche di campagne di comunicazione ….