1 Settembre 2014

Quadro RW e dubbi di compilazione

di Giovanni Valcarenghi
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Le ultime settimane che precedono l’invio definitivo delle dichiarazioni dei redditi sono solitamente dedicate ad un lavoro di rifinitura generale (per il completamento delle informazioni che non influiscono sul debito di imposta), oltre che alla soluzione delle problematiche che si pongono con l’applicazione dei programmi di controllo Entratel.

Tra questi ultimi controlli va certamente annoverato quello relativo al quadro RW che, da quest’anno, assolve alla duplice funzione di supporto per il monitoraggio fiscale e di base di computo per l’applicazione delle patrimoniali estere.

A tale riguardo, durante la pausa estiva sono state riprese da alcuni organi di stampa alcune pronunce di commissioni tributarie di merito che si sono specificamente occupate della tematica della necessità di indicazione dei finanziamenti infruttiferi, giungendo a conclusioni spesso opposte tra loro.

Il perno del ragionamento risiede nell’articolo 4 del decreto legge 167/1990, dalla lettura del quale si evince l’esistenza dell’obbligo di indicazione nella dichiarazione dei redditi delle attività estere di natura finanziaria suscettibili di produrre redditi in Italia. Di tale disposizione si forniscono due letture differenti.

Il primo approccio, sostenuto tra l’altro dalla CTP di Treviso (sentenza n. 508/9 del 25 giugno 2014), è quello di natura rigoristica, nel senso di riscontrare l’obbligo di indicazione nel quadro di tutte le operazioni effettuate, a prescindere dal fatto che le stesse possano “attualmente” produrre redditi suscettibili di essere dichiarati in Italia.

Il secondo approccio, sostenuto invece dalla Commissione Tributaria di 2° grado di Bolzano (sentenza n. 48/2 del 12 giugno 2014), sposa una interpretazione fortemente incentrata sul contenuto letterale della norma, che richiede la indicazione delle sole attività estere potenzialmente idonee a produrre redditi imponibili in Italia; con la conseguenza che i finanziamenti infruttiferi dei soci, proprio in quanto infruttiferi, non dovrebbero essere esposti nel quadro RW, per mancanza di qualsiasi possibilità di produrre redditi, salvo il caso di una variazione delle condizioni contrattuali che supportano l’erogazione del denaro dal socio alla società.

A noi sembra opportuno riscontrare, innanzitutto, che stiamo parlando di pronunce relative alla vecchia struttura del quadro RW, quella, cioè, precedente alla recente rivisitazione resasi necessaria a seguito delle censure comunitarie.

In secondo luogo, il ragionamento di cui sopra ora sembra prestare il fianco al fatto che, passando dal vecchio al nuovo regime, appare necessario fare i conti con la tematica della applicazione delle imposte patrimoniali estere, in particolar modo con l’IVAFE. Poiché tale tributo si applica anche sui finanziamenti dei soci, siano essi fruttiferi o infruttiferi, dal 2013 la questione della necessità di indicazione viene a perdere una parte del proprio appeal.

Certo è che il concetto conserva tutta la sua importanza per le annualità pregresse, in relazione alle quali si potrebbe anche ragionare su possibili applicazioni di sanzioni o di ravvedimenti operosi; non di meno, poiché l’esistenza del finanziamento soci presuppone la presenza di una partecipazione, per le annualità sino al 2012 la necessità di esporre (o la possibilità di non esporre) i finanziamenti infruttiferi poteva ingenerare, per effetto dell’esistenza del limite minimo di significatività dei 10.000 euro, l’obbligo di compilare il quadro (inserendo entrambi i valori) oppure l’esenzione completa (non inserendo nulla).

A noi pare che lo spirito della norma sia quello di richiedere (anche per il passato) l’indicazione anche dei finanziamenti infruttiferi dei soci, per la semplice circostanza che, diversamente operando, si poteva (vigente la precedente soglia minima di rilevanza) superare l’obbligo compilativo distribuendo, opportunamente e per sola comodità, le somme tra capitale e finanziamento.

La diversa tesi proposta dalla Commissione di Bolzano, comunque, appare incentrata sul tenore letterale della norma ma, stante anche le indicazioni di prassi dell’Agenzia, sembra opportuno utilizzarla a solo scopo difensivo, per difendere le posizioni oggetto di accertamento. L’esistenza del flusso di denaro, in ogni caso, è comunque nota all’amministrazione finanziaria, con la conseguenza che non si può nemmeno sperare di non esporre il finanziamento per celarlo agli occhi del fisco.