19 Novembre 2014

Quale base imponibile per i dividendi del trust?

di Ennio VialVita Pozzi
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In un intervento da noi pubblicato nella Circolare Tributaria di Euroconference, abbiamo avuto modo di approfondire il tema della nuova proposta di legge relativa alla tassazione dei dividendi percepiti dagli enti non commerciali.

Come noto, in base alla disciplina vigente, se il trust è assimilato ad un ente non commerciale e percepisce un dividendo da una società di capitali, la tassazione IRES opera sul 5% dell’ammontare percepito.

La proposta di legge sembra innalzare la base imponibile dal 5% al 77,74% in modo da attestare il prelievo sul 21,38% alla stregua della percezione da parte di una persona fisica. La questione ha sollevato un notevole dibattito tra gli operatori del settore che si sono in alcuni casi visti bloccare la consulenza in questo filone, soprattutto nei casi in cui il trust era proposto in modo distorto per meri fini fiscali.

Siamo ben consapevoli che il livello impositivo del 5% non potrà rimanere e che rappresenta una sbavatura del sistema, ma non è possibile correggerlo penalizzando in modo ingiustificato anche coloro che non cercano, e non hanno mai cercato, il risparmio fiscale tramite il trust.

Quale potrebbe essere il regime impositivo, per così dire, adeguato?

Senza voler sconvolgere il sistema di determinazione del reddito del trust attuale, che vede la medesima base imponibile applicata sia al trust opaco che al trust trasparente, dobbiamo giungere alla conclusione che la base imponibile dei dividendi deve attestarsi sul 49,72% in modo da far sì che il beneficiario del trust trasparente sconti la medesima IRPEF che avrebbe pagato con la detenzione diretta delle quote. Il livello impositivo appare ragionevolmente lo stesso, in quanto il beneficiario del trust trasparente vanta un diritto soggettivo alla percezione dei frutti.

Il trust opaco dovrà avere la medesima base imponibile di quello trasparente in base alle considerazioni svolte in precedenza e, quindi, il 49,72%.

Il carico impositivo che ne discende si attesta sul 13,7% (ossia il 27,5% del 49,72%). Si tratta invero di un prelievo più mite rispetto a quello del trust trasparente o a quello della detenzione diretta delle partecipazioni, ma può trovare una giustificazione in una serie di elementi.

Infatti, i beneficiari non vantano un diritto soggettivo sui dividendi, per cui tassarli in capo al trust come se questi potessero disporne liberamente rappresenta una palese situazione di disparità di trattamento rispetto al trust trasparente. Peraltro, una tassazione eccessiva stride con il regime impositivo delle società di persone, che non comporta alcun pagamento in capo al socio trust sui prelevamenti.

Quindi, ferma restando l’esigenza di innalzare il gettito fiscale, il legislatore dovrà prestare la massima attenzione per evitare di penalizzare o addirittura discriminare un istituto che, seppur molto apprezzato dai “furbi”, persegue moltissime finalità meritevoli di tutela.

E i “furbi”? Di solito costoro palesano un tale disamore per l’istituto da incappare spesso e frequentemente nella casistica del trust interposto, con il conseguente disconoscimento di ogni regime fiscale alternativo a quello previsto, a seconda dei casi, in capo al disponente o al beneficiario.