Quando i giovani colleghi non portano nuovi clienti
di Michele D’Agnolo
C’era una volta un piccolo naviglio che non sapeva navigar. Oggi partiamo da una canzone del Trio Lescano, divenuta una filastrocca per bambini, per parlare di un problema molto serio. Quasi una intera generazione di professionisti, quella più giovane, è spesso in grande difficoltà se non nell’impossibilità di apportare nuova clientela agli studi ai quali appartiene.
Non occorre scomodare Jessica Rabbit per capire che non è assolutamente colpa loro, ma sono stati “disegnati” così.
Fino a qualche tempo fa, un giovane collega che entrasse in studio e portasse della propria clientela poteva essere guardato addirittura con sospetto e fastidio, perché probabilmente non si sarebbe concentrato adeguatamente su quella che lo studio gli voleva assegnare in gestione.
E d’altra parte i professionisti hanno fino ad oggi imparato essenzialmente sul campo il mestiere di procurarsi il lavoro, mentre a una intera generazione è stato sostanzialmente negato un processo di sviluppo delle capacità “commerciali” per tentativi ed errori, partendo da piccoli incarichi per poi andare a incarichi sempre più complessi. Complici forse anche CAF e associazioni di categoria, è mancato ai nostri junior il rapporto con la dirimpettaia a cui fare la prima dichiarazione dei redditi, allo zio che ti porta la semplificata e poi ti presenta l’amico e così via.
In altre parole tradizionalmente si sono avvicinati o formati all’interno degli studi giovani colleghi col solo intento del delivery, cioè di realizzare prestazioni professionali acquisite da altri, essendo il costo di acquisizione di nuova clientela basso ed essendo quindi agevole per i senior dello studio svolgere tale attività. Sono rari i professionisti che hanno spinto i propri giovani a coltivare una propria clientela parallela, e si sono anche assunti il rischio di avere colleghi incapaci di conciliare bene una cosa con l’altra o di avere giovani che si parcheggiano finché non sviluppano una base di clientela sufficiente a staccarsi. L’unica abilità commerciale richiesta era quella di non spaventare i clienti e farli scappare.
Nel tempo tuttavia una quota significativa di giovani professionisti ambisce a un percorso carrierale e stipendiale di crescita. D’altro canto l’ambiente competitivo si è fatto sempre più feroce e i professionisti dotati di capacità commerciali sono spesso insufficienti a portare a casa il pane per tutti.
I “commerciali” dello studio hanno sovente la sensazione di essere come la mamma che porta il cibo ai voraci uccellini dentro al nido. Beccucci sempre spalancati verso l’alto, grande strepito se il bottino è magro, spirito di iniziativa zero.
Soprattutto gli studi di maggiore dimensione, se non affrontano il fenomeno, possono rischiare fenomeni di spin-off da parte dei giovani ai quali non venga dischiuso alcun orizzonte migliorativo o anzi viene detto di tirare ulteriormente la cinghia. Spesso se ne vanno proprio quelli che sono in grado di camminare sulle loro gambe. L’altra alternativa è quello che chiamo l’effetto soufflé, lo studio che collassa su sé stesso, inciampando sui propri costi fissi sempre crescenti.
È quindi indispensabile collegare alle capacità commerciali il percorso carrierale, fin dai primi passi. Se porti nuovi clienti sarà la loro redditività a farti scalare la hit parade, non la nostra.
Attivare le forze commerciali dei giovani professionisti non è cosa da poco. Non solo vogliamo che diventino in pochissimo tempo degli abili “venditori”, ma anche che sappiano cimentarsi subito con clienti di livello compatibile con quelli dello studio. È come pretendere che il leone dello zoo, che hai abituato a succulente bistecche, esca nella savana per la prima volta e ti porti subito una gazzella.
I giovani professionisti spesso si vergognano di proporsi. Questo perché comunque il successo di una proposta commerciale, contrariamente al problema tecnico, non dipende solo dall’abilità del professionista ma da moltissimi fattori esogeni. Perciò il tasso di insuccesso è tendenzialmente molto più alto. Il professionista non vuole, in realtà, mettersi in gioco. È molto più comodo trincerarsi dietro il proprio corpus disciplinare che mettere la propria faccia su qualcosa che non sai come andrà a finire. Come in qualsiasi forma di corteggiamento, i professionisti dovranno accettare un budget iniziale di sonore sconfitte.
Molti giovani professionisti inoltre ritengono che certe abilità siano innate e non trasmissibili. Altri pensano che si possano imparare solo sul campo, mentre invece vi posso assicurare che le competenze necessarie si possono trasmettere con l’affiancamento di professionisti esperti e, a complemento, con lo studio e la preparazione in aula. Ci sono senz’altro colleghi più predisposti e più interessati, ma chiunque può diventare abbastanza esperto da poterlo fare decorosamente.
A mia opinione è quindi indispensabile per la sopravvivenza dello studio stabilire un piano per sviluppare l’abilità commerciale di un numero sufficiente di persone all’interno dello studio e investire sulla loro preparazione in questo campo. Meglio se fossero professionisti e meglio ancora se fossero giovani.
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