Quando il fisco è perfetto
di Maurizio Tozzi – Comitato Scientifico Master Breve 365
Si registra con particolare meraviglia mista a “irrefrenabile” gioia una scelta da parte di un Ufficio periferico che dovrebbe rappresentare la normalità, ma che invece al momento si manifesta quale “prima assoluta”. L’auspicio è che possa rappresentare un’apripista, con conferme sempre più diffuse e soprattutto sottolineatura, a livello centrale, del buon operato effettuato. Raccontiamo subito l’accaduto. Un contribuente è accertato in maniera alquanto anomala e propone ricorso, nella falsa e illusoria convinzione (invero dei professionisti), di avere vita facile in commissione tributaria. Deve dirsi che i professionisti in questione sono stati alquanto avventati nel fornire ampie garanzie, confidando nella incontrovertibilità della norma di riferimento. Come volevasi dimostrare, la commissione tributaria provinciale interpellata respinge il ricorso, avvalorando la tesi del fisco. Al che i professionisti, alquanto ridimensionati nelle convinzioni e soprattutto mortificati agli occhi del cliente, propongono appello, ribadendo le proprie idee e soprattutto sottolineando l’infondatezza dell’avviso di accertamento. Con estremo stupore, positivo, giunge la costituzione in giudizio dell’Agenzia delle Entrate con contestuale richiesta di estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere. Quale il motivo? È utile leggere testualmente la motivazione dell’Ufficio: “tenuto conto che l’Ufficio ha ritenuto non provato con un sufficiente grado di certezza una occultazione di corrispettivo si ritengono valide le ragioni esposte nell’appello e ne consegue l’insostenibilità della pretesa erariale in toto, pur in presenza di una sentenza favorevole della Commissione Tributaria Provinciale”. Peraltro, nella separata autotutela inviata alla parte appellante, è scritto chiaramente: “(…) la presenza di una sentenza favorevole all’Ufficio non è di ostacolo all’adozione di un provvedimento di autotutela atteso che non si è formato il giudicato di merito sul punto”. In primo luogo, appare inutile sottolineare la commozione dei professionisti, le cui ragioni esposte nell’appello sono state ritenute valide, affermazione che li ha “riabilitati” agli occhi dell’ormai scettico cliente. In secondo luogo, divenendo seri, è importante sottolineare la correttezza dell’operato dell’amministrazione in questione (Agenzia delle Entrate di Latina, Ufficio Legale). Con questa autotutela, infatti, è stato valorizzato il reale obiettivo dell’amministrazione finanziaria, ossia quello di far rispettare il principio inviolabile dell’articolo 53 della Costituzione, in forza del quale la tassazione deve essere giusta (e non la maggiore possibile).
Dopo di che sia consentita una riflessione. In precedenza ho usato termini quali “stupore”, “meraviglia”, etc. Questi termini sono (o almeno dovrebbero esserlo), totalmente errati. Non dovrebbe, infatti, sussistere alcun stupore innanzi un atteggiamento simile. Il problema in realtà è dato dall’esperienza concreta quotidiana, a prescindere da quanto affermato dai vertici dell’Agenzia delle Entrate. Sul territorio, purtroppo, si assiste spesso e volentieri ad atteggiamenti vessatori ed esagerati, nonché intransigenti, da parte di chi è preposto al controllo. Spesso si incontrano funzionari che si trincerano dietro affermazioni del genere: “sia chiaro, poi un’adesione oltre il 40% non la lasciano effettuare”. O ancora: “bisogna raggiungere l’obiettivo e allora…”. E via dicendo, le casistiche sono tantissime, così come le testimonianze raccolte. Lo “stupore” e anzi lo sdegno deve essere manifestato in relazione a tali comportamenti; sdegno, peraltro, che dovrebbe essere condiviso a livello centrale dall’amministrazione finanziaria, laddove piuttosto che cercare di difendere l’indifendibile, qualcuno dovrebbe farsi carico di reperire informazioni del genere e intervenire per correggere detti comportamenti. Ben vengano, dunque, decisioni come quella in commento. L’auspicio è che si possano sempre più fare strada dei principi e dei concetti fondamentali nell’indirizzare l’azione dell’amministrazione finanziaria. Ne vengono in mente almeno 3, fondamentali per una concreta convivenza e “reciprocità”, come sancito dallo Statuto del Contribuente:
- Il rispetto dell’articolo 53 della Costituzione. Gli accertamenti devono essere ispirati da tale insuperabile baluardo. Si pensi alle indagini finanziarie. Assistere a veri scempi, come la mera sommatoria spropositata di versamenti e prelevamenti, senza riconoscimenti di costi, è assolutamente intollerabile. Non tutti gli Uffici si comportano in tal modo, per fortuna; ma alle volte si assiste anche a risultanze inconcepibili e pazzesche, che oggi alla luce dell’abbassamento delle soglie del reato tributario sono oltremodo pericolose;
- La valorizzazione delle fasi dell’accertamento con adesione e della mediazione. La mediazione deve essere ampliata quale limite di riferimento. L’adesione deve essere modificata in ordine al confronto, dovendosi anche in tal caso far intervenire un soggetto diverso da colui che ha concluso le operazioni di accertamento. Ma soprattutto, devono essere abrogate le determinazioni forfettarie. Non hanno senso e giustificazione normativa. Se interpellati, i vertici diranno sempre che non ciò non accade. La realtà, che non può nascondersi, è che se l’adesione, sulla base dei documenti prodotti, conduce oltre certi livelli di annullamento dell’accertamento, scatta una “strana” ritrosia alla definizione. Di contro, si assiste all’assurdo del riconoscimento di abbattimenti forfettari a vantaggio di soggetti che non hanno il minimo straccio di prova difensiva. Questi meccanismi sono da “estirpare” in toto: se non vi sono le condizioni di riduzione, l’accertamento resta intatto. Se invece un accertamento di 100 mila euro, deve essere ricondotto sulla base dei documenti a 6.300,00 euro, questa riduzione deve essere effettuata, senza dubbio alcuno;
- L’utilizzo dell’autotutela. Se “premi produttività” devono esserci, devono essere ancorati alla “deflazione” del contenzioso. Da qualche parte l’idea è stata sollevata e chi scrive condivide a pieno: gli obiettivi di accertamento non devono essere i soli a condurre a determinati riconoscimenti. Deve invece essere stabilita una percentuale di non ricorso al contenzioso. Solo in tal modo si avrà modo di apprezzare la bontà dell’accertamento: o da un lato è l’accertato ad attestare, indirettamente, tale bontà (non ricorrendo), oppure è l’ufficio, con l’autotutela, a cancellare un atto sbagliato.
Speriamo a breve di essere costretti a manifestare stupore a fronte dei residuali atteggiamenti poco virtuosi dell’Agenzia delle Entrate. Nel frattempo, vivi complimenti all’Ufficio di Latina.