24 Marzo 2015

Quando il processo di ammortamento si interrompe

di Sergio Pellegrino
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Gli ultimi anni, caratterizzati per molte imprese da conti economici spesso in difficoltà, ci hanno portato molte volte ad interrogarci sulle situazioni nelle quali può, o meglio deve, essere sospeso il processo di ammortamento dei cespiti.

Il processo di ammortamento deve infatti essere sistematico e non può essere “adattato” a quelle che sono le esigenze contingenti della società, attuando quelle che impropriamente vengono definite “politiche di bilancio” (ma in relazione alle quali, da revisori, evidenzieremmo rilievi considerandole deviazioni dall’applicazione delle norme civilistiche e dei principi contabili).

Sono soltanto tre le situazioni nelle quali il processo di ammortamento deve essere interrotto.

La prima riguarda i cespiti destinati alla vendita, che devono essere classificati nell’attivo circolante e non più assoggettati ad ammortamento, venendo valutati al minore tra il valore netto contabile ed il valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato.

Le condizioni che devono sussistere, in base a quanto prevede il principio OIC 16, affinché la riclassificazione debba essere attuata dal redattore del bilancio, sono le seguenti: il bene deve essere vendibile nelle condizioni in cui si trova al momento della data di riferimento del bilancio, non deve richiedere  sostanziali modifiche prima che si possa procedere all’alienazione, la vendita è altamente probabile considerando anche il prezzo di vendita e le condizioni del mercato ed, infine, la circostanza che la vendita avvenga nel breve periodo.

La seconda fattispecie riguarda invece i cespiti obsoleti e quelli non più utilizzati nel ciclo produttivo.  L’iscrizione dovrà avvenire in base al minore tra il valore contabile e il valore recuperabile e dovrà essere valutata l’eventuale presenza di perdite durevoli di valore da determinare ai sensi del nuovo OIC 9.

Da ultimo, il caso in cui il valore contabile dell’immobilizzazione risulti inferiore rispetto al relativo valore residuo stimato.

Il valore residuo è quell’importo realizzabile dal bene, al termine del periodo di vita utile, attraverso la sua alienazione. L’ammontare in questione andrebbe determinato al momento dell’inizio del processo di ammortamento, andando così a definire il valore ammortizzabile al netto di questo importo.

Laddove il valore residuo non sia stato inizialmente quantificato, perché magari non sussistevano le condizioni per effettuare una stima, ciò non toglie che successivamente la valutazione debba essere effettuata: se si arriva ad un momento della vita utile del cespite nel quale è evidente come il valore residuo sia superiore rispetto al valore netto contabile, il processo di ammortamento deve per forza di cose essere interrotto.

Non si può invece interrompere il processo di ammortamento per i cespiti non utilizzati per lungo tempo: l’ammortamento va fatto tenendo conto che in questo lasso temporale il bene è pur sempre soggetto ad obsolescenza tecnica ed economica.

Allo stesso modo, anche la sottoutilizzazione dei cespiti, determinata magari dalle difficoltà di vendita dell’impresa a causa delle difficoltà di mercato, non può determinare un’interruzione del processo di ammortamento: richiederà piuttosto la necessità di valutare se non sussista la necessità di effettuare una svalutazione, atteso il rischio di non poter “recuperare” il valore netto contabile del bene attraverso il suo utilizzo.