È (quasi) arrivato l’enoturismo
di Luigi ScappiniUno dei settori economici trainanti di quest’ultimo periodo è sicuramente quello vitivinicolo.
In tale contesto, lo scorso anno erano stati presentati due disegni di legge che avevano l’obiettivo di regolamentare quella che si sta rivelando una formula di sicuro successo: la visita con degustazione in cantina e successiva vendita dei prodotti.
A distanza di circa un anno dal deposito dei due disegni di legge è arrivata un’accelerazione da parte del Legislatore, che ha portato all’inserimento, nella Legge di bilancio 2018, della disciplina in materia di enoturismo.
Se, da un lato, la regolamentazione deve essere accolta con indubbio favore, dall’altro non si può non evidenziare come la stessa sia, in alcuni punti, sicuramente da correggere, e ci si augura che ciò avvenga in sede di emanazione del previsto decreto ministeriale.
Tuttavia, è proprio qui che sta la preoccupazione degli operatori del settore: infatti, non è individuato un termine ultimo entro il quale debba essere emanato il decreto che, dal combinato disposto delle regole previste, rappresenta un elemento senza il quale l’enoturismo non può decollare.
Ma andiamo con ordine e, innanzitutto, definiamo l’enoturismo che, ai sensi dell’articolo 1, comma 502, L. 205/2017, consiste in “tutte le attività di conoscenza del vino espletate nel luogo di produzione, le visite nei luoghi di coltura, di produzione o di esposizione degli strumenti utili alla coltivazione della vite, la degustazione e la commercializzazione delle produzioni viticole aziendali, anche in abbinamento ad alimenti, le iniziative a carattere didattico e ricreativo nell’ambito delle cantine.”.
Da tale definizione se ne evince, da un alto, l’equiparazione dell’enoturismo alle fattorie didattiche, dal momento che sono previste varie attività aventi l’obiettivo di far conoscere ai clienti il settore, e, dall’altro, la completa apertura dal punto di vista soggettivo di tale attività.
È infatti del tutto assente un collegamento funzionale al mondo agricolo in senso stretto: al contrario di quanto previsto in entrambi i disegni di legge, in cui l’attività veniva riservata ai soli soggetti di cui all’articolo 2135 cod. civ..
In tutta onestà, tale visione era maggiormente condivisibile in quanto veniva, correttamente, richiesto l’esercizio in connessione diretta con l’attività principale di produzione del vino: d’altra parte, questo presupposto potrà essere previsto dal decreto ministeriale richiesto dal comma 504, con il quale dovranno essere individuate le linee guida nonché gli indirizzi in merito ai requisiti e agli standard minimi di qualità richiesti.
Il richiamato decreto dovrà inoltre intervenire anche sugli aspetti impositivi, andando a limare quanto previsto nella Legge di Bilancio, ai sensi della quale l’enoturismo contempla anche “la degustazione e la commercializzazione delle produzioni viticole aziendali, anche in abbinamento ad alimenti”.
Infatti, con il comma 503, ai fini fiscali viene previsto che “Allo svolgimento dell’attività enoturistica si applicano le disposizioni fiscali di cui all’articolo 5 della legge 30 dicembre 1991, n. 413”, rimandando, quindi, alle regole proprie perviste per l’attività agrituristica.
Non ci sarebbe niente di male, anzi, nella realtà è più che corretta tale equiparazione di trattamento essendo le due attività, quelle di agriturismo e di enoturismo, del tutto similari. Tuttavia, si verrebbe a delineare un inasprimento della tassazione in relazione alla vendita dei propri prodotti che, nel rispetto del paramento della prevalenza, trovano di per sé piena copertura reddituale nel reddito agrario ai sensi ed effetti di cui all’articolo 32 Tuir.
Infatti, se non viene corretta la previsione in sede di emanazione del decreto ministeriale previsto, si verrebbe a creare un paradosso, per cui l’imprenditore agricolo avrebbe vantaggio a vendere in un secondo tempo i propri prodotti fatti degustare nel contesto dell’attività enoturistica espletata.
Restando in tema di disciplina fiscale applicabile all’enoturismo, per effetto del rimando all’articolo 5 L. 413/1991, previsto al comma 2, ai fini della detrazione Iva, la stessa si calcola in misura forfettaria, pari al 50% dell’imponibile originatosi, in perfetto allineamento con quanto previsto dall’articolo 34-bis D.P.R. 633/1972 per quanto riguarda le prestazioni di servizi di cui all’articolo 2135, comma 3, cod. civ..
Tuttavia, il Legislatore ha cura di segnalare che tale regime è applicabile esclusivamente a coloro che rientrano tra i soggetti di cui agli articoli 295 e seguenti, Direttiva 2006/112/CE e quindi coloro che esercitano un’attività agricola.
Altrimenti non poteva essere in quanto, in caso contrario, si sarebbe andato contro il dettato comunitario che limita l’applicazione dei regime speciali ai soli casi espressamente previsti.