Quer pasticciaccio del Tar del Lazio sul pane
di Luigi ScappiniMolto spesso si confondono le norme speciali previste per il settore agricolo come norma agevolative ma, nella realtà così non è, in quanto esse rappresentano norme di natura semplificativa.
Ne è un esempio evidente la disciplina Iva declinata con gli articoli 34 e 34-bis D.P.R. 633/1972, di recepimento di quanto previsto a livello comunitario dalla Direttiva 2006/112/CE.
In particolare, gli articoli 295 e segg. della Direttiva affermano che è opportuno lasciare agli Stati membri la possibilità di applicare un regime speciale che preveda la compensazione forfettaria dell’Iva a monte a favore degli agricoltori che non rientrano nel regime normale.
Sulla stessa falsariga, ad esempio, si colloca il regime fiscale previsto per le attività agrituristiche in cui, salvo facoltà di optare per le regole ordinarie, viene previsto che il reddito concorre alla tassazione Irpef in misura pari al 25% del volume di affari generato dall’attività. Tale determinazione forfettaria, tuttavia, non è mai applicabile per i soggetti che esercitano l’attività agrituristica in forma di società di capitali.
E perché il Legislatore introduce questa limitazione soggettiva? La risposta sta nel concetto di semplificazione.
Il regime previsto è un regime semplificativo in termini burocratici e amministrativi e non un regime agevolativo, ed è per questo che viene riservato a quei soggetti che teoricamente sono meno strutturati: le ditte individuali, le imprese di famiglia e le società di persone.
Questa premessa era doverosa per poter meglio comprendere come l’arresto giurisprudenziale del Tar del Lazio, sezione II, sentenza n. 4916 del 28.04.2021, se non corretto dal Consiglio di Stato, potrebbe rappresentare una deriva “pericolosa” per il settore agricolo.
I giudici amministrativi, sollecitati dalla FIPPA (Federazione Italiana Panificatori-Pasticcieri e Affini) hanno verificato la regolarità dell’inclusione del pane tra i prodotti che trovano una copertura reddituale nel reddito agrario ai sensi di quanto previsto dall’articolo 32 Tuir.
Le conclusioni cui giunge il Tar, come anticipato, sono allarmanti in quanto, se si applicassero de plano a tutto l’attuale D.M., lo stesso vedrebbe falcidiate altre attività connesse quali, ad esempio, quelle relative alla produzione di pasta fresca e secca.
Nella realtà l’intento del Legislatore della riforma del 2001 è stato quello di rinnovare la figura dell’imprenditore agricolo che non è più un soggetto strettamente legato al fattore terra (quest’ultimo, infatti, passa dall’essere elemento imprescindibile a elemento potenziale). In tal senso deve essere letta la stessa definizione di attività connessa che diviene categoria aperta per effetto dell’incipit del comma 3 dell’articolo 2135 cod. civ., ai sensi del quale “Si intendono comunque connesse:…”.
Il comma 3 individua quelle attività che, a prescindere, si considerano connesse e tra di esse vi sono anche quelle “dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo”.
Il Legislatore fiscale, riallacciandosi a tale definizione, pone un’ulteriore requisito prevedendo che, per quanto riguarda le attività connesse c.d. di prodotto, sono produttive di reddito agrario solamente quelle aventi a oggetto “beni individuati, ogni due anni e tenuto conto dei criteri di cui al comma 1, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze su proposta del Ministro delle politiche agricole e forestali.”.
Tale affermazione va letta nel senso che, consci che le attività connesse sono per loro natura attività commerciali, solamente alcune di esse, per mezzo della fictio iuris prevista dal dettato civilistico, sono meritevoli di trovare copertura nel reddito agrario.
A questo punto soccorre la Corte di Cassazione che, con la nota sentenza n. 8128/2016, ha avuto modo di chiarire che, civilisticamente, si considerano connesse le attività che hanno a oggetto prodotti provenienti prevalentemente e direttamente dall’attività agricola principale, mentre non si possono considerare tali quelle aventi a oggetto prodotti di secondo grado, conseguenti a successive attività, quali la panificazione.
Tuttavia, correttamente i Supremi Giudici ricordano come la “specificità della materia tributaria senza dubbio consente al legislatore di allontanarsi dagli istituti civilistici o di prescindere dagli stessi, in relazione agli obiettivi fiscali perseguiti; tuttavia, quando ciò non avvenga con legge … ma nell’esercizio di un potere regolamentare secondario, con decreto ministeriale, non è idoneo ad incidere con efficacia espansiva sulle qualificazioni giuridiche contenute nella legislazione primaria, oltre i limiti consentiti dalla stretta interpretazione della norma che lo consente, nel caso in esame l’articolo 32, comma 2, lett. c)”.
In ragione di ciò, il Legislatore fiscale ben potrà ritenere determinati prodotti di “seconda lavorazione” ricompresi nell’alveo dell’articolo 32 Tuir, e questo in ragione di una loro agrarietà riconosciuta per effetto della stessa procedura di emanazione del decreto ministeriale che prevede l’azione da parte del Mipaaf e l’eventuale ricevimento da parte del Mef.
E se così non è, sempre la sentenza n. 8128/2016 chiarisce che il prodotto di seconda lavorazione eventualmente non ricompreso nel decreto ministeriale non rientra nemmeno nel regime forfettario previsto dal successivo articolo 56-bis, comma 2, Tuir in quanto non derivante da attività esercitate in agricoltura ma prodotto a mezzo di processi agroindustriali.
Il processo che porta all’emanazione del decreto ministeriale previsto dall’articolo 32 Tuir è perfettamente delineato e non può prevedere né violazione dei principi di cui all’articolo 32 Tuir, né portare a un eccesso di delega, essendo, come detto, lo stesso Mipaaf che “richiama” a sé attività che altrimenti resterebbero nella sfera commerciale.
Parimenti si ritiene che non vi sia una violazione da parte dell’Italia dell’obbligo di preventiva notificazione alla Commissione Europea richiesta per l’applicazione degli Aiuti di Stato in quanto, come chiarito in premessa, non si è in presenza di un regime agevolativo, bensì semplificativo, tant’è vero che non tutte le attività rientrano nel reddito agrario che appartiene a una delle sei categorie reddituali tipiche previste dall’articolo 6 Tuir, ossia la categoria dei redditi fondiari.