Sul punto, è intervenuta più volte la giurisprudenza di legittimità al fine di chiarire che, nel caso di sequestro preventivo finalizzato alla confisca ex articolo 240 c.p., la motivazione delpericulum in mora è apparente e viziata, laddove si affermi che la disponibilità del ricorrente a far fronte al debito tributario sia stata una mera dichiarazione di principio, non seguita dai fatti e non supportata concretamente per il solo fatto che negli accordi transattivi intercorsi con l’Agenzia delle entrate non erano indicati i codici delle deleghe F24 sulla base delle quali erano state operate le illecite compensazioni (Cassazione n. 6002/2024).
Pertanto, deve ritenersi che il sequestro preventivo è illegittimo per apparente motivazione del periculum in mora, laddove gli accordi transattivi intercorsi con l’Agenzia delle entrate non vengano considerati per la semplice omessa indicazione del codice per le deleghe F24.
In un’altra occasione, è stato altresì precisato che, nel caso di impugnazione di misure cautelari reali, rientrano nella nozione di violazione di legge, per la quale soltanto può essere proposto ricorso per cassazione ex articolo 325, comma 1, c.p.p., anche l’assoluta mancanza di motivazione e la motivazione apparente. Pertanto, il Tribunale del riesame, a fronte di specifiche censure mosse dal ricorrente in ordine al “fumus commissi delicti”, è tenuto, nei limiti del giudizio cautelare, a fornire adeguata motivazione circa l’infondatezza, l’indifferenza o la superfluità degli argomenti opposti con il ricorso, incorrendo, in caso contrario, nella denunciata violazione di legge, cui consegue l’annullamento con rinvio dell’impugnata ordinanza (Cassazione n. 37100/2023).
Quanto, poi, alla confisca del denaro costituente profitto o prezzo del reato, che sia rinvenuto nel patrimonio dell’autore della condotta, e che rappresenti l’effettivo accrescimento patrimoniale monetario conseguito, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che va sempre qualificata come diretta, e non per equivalente, in considerazione della natura fungibile del bene, con la conseguenza che non è ostativa alla sua adozione l’allegazione o la prova dell’origine lecita della specifica somma di denaro oggetto di apprensione. Così come espressamente precisato, tale principio deve ritenersi applicabile anche ai reati tributari, e in tutti i casi in cui il profitto consista in un risparmio di spesa (Cassazione n. 6576/2024).
Ciò significa che, può essere oggetto di sequestro anche il conto aperto dopo l’illecito perché il denaro ne è profitto come il risparmio di spesa, i quali rappresentano concetti equivalenti l’accrescimento patrimoniale e il mancato decremento delle risorse monetarie nella disponibilità del soggetto che ha lucrato dal delitto.
Deve ritenersi, altresì, che in tema di sequestro preventivo, il predicato della concretezza e attualità dell’esigenza cautelare (che legittima l’apprensione anticipata del bene da confiscare), debba comunque riguardare anche il “pericolo” che la cosa possa essere dispersa prima della sua definitiva ablazione, così da vanificare l’adozione della confisca stessa, pena l’inutilità del requisito stesso del periculum in mora (Cassazione n. 4754/2024).
Ne deriva, quindi, che la natura fungibile del denaro non esonera il giudice dal motivare l’esigenza di anticipare il vincolo, indicando la concretezza e l’attualità del pericolo di dispersione prima della confisca.
Da ultimo, con specifico riferimento all’ipotesi dell’Amministrazione giudiziaria, si rileva che la legittimazione all’impugnazione del sequestro preventivo di beni di una società, spetta all’Amministratore giudiziario nominato all’atto del sequestro e non al legale rappresentante della persona giuridica in carica prima del provvedimento ablatorio (Cassazione n. 36064/2023).