7 Ottobre 2024

Questioni Iva sui “falsi appalti”

di Roberto Curcu
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La scheda di FISCOPRATICO

Sulle pagine di questa rivista abbiamo già segnalato la presenza di avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle entrate nei confronti di imprese che hanno ricevuto fatture da fornitori nazionali che si sono resi inadempienti del versamento dell’Iva incassata, nei quali viene contestata la detraibilità dell’Iva su tali fatture. In due recenti contributi, abbiamo cercato di sintetizzare la disciplina della detrazione Iva la quale – a fronte di operazioni realmente avvenutenon permette la detrazione dell’Iva al cliente che partecipava alla frode del proprio fornitore, o ne era consapevole o – ancora – con la normale diligenza poteva capire che il proprio fornitore era un frodatore. In questo senso, si è cercato di illustrare, a grandi linee, quelli che dovrebbero essere i controlli che è necessario fare sui propri fornitori. Nella situazione riepilogata rientrano, quindi, coloro che ricevono fatture per acquisti di beni e servizi realmente avvenuti, nei quali il fornitore non versa l’Iva.

Altra situazione in cui viene contestata la detrazione dell’Iva, avviene quando si ravvisa che l’operazione che ha dato luogo all’emissione della fattura è inesistente; in questo senso, la cronaca ha riportato casi di “falsi appalti”, nei quali emergevano delle situazioni in cui un committente riceveva fatture da imprese (tipicamente cooperative), le quali erano prive di organizzazione e servivano esclusivamente da “serbatoi di manodopera”, in una operazione qualificabile come illecito; da qui, il passo sembra essere abbastanza breve per la contestazione della indetraibilità dell’Iva, tenendo conto, ad esempio, dei seguenti assunti:

  • se i dipendenti fossero stati direttamente retribuiti dal committente (come previsto dalla normativa di settore), il costo del personale non è gravato di Iva;
  • la società appaltatrice non ha fornito un vero e proprio servizio (di appalto), ma una somministrazione (illegale) di manodopera, che è senza Iva;
  • se viene a mancare l’organizzazione tipica dell’imprenditore (codice civile italiano del 1942), il rapporto non può essere di appalto e, quindi, c’è una simulazione;
  • la società appaltatrice, in realtà, è inesistente ed è un tutt’uno con quella committente e, quindi, non possono esserci scambi ai fini Iva; i costi relativi a reato sono indeducibili, quindi anche per l’Iva….

Ora, da alcune situazioni apparse agli onori della cronaca emergeva che il ricorso ai “serbatoi di manodopera” fosse accompagnato da ipotesi di sfruttamento del lavoro, e quasi sempre – a fronte dell’Iva detratta dalla impresa committente – c’era una evasione di Iva da parte delle imprese (false) appaltatrici. In questi casi, è evidente che, in capo all’impresa committente, la detrazione Iva può essere contestata, grazie all’ormai consolidato principio – sdoganato dalla Corte di Giustizia UE – del “non potevi non sapere”; principio che discende dal fatto che, se l’Erario perde delle entrate Iva a causa di comportamenti negligenti dei contribuenti, ha diritto di addossare a questi ultimi la perdita di gettito e – forse – anche di addossare sanzioni; qualora le stesse possano essere anche di natura penale, avremmo a che fare con quelle di dichiarazioni infedeli/fraudolente. Le contestazioni che si vedono hanno, invece, sempre ad oggetto il più grave reato di “falsa fatturazione”, e su tale punto sarebbero opportuni dei maggiori approfondimenti.

Maggiore attenzione dovrebbe essere prestata, invece, nei casi in cui l’erario non ha perso risorse, in quanto le imprese (presunte false) appaltatrici, l’Iva la hanno versata; la richiesta di pagamento di Iva e l’irrogazione di sanzioni conseguenti non dovrebbe essere lo strumento per colpire duramente chi ha commesso violazioni di altre norme (lavoro, immigrazione, ecc…), né derivare da interpretazioni del diritto civile italiano o di altre norme di settore. L’Iva è una imposta armonizzata e la sua interpretazione deve rimanere nei limiti di quanto ha già statuito la Corte di Giustizia Europea, o che potrebbe statuire se opportunamente interpellata dal giudice italiano.

In questo senso, al fine di fornire elementi di riflessione, potrebbe essere segnalata la Sentenza C-114/22, che aveva ad oggetto una impresa che aveva detratto dell’Iva su fatture relative ad un contratto che – per il diritto civile dello Stato membro – era stato considerato nullo, in quanto contrario a norme imperative: in tale Sentenza, la Corte rileva che non è possibile contestare la detrazione dell’Iva per il semplice fatto che per il diritto civile nazionale un contratto è considerato nullo/simulato, ma la detrazione può essere contestata, solo quando una operazione sia considerata simulata secondo i canoni del diritto comunitario (cioè non sia proprio avvenuta), oppure quando la operazione è stata realizzata, ma trae origine da una evasione di imposta o da un abuso del diritto.

Ricordiamo, poi, i seguenti orientamenti della giurisprudenza comunitaria:

  • la sentenza C-281/20, nella quale è stato statuito che un comportamento che mette a repentaglio l’imposizione diretta di uno Stato non può pregiudicare la detrazione dell’Iva;
  • la Sentenza C-395/09 che non consente di considerare indetraibili “in automatico” i costi provenienti da “paradisi fiscali”;
  • le Sentenze C-712/17 e C-564/15 sulla proporzionalità delle sanzioni nel caso in cui l’erario non abbia subito perdite;
  • le varie sentenze sulle stabili organizzazioni che non consentono di negare l’esistenza di rapporti tra soggetti terzi nei casi in cui il cliente (controllante) abbia certe ingerenze sul proprio fornitore (controllato);
  • le sentenze che non consentono una distinzione generale fra le operazioni lecite e le operazioni illecite;
  • le sentenze sulle “frodi” e sull’”abuso del diritto”, dal quale emerge che ciò che mette a repentaglio il principio di neutralità dell’Iva è solo il comportamento che è volto a evadere detta imposta, ecc…

Infine, come non ricordare la Sentenza C-94/19, nella quale la Corte statuisce che le attività di prestito di personale sono soggette ad Iva.

In sostanza, quello che si vuole sostenere è che se non c’è stato danno erariale, essendo difficile “smontare” la soggettività passiva dell’appaltatore, anche in presenza di ingerenze importanti del committente, anche qualora si ravvisi che oggetto del contratto non era un “fare” (tipo spostare merci, lavorarle, ecc…), ma si limita alla gestione di personale, essendo anche quest’ultimo contratto soggetto ad Iva, contestazioni circa l’indetraibilità dell’Iva ed imputazioni in reati che possono portare alla reclusione fino ad 8 anni appaiono più che dubbie.

Alla Corte di Giustizia Europea (si spera…), l’ardua sentenza.