24 Ottobre 2016

Le questioni sulla pignorabilità dei beni si propongono con il riesame

di Luigi Ferrajoli
Scarica in PDF

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 38670 del 16 settembre 2016 si sono pronunciate sulla dibattuta possibilità di proporre dinanzi al giudice penale le questioni riguardanti la pignorabilità dei beni da sottoporre a sequestro conservativo ex articoli 316 e ss. c.p.p..

La statuizione della Corte trae spunto dalle argomentazioni proposte dal ricorrente che lamentava l’illegittimità del sequestro conservativo disposto su beni appartenenti ad un fondo patrimoniale ed in quanto tali sottratti al pignoramento (e dunque al sequestro conservativo) per debiti che, come nel caso specifico, il debitore sapeva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia.

Il Tribunale di riesame in tale occasione sosteneva che ogni questione circa la presunta pignorabilità dei beni oggetto di sequestro dovesse essere prospettata al giudice civile in sede di esecuzione.

Le Sezioni Unite, nella citata sentenza, ricordano come sulla tematica suesposta si sia aperto un acceso dibattito che ha visto negli anni il consolidarsi di due distinti orientamenti: pronunce giurisprudenziali più risalenti si sono espresse a favore della competenza del giudice dell’incidente cautelare penale affermando contestualmente l’illegittimità del sequestro conservativo disposto su beni conferiti ad un fondo patrimoniale a garanzia di un debito contratto da una società fallita in quanto estraneo ai bisogni della famiglia. In tali casi, la Corte ha precisato inoltre quanto fosse irrilevante il fatto che il debito fosse stato contratto prima della costituzione del fondo poiché la pignorabilità andava considerata al momento in cui ha luogo l’esecuzione (Cass. Pen. n. 598/2003).

In tempi più recenti, invece, i giudici di legittimità hanno sostenuto che qualora il sequestro conservativo disposto dal giudice penale vada a ricadere anche sui beni conferiti in un fondo patrimoniale ciò non ne escluderebbe la legittimità “sicché fermo il titolo del sequestro conservativo disposto dal giudice penale, le questioni relative ai limiti della pignorabilità dei crediti sono proponibili solo in sede di esecuzione civile” (Cass. Pen. n. 4435/2011).

La Corte rileva come, sebbene la disciplina del sequestro conservativo penale mostri notevoli similitudini con l’omonimo provvedimento applicabile dal giudice civile previsto dall’articolo 2905 cod. civ. e disciplinato nell’articolo 671 c.p.c., tuttavia non si può prescindere dal fatto che il sequestro conservativo ex articolo 316 c.p.p. rimanga “una misura cautelare penale e che il suo funzionamento va analizzato utilizzando i criteri di fondopropri del sistema a cui lo stesso appartiene.

Pertanto, ai fini dell’applicazione del sequestro conservativo, il giudice penale è tenuto a compiere ogni valutazione richiesta dalla normativa contenuta nel codice di procedura penale e nello specifico dovrà verificare la presenza del periculum in mora individuato nell’articolo 316 c.p.p. nella ”fondata ragione che si disperdano le garanzie per il pagamento della pena pecuniaria, delle spese di procedimento e di ogni altra somma dovuta all’’erario dello Stato” e del fumus boni juris il quale andrà accertato con riferimento alla pendenza del procedimento penale, alla sussistenza della imputazione, nonché con riguardo agli elementi acquisiti per poter vagliare appieno l’effettiva esistenza del diritto di credito.

Il giudice penale, inoltre, non potrà esimersi dal valutare la disponibilità del bene da sequestrare visto il disposto del successivo articolo 320 c.p.p. il quale stabilisce il principio di conversione del sequestro in pignoramento qualora la sentenza di condanna al pagamento della pena pecuniaria o al risarcimento del danno divenisse irrevocabile.

È evidente che anche i rinvii che la normativa processualistica penale compie in riferimento alla disciplina civilistica sono limitati ad ipotesi specifiche quali l’articolo 317 comma 3 c.p.p. ove si stabilisce espressamente che ai fini dell’attuazione della misura cautelare si applichino le modalità previste dal codice di procedura civile, nonché il già citato articolo 320 c.p.p. che per l’attuazione della successiva fase di esecuzione forzata sui beni sequestrati rimanda alle forme prescritte dalla normativa civilistica una volta sopraggiunta l’irrevocabilità della sentenza di condanna.

La Cassazione conclude sostenendo che “con riferimento alla emissione e alla impugnazione del sequestro conservativo penale, il tema dell’inefficacia dell’atto dispositivo non meno che della impignorabilità del bene è agitabile viceversa esclusivamente dinanzi al giudice penale” e chiarisce che “rispettivamente, competente sarà, ove possibile il contradditorio anticipato, il giudice che emette la misura oppure in alternativa o in aggiunta quello del riesame ai sensi dell’articolo 318 c.p.p.”.

Dissolvendo ogni altro dubbio, quindi, la Cassazione sancisce il seguente principio di diritto secondo cui “le questioni attinenti alla pignorabilità dei beni sottoposti a sequestro conservativo sono deducibili con la richiesta di riesame e vanno decise dal tribunale del riesame”, ribadendo che in nessun modo il giudice penale possa vedersi limitato il proprio raggio di valutazione dal giudice civile nonostante la presenza di inevitabili punti di contatto tra le due discipline.

Per approfondire questioni attinenti all’articolo vi raccomandiamo il seguente corso:

Temi e questioni dell’accertamento con Massimiliano Tasini