31 Dicembre 2015

Raddoppio dei termini e prescrizione del reato

di Luigi Ferrajoli
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La Corte di Cassazione con la sentenza n. 20043/15, intervenendo in materia di raddoppio dei termini di accertamento in presenza di denuncia per delitti fiscali, ha affermato che la prescrizione del reato non esclude l’operatività del raddoppio dei termini di accertamento, dal momento che – secondo la Corte – “ai fini del solo raddoppio dei termini per l’esercizio dell’azione accertatrice, rileva l’astratta configurabilità di un’ipotesi di reato e l’intervenuta prescrizione del reato non è di per sé stessa d’impedimento all’applicazione del termine raddoppiato per l’accertamento, proprio perché non rileva né l’esercizio dell’azione penale da parte del p.m. mediante la formulazione dell’imputazione, né la successiva emanazione di una sentenza di condanna o di assoluzione da parte del giudice penale, atteso il regime del “doppio binario” tra giudizio penale e procedimento e processo tributario”.

La norma che prevede il raddoppio dei termini di accertamento, contenuta nell’art.37, co.24, del D.L. n.223/06 dispone espressamente che “in caso di violazione che comporta l’obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 c.p.p. per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 10.03.2000” i termini di accertamento sono raddoppiati relativamente al periodo d’imposta in cui è stata commessa la violazione.

La Corte di Cassazione, nell’affermare l’irrilevanza della prescrizione del reato sul raddoppio dei termini di accertamento, ha richiamato la sentenza della Corte Costituzionale n. 247/2011 che, nel dichiarare non fondate le questioni di legittimità costituzionale della normativa in esame, ha chiarito che: a) il raddoppio dei termini consegue al mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia o dall’inizio dell’azione penale; b) l’obbligo di denuncia sussiste anche ove esistano cause di non punibilità impeditive della prosecuzione delle indagini penali ed il cui accertamento sia riservato all’autorità giudiziaria penale; c) la lettera della legge impedisce di interpretare la disposizione nel senso che il raddoppio dei termini presuppone necessariamente un accertamento penale definitivo circa la sussistenza del reato, anche in quanto ciò contrasterebbe con il regime del “doppio binario” esistente fra giudizio penale e procedimento e giudizio tributario; d) l’obbligo di denuncia opera quando si è in grado di individuare con sicurezza gli elementi del reato da denunciare, escluse le cause di estinzione (come la prescrizione) e non punibilità che possono essere valutate solo dall’autorità giudiziaria penale; e) il pubblico ufficiale non può valutare liberamente se e quando presentare la denuncia ma deve presentarla prontamente; f) sussiste l’obbligo del giudice tributario di vagliare autonomamente la sussistenza nel caso di specie dell’obbligo di denuncia.

Tali principi, secondo la sentenza della Corte di Cassazione in esame, trovano conferma nella consolidata giurisprudenza di legittimità secondo cui, affinché scatti l’obbligo di denuncia all’autorità giudiziaria, è sufficiente che il pubblico ufficiale che vi è tenuto ravvisi nel fatto il “fumus di reato”, cioè l’esistenza di una notizia di reato che, pur non necessitando della certezza dell’esistenza dello stesso reato, deve essere oggettivamente riconducibile ad una fattispecie illecita. La valutazione, invece, degli altri aspetti complementari al fatto tipico, vale a dire l’antigiuridicità ed il dolo, competono in via esclusiva all’autorità giudiziaria.

La sussistenza di una causa di estinzione del reato, quale è la prescrizione ai sensi dell’art.157 c.p., essendo rimessa esclusivamente all’accertamento dell’autorità giudiziaria penale, non pregiudica, quindi, il raddoppio dei termini dell’accertamento stabilito dall’art.37, co.24 del d.l. n.223/2006, né può formare oggetto di valutazione da parte del giudice tributario, tanto più che è la stessa normativa penale a non fare venire meno l’obbligo di denuncia in capo al pubblico ufficiale in presenza di cause di non punibilità o di estinzione del reato.

La finalità di impedire che il raddoppio dei termini sia adoperato in maniera distorta, ossia comunicando al P.M. notizie di reato manifestamente infondate al solo fine di beneficiare di un più ampio termine di decadenza, deve essere realizzata – secondo l’insegnamento della Corte Costituzionale – mediante la devoluzione al giudice di merito del compito di vigilare sull’osservanza degli elementi minimi richiesti dall’art.331 c.p.p. per l’insorgere dell’obbligo di denuncia, cioè della sussistenza degli elementi oggettivi di un reato tributario, negando l’applicazione del termine allungato solo in caso di iniziative di denuncia che appaiono palesemente pretestuose se non addirittura calunniose.

L’estinzione del reato per intervenuta prescrizione può essere pronunciata solo dall’autorità giudiziaria penale e, in ogni caso, non esclude che nella fattispecie concreta sussistano gli elementi oggettivi di un reato tributario, il verificarsi dei quali impone al pubblico ufficiale la presentazione della denuncia penale anche in presenza della causa di estinzione del reato e, conseguentemente, dal punto di vista del procedimento di accertamento tributario, fa scattare il raddoppio dei termini di accertamento.