10 Gennaio 2014

Raddoppio dei termini solo in presenza di ipotesi di reato riscontrate prima dello spirare dei termini ordinari di accertamento

di Massimo Conigliaro
Scarica in PDF

 

Interessante pronuncia della seconda sezione della Commissione Tributaria Provinciale di Ravenna in tema di raddoppio dei termini dell’accertamento in caso di violazioni che comportano l’obbligo di denuncia all’Autorità Giudiziaria. I giudici tributari nella sentenza n. 191 del 11.9.2013 affermano il condivisibile principio che “fin dall’inizio della verifica tributaria devono emergere chiari ed obiettivi elementi indiziari di illeciti tributari con rilevanza penale”.

Tale principio è la logica conseguenza di quanto stabilito dalla Corte Costituzionale (sentenza 247/2011) che non si è limitata ad osservare che il raddoppio dei termini di accertamento è necessario per dotare l’Amministrazione Finanziaria di un maggior lasso di tempo per acquisire dati utili a contrastare illeciti tributari, ma ha anche chiarito che la gravità e la difficoltà di rilevamento di detti illeciti derivano dalla non arbitraria ipotizzabilità dei reati perseguibili.

Nel caso affrontato dai giudici ravennati la verifica fiscale che aveva portato all’emissione dell’avviso di accertamento era iniziata con l’invio di un questionario notificato in data 15 ottobre 2009 ed i fatti costituenti ipotesi di reato erano stati constatati al termine delle operazioni di accertamento il 14 dicembre 2011. La sequenza temporale di tali accadimenti portava ad una considerazione: l’Ufficio aveva intrapreso la verifica (peraltro definita di “particolare complessità, sia in fatto che sotto il profilo giuridico”) senza avere non solo elementi di fatto certi ma nemmeno una probabile possibilità di ottenere un risultato investigativo idoneo a legittimare un raddoppio dei termini.

Non solo. Il controllo era iniziato quando il termine breve di accertamento era già decorso e quindi oltre a mancare i già citati chiari e obiettivi elementi indiziari, non si conosceva ancora l’interpretazione della Corte Costituzionale in riferimento all’autonomia del termine raddoppiato rispetto a quello quadriennale e vi era molta incertezza sulla possibilità di notificare un valido avviso di accertamento con la contestazione di reati tributari dopo la scadenza del termine di al comma 1 dell’art. 43 del D.P.R. n. 600 del 1973.

Sorgeva quindi il dubbio che l’Ufficio avesse iniziato il controllo sulla base di fatti che non erano ancora obiettivamente riscontrabili da parte di un pubblico ufficiale per l’insorgenza dell’obbligo di denuncia penale, lasciando presumere che vi fosse una valutazione discrezionale e meramente soggettiva.

L’avviso di accertamento, nel caso di specie, era stato emesso in data 12 dicembre, cioè prima della conclusione dell’indagine e senza che fossero ancora emersi (o almeno non erano ancora certi nella valutazione dell’Ufficio) gli illeciti di rilevanza penale, constatati solo al termine della verifica.

La cronologia dei fatti – osserva la CTP di Ravenna – obbliga ad una riflessione: la notifica dell’avviso di accertamento è avvenuta in concomitanza con la chiusura dell’indagine (14 dicembre) ma la materiale redazione dell’atto è avvenuta due giorni prima, quando ancora non si era verificato il presupposto per un legittimo raddoppio dei termini.

Posto che con la notifica (per quanto qui interessa) si porta semplicemente a conoscenza del contribuente una determinata contestazione con conseguente pretesa tributaria, sorgono dubbi sulla validità di un atto la cui motivazione deve essere ritenuta rappresentativa soltanto di una possibile (ma non accertata) situazione idonea a legittimare il raddoppio dei termini.

E non è chiaro nemmeno come l’Amministrazione Finanziaria possa affermare che non avrebbe potuto operare alcuna fondata notizia di reato senza prima aver contestato il superamento delle soglie previste per legge: tale superamento, ragionevolmente, non sarà stato calcolato e quindi scoperto solo al momento della redazione dell’avviso di accertamento, bensì si sarà rivelato nel corso dell’indagine con successiva formalizzazione al momento di emissione dell’atto impositivo.

La Commissione Tributaria Provinciale di Ravenna ha quindi giudicato l’operato dell’Ufficio tardivo (o almeno non tempestivo) in riferimento all’inoltro della denuncia; atto, questo, che avrebbe dovuto precedere l’emissione dell’avviso di accertamento ed esservi allegato, sia per rispettare un’estensiva interpretazione del comma 1 dell’art. 7 della L. n. 212 del 2000 sia, soprattutto, per far comprendere al contribuente (e consentirgli quindi una maggior tutela del proprio diritto di difesa) quali erano i fatti di rilevanza penale comunicati alla Procura della Repubblica che determinavano l’applicazione di una norma per lui fortemente penalizzante.

Tale pronuncia si pone in linea con un precedente della CTP Bari (sentenza n. 192/2011) che ha stabilito che il raddoppio dei termini per l’accertamento fiscale, previsto nei casi di reati tributari con obbligo di denuncia penale (ex art.37, comma 24, D.L. n.223/06), non può essere applicato retroattivamente, tenuto conto del carattere afflittivo sanzionatorio che ne deriverebbe al ricorrente.