Rappresentanza indiretta e responsabilità dell’IVA all’importazione
di Marco PeiroloIn base all’art. 5 del Reg. CEE n. 2913/1992 (Codice doganale comunitario), chiunque può farsi rappresentare presso l’Autorità doganale per l’espletamento di atti e formalità previsti dalla normativa doganale.
Analogamente a quanto previsto dal Codice Civile, la rappresentanza può essere:
- diretta, quando il rappresentante agisce in nome e per conto di terzi, oppure
- indiretta, quando il rappresentante agisce in nome proprio ma per conto di terzi.
La rappresentanza indiretta è libera, mentre la rappresentanza diretta, limitatamente alla presentazione della dichiarazione e quindi nemmeno per tutta l’operazione doganale, è riservata ad una categoria particolare di persone fisiche, ossia gli spedizionieri doganali, i quali peraltro possono farsi conferire un mandato/procura più ampio.
In via generale, chi agisce in veste di rappresentante indiretto diventa responsabile dell’obbligazione doganale, nonché delle violazioni compiute nell’esercizio del proprio incarico.
Nelle importazioni, per esempio, obbligato al pagamento dell’Iva è il dichiarante, cioè la persona che fa la dichiarazione in dogana a nome proprio, ovvero la persona in nome della quale è fatta la dichiarazione in dogana (art. 4, punto 18, del Codice doganale comunitario). Ai sensi, tuttavia, dell’art. 201, par. 3, del Codice doganale comunitario, chi agisce come rappresentante indiretto diventa parimenti debitore dell’obbligazione doganale all’importazione.
Questo principio è applicato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, in caso di rettifica dell’accertamento doganale dovuto all’invalidità della dichiarazione d’intento (sent. 27.03.2013, n. 7720). È stato, infatti, affermato che la responsabilità per il pagamento dell’Iva non corrisposta in sede di introduzione della merce nel territorio comunitario si estende al rappresentante indiretto, del quale l’importatore si è avvalso per espletare le operazioni doganali di importazione.
Il ragionamento dei giudici di legittimità si basa su un duplice assunto.
In primo luogo, l’obbligo di pagare l’Iva discende, nel caso considerato, non già dalla presentazione della lettera d’intento mendace, ma dall’operazione di importazione in sé, eseguita dal rappresentante indiretto attraverso la presentazione della dichiarazione doganale.
In secondo luogo, la responsabilità solidale del rappresentante indiretto si estende all’Iva dovuta dall’importatore, in quanto l’Iva – al pari dei dazi doganali – rappresenta un diritto di confine; in base all’art. 34 del D.P.R. n. 43/1973 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale), fra i diritti doganali costituiscono “diritti di confine” “i dazi di importazione e quelli di esportazione, i prelievi e le altre imposizioni all’importazione o all’esportazione previsti dai regolamenti comunitari e dalle relative norme di applicazione ed inoltre, per quanto concerne le merci in importazione, i diritti di monopolio, le sovrimposte di confine ed ogni altra imposta o sovrimposta di consumo a favore dello Stato”.
In merito a quest’ultimo aspetto, occorre però osservare che l’art. 4, punto 9, del Codice doganale comunitario definisce l’obbligazione doganale come “l’obbligo di una persona di corrispondere l’importo dei dazi all’importazione (obbligazione doganale all’importazione) o l’importo dei dazi all’esportazione (obbligazione doganale all’esportazione) applicabili in virtù delle disposizioni comunitarie in vigore ad una determinata merce”.
L’Iva, anche assimilandola ad un dazio doganale, in considerazione della sua pretesa natura di diritto di confine, rappresenta pur sempre un tributo interno.
A favore di questa conclusione è giunta anche, più recentemente, la giurisprudenza di merito. In un caso simile a quello affrontato dalla Suprema Corte è stato, infatti, affermato che la responsabilità solidale prevista dall’art. 201, par. 3, del Codice doganale comunitario si riferisce ai dazi doganali e non anche all’Iva all’importazione, siccome quest’ultima non costituisce una “risorsa propria” del bilancio comunitario, ma un tributo interno (C.T. Prov. di Milano, 15.05.2014, n. 4437).
Si tratta di un principio successivamente avallato dalla Corte di Giustizia nella causa C-272/13 del 17.07.2014. Tale pronuncia, nello stabilire che l’assolvimento dell’Iva attraverso il reverse charge impedisce che la stessa operazione possa essere sopposta ad accertamento doganale, con recupero dell’Iva all’importazione, conferma che l’Iva dovuta in dogana è un tributo interno e, in quanto tale, non è possibile pretenederne nuovamente il pagamento.
Risulta, pertanto, superata la diversa tesi della Corte di Cassazione che, a sostegno della pretesa degli Uffici, ha escluso che si verifichi una duplicazione d’imposta, “non potendo l’avvenuto assolvimento, mediante autofattura, dell’Iva interna, compensare il mancato pagamento dell’Iva all’importazione”, trattandosi di due tributi distinti (sentenze 19.05.2010, nn. 12262 e 12275; sentenze 21.05.2010, nn. 12577, 12578, 12579, 12580 e 12581).
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