9 Marzo 2020

Rassegna di giurisprudenza sulle associazioni sportive dilettantistiche – II° parte

di Guido Martinelli
Scarica in PDF
La scheda di FISCOPRATICO

Proseguendo l’analisi avviata con il precedente contributo, giova sottolineare che anche la CTR Emilia Romagna, con propria decisione del 10.01.2020, è tornata sul tema della presunzione di spesa pubblicitaria delle sponsorizzazioni sportive il cui valore complessivo non supera i 200.000 euro, ai sensi e per gli effetti di quanto previsto dall’articolo 90, comma 8, L. 289/2002.

La controversia nasceva da un accertamento operato dall’Agenzia delle entrate di Reggio Emilia che riprendeva a tassazione, tra l’altro, “l’illegittima deduzione di spese pubblicitarie ritenute indimostrate, eccessive, e comunque non utili rispetto all’attività commerciale svolta per difetto di inerenza”.

Confermato in primo grado l’accertamento, per il capo di nostro interesse, il contribuente impugnava la decisione per la parte relativa alla indeducibilità delle spese pubblicitarie.

Ribadiva di aver provato, già in primo grado, sia i pagamenti alle società sportive, sia l’effettivo svolgimento di tale attività di sponsorizzazione e di promozione dell’immagine grazie al deposito di copioso materiale fotografico.

In merito, poi, alla utilità commerciale, l’azienda ha provato che nei consigli direttivi delle società sportive sponsorizzate sedevano alcuni dei migliori clienti dell’azienda oggetto di accertamento.

Il Giudicante di secondo grado, ha ritenuto che, una volta verificati i presupposti (ossia l’effettività della spesa e l’adempimento del contratto da parte della sportiva), l’aspetto della pretesa antieconomicità della sponsorizzazione appare superato dalla disposizione normativa sopra indicata  che costituisce: “una norma di favore per le associazioni sportive dilettantistiche perché consente l’integrale deducibilità delle sponsorizzazioni loro rivolte e quindi incentiva la corresponsione di denaro da parte degli sponsor” .

Ha quindi chiarito che, ai fini della applicazione della norma, non occorra una valutazione di inerenza in ordine alla congruità dei costi rispetto al volume d’affari e all’oggetto sociale, in quanto, per poter qualificare la sponsorizzazione sportiva quale spesa pubblicitaria sono sufficienti quattro elementi:

a) la qualifica sportivo-dilettantistico del soggetto sponsorizzato;

b) il rispetto del limite quantitativo di euro 200.000 annui;

c) l’obiettivo di promuovere l’immagine e i prodotti dello sponsor;

d) la specifica attività promozionale posta in essere dal soggetto sponsorizzato.

La sezione lavoro della Corte d’Appello di Firenze, con sentenza n. 196 del 07.05.2019, è intervenuta, invece, su un ricorso, svolto dagli enti previdenziali contro una sentenza di primo grado che aveva accolto un ricorso di una associazione sportiva dilettantistica avverso un verbale di accertamento relativo ad omissioni contributive ed assicurative in relazione ad un rilevante numero di collaboratori impiegati nei centri estivi per ragazzi dalla stessa gestiti in convenzione con il Comune di Firenze.

Secondo la tesi degli istituti appellanti: “tali rapporti di collaborazione dovevano essere considerati di natura subordinata e comunque non poteva trovare applicazione l’esenzione di cui all’articolo 67 primo comma lett. m) Tuir in quanto tali lavoratori erano stati impiegati in attività di animazione, coordinamento, custodia e sporzionamento dei pasti e quindi non in attività sportive in modo diretto.”

Il primo Giudice aveva ritenuto che la funzione principale delle risorse umane coinvolte fosse appunto quella dell’avviamento ad una specifica disciplina sportiva, assumendo le altre attività svolte carattere meramente sussidiario.

Sulla base di tale presupposto e della circostanza che la didattica e la formazione sono da ricomprendersi nel concetto di esercizio diretto di attività sportiva dilettantistica, secondo la sentenza appellata non appariva rilevante “accertare la natura (subordinata o autonoma) delle collaborazioni in quanto la legge consente l’esonero senza distinzioni”.

Di contrario avviso si dichiara invece il Giudice di Appello.

Sostanzialmente viene ritenuto che l’attività svolta, nell’ambito dell’appalto con il Comune di Firenze, non sia stata quella di svolgere od organizzare competizioni, gare, manifestazioni sportive a carattere dilettantistico ma si sia trattato di animazione, intrattenimento e controllo dei ragazzi nei centri estivi del Comune di Firenze (“I collaboratori hanno svolto con contenuti diversi attività di animazione, di coordinamento, di custodia e di assistenza ai pasti”).

A tale convincimento il Collegio giungeva anche analizzando il bando di gara in cui si indicava che il centro estivo era: “un servizio educativo, ludico, sportivo e culturale”.

Pertanto ha ritenuto che nei centri estivi non venisse svolta principalmente attività sportiva, provato anche dal fatto che: “non è infatti richiesto nel bando il contributo di alcun istruttore sportivo”. Lo stesso volantino redatto per la promozione di detti centri prevede un “servizio educativo che comprende attività di animazione, gite, pasti, trasporti e assicurazione”.

Veniva pertanto accolto il ricorso presentato dagli enti previdenziali, con la riconversione del rapporto tra quelli per i quali si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato, trattandosi di collaborazione etero organizzata.