Recesso dallo studio associato: quadro normativo civilistico e fiscale
di Alessandro Siess di MpO & PartnersBarbara Marrocco di MpO & PartnersPrima parte: gli aspetti civilistici e fiscali
La riforma delle professioni (articolo 10, Legge 183/2011, D.L. 1/2012) ha introdotto la possibilità di costituire società tra professionisti (stp) sulla base dei modelli societari previsti dal codice civile, facendo salvi i diversi modelli associativi vigenti (e ciò nonostante l’abrogazione della Legge 1815/1939 che disciplinava le associazioni professionali). Rispetto alla normativa civilistica di riferimento per le stp, coincidente con quella propria della tipologia di società prescelta dai soci, più controverso appare il quadro normativo dello studio associato, soprattutto con riferimento alle ipotesi che possono modificare l’organizzazione dell’associazione. Si pensi, ad esempio, allo scioglimento del rapporto sociale a seguito di morte, recesso o esclusione del singolo socio.
Sul piano civilistico le associazioni professionali sono state considerate da dottrina e giurisprudenza, pur con qualche variante interpretativa, alla stregua di contratti associativi con rilevanza esterna, a cui si sovrappone il principio della personalità della prestazione. L’organizzazione di tali strutture associative è stata generalmente equiparata a quella delle società semplici, strutture societarie aventi natura economica ma non commerciale.
Tale equiparazione, ai fini delle imposte sui redditi, è invece espressamente prevista dall’articolo 5, comma 3, lett. c, TUIR, coerentemente con la natura economica, ma non commerciale, dell’attività professionale. Sul punto la risoluzione AdE 142/E/2008 ribadisce che il reddito prodotto dallo studio associato viene attribuito ai singoli associati, indipendentemente dalla percezione effettiva, in forma di reddito di partecipazione (articolo 5, Tuir). Le modalità di ripartizione degli utili conseguiti dallo studio associato vengono stabilite nel relativo statuto.
Data questa premessa, esaminiamo ora quali siano le implicazioni di carattere civilistico e fiscale nell’ipotesi di recesso del socio di un’associazione professionale.
Sul piano civilistico, l’articolo 2285 cod. civ. stabilisce che nelle società semplici, il socio può recedere dalla società nei casi previsti nel contratto sociale ovvero quando sussiste una giusta causa; in tale ipotesi, come anche in ogni caso in cui il rapporto sociale si sciolga limitatamente ad un socio, è necessario procedere alla liquidazione della quota spettante al socio recedente sulla base della situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento (articolo 2289 cod. civ.). Sempre ai sensi dell’art. 2289 cod. civ., “se vi sono operazioni in corso, il socio o i suoi eredi partecipano agli utili e alle perdite inerenti alle operazioni medesime”. Verranno esaminate nella seconda parte dell’articolo, pubblicata la prossima settimana, le problematiche inerenti i criteri di valutazione della quota ed alla determinazione dell’avviamento, sovente oggetto di differenze applicative.
Sul piano fiscale, il quadro che oggi emerge sulla base della normativa tributaria, nonché delle risoluzioni e circolari della AE, è il seguente:
- risoluzione AdE 142/E/2008 (indennità di recesso corrisposta al socio receduto non titolare di autonoma partita Iva): l’indennità di recesso in capo all’associato uscente deve essere assoggettata a tassazione separata ( 17, c. 1, lettera l, TUIR) se il periodo di tempo intercorso tra la costituzione della società e la comunicazione del recesso è superiore a cinque anni. Essendo irrilevante ai fini IVA l’attività svolta dai singoli professionisti associati, si ritiene che resti irrilevante, ai fini dell’IVA, anche la corresponsione dell’indennità di recesso, pertanto, l’indennità in oggetto è esclusa dal campo di applicazione IVA e non determina, per il professionista che recede, alcun tipo di obbligo (fatturazione, registrazione, etc.).
- La medesima risoluzione AdE 142/E/2008, per altro, si è espressa in materia di indennità di recesso corrisposta al socio receduto non titolare di autonoma partita Iva, affermando che all’associato viene corrisposta, tra l’altro, fatte salve diverse pattuizioni tra i soci, una quota corrispondente al conferimento inizialmente effettuato ed una quota aggiuntiva idonea a tener conto dell’apporto dato dal socio recedente all’acquisizione della clientela.
- Circolare AdE 8/E/2009 (par. 1.3): in assenza di corrispettivo per la ‘cessione di clientela’, né al momento dell’adesione all’associazione né al momento dell’eventuale recesso da parte del singolo professionista, non emerge alcuna materia imponibile da assoggettare a tassazione, ex 54, c. 1-quater, TUIR.
- Risoluzione AdE 177/E/2009: la mancata valorizzazione dell’apporto di clientela al momento dell’ingresso nell’associazione comporta l’irrilevanza dell’apporto in sede di recesso dell’associato. Configura un’operazione fiscalmente irrilevante in capo ai singoli associati, indipendentemente dalla circostanza che tale apporto rientri tra i parametri considerati per la fissazione delle quote di partecipazione agli utili.
- articolo 20-bis Tuir (Redditi dei soci delle società personali in caso di recesso, esclusione, riduzione del capitale e liquidazione): Ai fini della determinazione dei redditi di partecipazione compresi nelle somme attribuite o nei beni assegnati ai soci o agli eredi, di cui all’articolo 17, comma 1, lettera l), si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dell’articolo 47, comma 7, indipendentemente dall’applicabilità della tassazione separata’.
- articolo 47, comma 7, Tuir (Utili da partecipazione): ‘Le somme o il valore normale dei beni ricevuti dai soci in caso di recesso … costituiscono utile per la parte che eccede il prezzo pagato per l’acquisto o la sottoscrizione delle azioni o quote annullate’
- articolo 6 Tuir (Classificazione dei redditi): I singoli redditi sono classificati nelle seguenti categorie: a) redditi fondiari; b) redditi di capitale; c) redditi di lavoro dipendente; d) redditi di lavoro autonomo; e) redditi di impresa; f) redditi diversi. I proventi conseguiti in sostituzione di redditi, anche per effetto di cessione dei relativi crediti, e le indennità conseguite, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti.
- articolo 67, c. 1, lett. c ) e c) bis, Tuir: esclude dalla tassazione fra i redditi diversi le plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni in associazioni professionali.
Dall’applicazione del combinato disposto della normativa, prassi e giurisprudenza sopra elencata, pare si possa far derivare che il reddito imponibile relativo all’indennità di recesso è costituito dalla differenza tra la somma percepita a titolo di liquidazione della quota e il prezzo pagato per l’acquisto della stessa o quanto inizialmente conferito dal professionista. Qualora lo studio associato, alla data della comunicazione del recesso, sia costituito da più di 5 anni, il professionista uscente può beneficiare della tassazione separata.
Restano tuttavia delle possibili perplessità sulla qualificazione dei redditi derivanti dall’indennità di recesso, poiché non essendo contemplata nell’articolo 6 Tuir la categoria dei redditi di partecipazione, si dovrebbe ritenere che l’indennità di recesso mantenga la natura di reddito di lavoro autonomo. In relazione a questi ultimi temi, dunque, sarebbe opportuno un chiarimento da parte dell’amministrazione finanziaria.
La parte seconda (i criteri di valutazione della quota) verrà pubblicata la settimana prossima.