Recesso da soggetti IRES
di EVOLUTIONL’articolo 47, comma 7, del Tuir evoca una particolare fattispecie generatrice di utile da partecipazione, vale a dire reddito da capitale, in base alla quale Le somme o il valore normale dei beni ricevuti dai soci in caso di recesso, di esclusione, di riscatto e di riduzione del capitale esuberante o di liquidazione anche concorsuale delle società ed enti costituiscono utile per la parte che eccede il prezzo pagato per l’acquisto o la sottoscrizione delle azioni o quote annullate.
Il messaggio statuito dalla norma appare chiaro: i frutti derivanti dalla detenzione della partecipazione debbono essere trattati in modo uniforme, sia che assumano la veste di dividendi, sia che si palesino sotto forma di valori rimborsati in occasione di particolari fattispecie, quali il recesso, l’esclusione, il riscatto, la riduzione del capitale e la liquidazione.
Le forme con cui si può realizzare il recesso dalla società (ipotizzando che il soggetto recedente sia persona fisica) sono sostanzialmente due:
- il recesso “atipico”, che consiste nell’acquisto della partecipazione da parte di altri soci (ovvero anche di un terzo soggetto). In tal caso, l’eventuale maggior corrispettivo percepito rispetto al costo fiscale della partecipazione rappresenta un reddito “diverso” tassato come capital gain, con la ulteriore osservazione che – nelle società di capitali – il capital gain subisce la stessa tassazione dei dividendi (si veda la scheda redditi diversi da partecipazioni societarie);
- il recesso “tipico”, mediante il quale è la stessa società che, riducendo le poste del netto, rimborsa le somme dovute al soggetto recedente. In tal caso si applica la norma in commento che prevede la tassazione come reddito di capitale.
Nelle S.p.a. è ammesso, in talune circostanza, anche l’acquisto di azioni proprie.
La norma si applica tanto nella fattispecie in cui si attribuisca al socio recedente una somma in denaro, quanto in quella in cui si attribuisca un bene in natura. Nel secondo caso, il Tuir si premura di precisare come debba avvenire la quantificazione del valore del bene, vale a dire utilizzando il valore normale di cui all’articolo 9 del Tuir.
Come l’affermazione teorica debba essere tradotta in pratica risulta difficile; sarà semplice quando vi sono listini o quotazioni ufficiali di riferimento (ad esempio, per un immobile si potrebbe ricorrere ai valori OMI), sarà assolutamente difficoltoso quando manca tale conforto. Una piccola perizia, anche non asseverata, potrà essere la soluzione migliore per evitare problemi astratti di quantificazione.
Si faccia attenzione, però, al fatto che l’attribuzione di beni in “natura”:
- ai fini delle imposte dirette, comporta che il bene (sia patrimoniale, che merce) si consideri realizzato a valore normale in capo alla società, con possibile emersione di plusvalori (immobilizzi) o componenti positive (beni merce). Peraltro, le plusvalenze non sono nemmeno frazionabili in 5 esercizi;
- ai fini Iva si determina la necessità di assoggettamento al tributo, in quanto siamo dinnanzi ad una destinazione a finalità estranee all’esercizio di impresa;
- ai fini delle imposte d’atto (registro ed ipo-catastali) si rende necessaria l’applicazione nelle misure previste per legge in occasione del trasferimento del bene (tipicamente gli immobili).
Nella Scheda di studio pubblicata su EVOLUTION sono approfonditi, tra gli altri, i seguenti aspetti: |
28 Novembre 2021 a 18:11
Salve, mi chiamo Paolo,
vorrei sapere quale regola si può applicare al caso di un recesso tipico con il rimborso di capitale molto inferiore al valore normale della quota ceduta. Questo può accadere quando i soci residui sono gli stessi che recedono solamente per una quota, oppure nel caso in cui i soci che recedono rimangono sempre soci indiretti tramite una holding da loro interamente controllata.
Grazie