Reddito estero e calcolo del credito per imposte estere
di Fabio LanduzziLa Circolare n. 9/2015 dell’Agenzia delle Entrate si è occupata di numerosi aspetti relativi al funzionamento del complesso meccanismo del credito per imposte estere che è disciplinato dall’art.165 del Tuir ma che trova anche diversi collegamenti con le regole contenute nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni quando stipulate dall’Italia con gli altri Stati.
Uno dei tanti aspetti controversi di questo meccanismo riguarda da sempre la modalità di quantificazione del reddito estero da porre a numeratore del rapporto in base al quale si determina il credito per imposte estere scomputabile dall’imposta italiana. L’interrogativo riguarda se questo valore (il reddito estero), ai fini del rapporto in discussione, debba essere assunto al lordo – ovvero, nella misura pari all’elemento di reddito assoggettato a tassazione (sovente, mediante ritenuta alla fonte) nello Stato estero – oppure se debba essere assunto secondo una logica differenziale, e quindi contrapponendo al ricavo (tassato all’estero) i relativi costi.
E’ evidente che, se il tema fosse approcciato in termini di mera omogeneità dei dati – intesi come numeratore e denominatore del fatidico rapporto – si sarebbe indotti a rispondere all’interrogativo sopra esposto dando credito alla tesi della logica differenziale. Tuttavia, questa soluzione incontra quantomeno due punti di criticità: il primo è strettamente operativo, in quanto è spesso molto difficile, se non impossibile, poter correlare all’elemento di reddito tassato all’estero, un ammontare di costi ad esso relativi; inoltre, resterebbe irrisolta alla radice l’eliminazione della doppia imposizione in quanto ad un elemento di reddito tassato all’estero (per intero) corrisponderebbe invece l’assunzione di un valore diminuito dai costi ad esso imputati ai soli fini del conteggio della quota di imposta estera recuperabile in Italia.
Il Commentario Ocse rimette la scelta alle legislazioni nazionali. L’Italia, da parte sua, non è mai intervenuta normativamente sul punto, fatta salva la comparsa effettuata nello schema di D.Lgs. n.344/03 di una locuzione con cui si sposava l’approccio “lordista”; la versione definitiva dello schema di D.Lgs. non ha poi visto confermato questo passaggio, ma parrebbe che ciò sia stato dovuto per lo più alla necessità di evitare che si potesse fraintendere la portata normativa intendendola come una novità, con l’effetto di sollevare un problema serio per tutti i comportamenti tenuti nel passato. E così la situazione di apparente incertezza si è protratta sino ai giorni nostri dove, alla luce del recente intervento dell’Agenzia delle Entrate, può dirsi avere assunto maggiore chiarezza nei termini che qui di seguito possiamo riassumere:
- quando il reddito estero è prodotto in forma di reddito d’impresa per mezzo di una stabile organizzazione dell’impresa italiana situata nello Stato estero, il reddito estero da porre a numeratore del rapporto deve essere determinato al netto dei relativi costi;
- quando invece si tratta di redditi diversi da quelli d’impresa, il reddito estero da porre a numeratore del rapporto va determinato al lordo dei costi. L’Agenzia delle Entrate precisa a tale scopo che questa indicazione non deve essere comunque strumentalizzata con operazioni dirette a monetizzare crediti d’imposta estera non spettanti, in quanto in tali circostanze si potrebbero configurare comportamenti censurabili alla luce del principio dell’abuso del diritto.
E’ evidente che l’approccio tratto dall’intervento dell’Agenzia delle Entrate per i redditi prodotti al di fuori di stabili organizzazioni – ad esempio: interessi, royalty, ed anche canoni o corrispettivi assimilati coperti da imposizione nello Stato della fonte consentita da una previsione convenzionale – appare condivisibile in quanto, come sopra detto, non solo rende operativamente più semplice la gestione di questi calcoli, ma soprattutto risulta maggiormente rispondente alla ratio di eliminare in modo efficace la doppia imposizione.