Redditometro, la Cassazione severa sul nucleo familiare. Esclusi i redditi dei conviventi
di Maurizio Tozzi – Comitato Scientifico Master Breve 365
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5365 del 7 marzo 2014, assume una posizione abbastanza severa in materia di redditometro, seppur da analizzare nel dettaglio e da comprendere circa il concreto ambito applicativo. La suprema Corte, infatti, si è espressa circa l’onere difensivo del contribuente, in primo luogo sottolineando come in relazione ai parametri e ai risultati derivanti dall’applicazione del redditometro al fisco non si pone obbligo di effettuare ulteriori valutazioni, con ciò dunque virando nuovamente verso un’interpretazione di “presunzione legale relativa” di tale strumento, contrariamente invece a quanto accaduto in altre occasioni, dove aveva preso corpo la convinzione che trattasi di una presunzione semplice. In particolare, sul fronte della presunzione semplice si erano espressi la sentenza n. 23554 del 20 dicembre 2012, secondo cui “D’altra parte, proprio l’accertamento sintetico disciplinato dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, gia’ nella formulazione anteriore a quella successivamente modificata dal D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 22, convertito in L. n. 122 del 2010, tende a determinare, attraverso l’utilizzo di presunzioni semplici, il reddito complessivo presunto del contribuente mediante i c.d. elementi indicativi di capacita’ contributiva stabiliti dai decreti ministeriali con periodicita’ biennale” e successivamente tale tesi è stata confermata dalla medesima Corte con la sentenza n. 2806 del 6 febbraio 2013, secondo cui la determinazione sintetica del reddito “consiste nell’applicazione di presunzioni semplici, in virtù delle quali (art. 2727 c.c.) l’ufficio finanziario è legittimato a risalire da un fatto noto (nella specie, l’esborso di rilevanti somme di denaro per l’acquisto di quote sociali) a quello ignorato (sussistenza di un certo reddito e, quindi, di capacità contributiva)”. In tale direzione peraltro si sono poste numerose Commissioni di merito, tra cui le sentenze della CTP di Torino, nn. 2 e 3 del 12 dicembre 2012 e la sentenza n. 1 del 20 gennaio 2013 della CTP di Trieste.
Posto, dunque, che il dibattito circa la portata presuntiva del redditometro resta aperto, è bene soffermarsi sulla precisazione principale effettuata dalla sentenza in commento. In sostanza, la linea difensiva addotta dalla contribuente verteva sulla mancata considerazione, da parte della CTR, dei redditi di alcuni familiari conviventi, in forza dei quali si sarebbero potuti giustificare gli scostamenti registrati dal redditometro. La Cassazione, richiamando altri precedenti, puntualizza che “(…) con riferimento alla determinazione sintetica del reddito complessivo netto in base ai coefficienti presuntivi (c.d. redditometri), la prova contraria, richiedendo la dimostrazione documentale non solo della sussistenza di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ma anche del possesso di tali redditi da parte del contribuente, implica un riferimento alla complessiva posizione reddituale dell’intero nucleo familiare, per tale intendendosi esclusivamente la famiglia naturale, costituita dai coniugi conviventi e dai figli, soprattutto minori (….) la presunzione del concorso di tali soggetti alla produzione del reddito, che può fornire giustificazione agli indici rivelatori di maggiore capacità contributiva concretamente adoperati dall’Ufficio ai fini dell’accertamento sintetico, trovando fondamento nel vincolo che lega le predette persone, e non già nel mero fatto della convivenza, esclude infatti la possibilità di desumere da quest’ultima il possesso di redditi prodotti da un parente diverso o da un affine, in quanto tale estraneo al nucleo familiare”.
L’interpretazione fornita è dunque severa come inquadramento della famiglia rilevante sul fronte difensivo, ma deve essere analizzata con estrema attenzione. In sostanza, i supremi giudici hanno ritenuto che nel “plafond” dei redditi da considerare non possano essere ritenuti rilevanti quelli di soggetti conviventi ma non rientranti nel nucleo familiare. Seppur tale interpretazione è stringente, è bene comunque sottolineare che non si pone in contrasto con altre decisioni in cui si è invece data giusta rilevanza all’intervento documentato di familiari, pur estranei al nucleo familiare, che hanno consentito un ben preciso evento reddituale. È il caso, ad esempio, della sentenza della Corte di Cassazione n. 17805 del 17 ottobre 2012, secondo cui il redditometro può essere confutato dimostrando che il denaro è stato elargito da terzi: in tal modo, infatti, non vi è alcuna manifestazione di capacità contributiva occultata, in quanto, al massimo, ciò può essere ravvisato in capo al soggetto che ha fornito il denaro.
Sintetizzando gli assunti che emergono dalle decisioni in commento, può in sostanza concludersi che se è vero che nella mera sommatoria dei redditi con cui si intende giustificare lo scostamento devono considerarsi solo quelli del nucleo familiare, è altrettanto vero che nulla vieta l’intervento documentato da parte di soggetti terzi. L’ipotesi potrebbe essere quella dell’acquisto di immobile effettuato dal figlio, ove il genitore, comparso in atto, abbia di fatto elargito il denaro.
Torna pertanto con forza il consiglio basilare di documentare sempre in maniera compiuta gli aiuti ricevuti da terzi. Nulla vieta tali interventi, anzi alla luce dell’articolo 433 del codice civile è lo stesso legislatore a prevedere una solidarietà allargata, oltre i confini del nucleo familiare, tra soggetti aventi determinati rapporti. La modalità tracciata evita però qualsiasi equivoco: dunque, per quanto possa sembrare paradossale, tra genitori e figli, o anche tra fratelli, è sempre opportuno effettuare interventi con bonifici bancari e assegni, che reggono a qualsiasi contestazione.