18 Settembre 2018

Regime 398/1991: soglia di ricavi valida ai soli fini reddituali

di Luca Caramaschi
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Uno dei chiarimenti più rilevanti che offre la circolare AdE 18/E/2018 circa il corretto funzionamento del regime forfettario di cui alla L. 398/1991 è sicuramente quello che riguarda il superamento della soglia dei 400.000 euro di ricavi oltre la quale il predetto regime agevolato non risulta più applicabile.

Da quando il predetto regime è stato istituito si è sempre pensato che le agevolazioni sotto il profilo reddituale e quelle previste ai fini della determinazione dell’Iva viaggiassero su binari paralleli, nel senso di non potersi più applicare nel momento in cui veniva superata la soglia ad oggi fissata nella misura di 400.000 euro.

I primi dubbi, tuttavia, sono sorti nel momento in cui si sono presentati agli operatori casi particolari che determinavano l’applicazione di criteri e disposizioni normative diverse nei due comparti impositivi.

Il primo esempio è dato dalle prestazioni fatturate in un dato periodo d’imposta ma non ancora incassate alla conclusione del medesimo. Sotto il profilo Iva tale fattispecie non ha mai presentato criticità posto che le regole contenute nell’articolo 6, comma 4, D.P.R. 633/1972 individuano senza ombra di dubbio il sorgere del momento impositivo al momento della fatturazione quando affermano che “Se anteriormente al verificarsi degli eventi indicati nei precedenti commi o indipendentemente da essi sia emessa fattura, o sia pagato in tutto o in parte il corrispettivo, l’operazione si considera effettuata, limitatamente all’importo fatturato o pagato, alla data della fattura o a quella del pagamento.”.

Se quindi era certo il momento impositivo ai fini Iva, altrettanto certo non appariva il momento nel quale il provento doveva concorrere alla formazione del reddito in considerazione del fatto che il regime 398/1991 è indubbiamente un regime di cassa e non certo di competenza.

I “fedelissimi” della cassa, quindi, sostenevano l’esistenza di un doppio binario che vedeva l’Iva dovuta nell’anno di fatturazione e l’assoggettamento a imposizione reddituale nell’anno dell’incasso (quindi in quello successivo nel caso in commento).

Questa soluzione, tuttavia, se da un lato non creava problemi quando non si determinava alcun superamento della soglia, dall’altra creava numerosi dubbi quando l’importo fatturato ma non incassato determinava lo sforamento della soglia oggi pari a 400.000 euro.

Si decadeva in questo caso dal regime 398/1991 per superamento della soglia di ricavi? Vi è chi, compreso il sottoscritto, poggiando sulla considerazione che il regime 398/1991 è un regime di “cassa” e nonostante le non cristalline affermazioni di segno contrario contenute nel prontuario Siae e nel D.M. 18.5.1995 di approvazione dei vecchi modelli di distinta e di dichiarazione di incasso (il cosiddetto borderò), riteneva che tale situazione non determinasse lo sforamento della soglia ai fini reddituali e quindi la decadenza dal regime, ma determinasse unicamente la debenza dell’Iva con le modalità forfettarie anche oltre la soglia, quindi con la partecipazione del ricavo alla verifica ai fini reddituali della soglia solo nel successivo periodo d’imposta nel quale lo stesso risultava incassato.

A risolvere la questione, con una soluzione che tuttavia non appare soddisfacente alla luce dei criteri che governano il regime forfettario, ci ha pensato l’Agenzia delle entrate con la citata circolare 18/E/2018, par. 3.7, affermando in primis che “qualora anteriormente alla percezione del corrispettivo sia emessa fattura, andranno in tali ipotesi computati anche gli introiti fatturati ancorché non riscossi” e che “Tale criterio deve essere seguito … al fine della determinazione del plafond dei 400.000 euro e dell’applicazione delle modalità forfettarie di determinazione del reddito imponibile e dell’Iva proprie del regime di cui alla legge n.398 del 1991”.

Viene quindi introdotta una “finzione giuridica” per la quale il provento si considera comunque “incassato” nel momento in cui lo stesso viene fatturato, anche se non riscosso. Come già accennato, se questa soluzione risolve non pochi problemi operativi (e, occorre dirlo, anche tante “speculazioni” da parte di soggetti che approfittando di questa situazione hanno fatturato importi ben superiori alla soglia non facendo concorrere il ricavo né nell’anno di mancato incasso né in questo successivo in cui l’incasso si verificava, agevolati dal fatto che nell’esercizio successivo la mancata emissione della fattura non rendeva certamente agevole in controllo da parte dei verificatori), non può essere pacificamente accolta in quanto in palese contrasto con il criterio che nel regime 398/1991 prevede la rilevanza del provento nel solo momento del suo incasso.

D’altro canto, è la stessa Agenzia a riconoscere nella stessa circolare 18/E/2018 situazioni nelle quali si verifica ai fini dell’applicazione del regime 398/1991 un doppio binario Iva/redditi che giustifica un assoggettamento ad Iva con modalità forfettarie anche oltre la soglia dei 400.000 euro ma che non determina alcuna conseguenza in termini di decadenza del regime.

Si tratta dei proventi decommercializzati ai fini Ires ma non anche ai fini Iva (è il caso dei contributi pubblici di cui all’articolo 143, comma 3, lett. b), Tuir piuttosto che dei proventi derivanti da attività commerciali connesse agli scopi istituzionali di cui all’articolo 25, comma 2, lett. a), L. 133/1999) per i quali, prima del citato documento di prassi, più di un dubbio aveva attanagliato gli operatori circa la loro rilevanza o meno ai fini della verifica del superamento della soglia nel regime 398/1991.

È proprio con riferimento alla richiamata fattispecie dei contributi pubblici (ma analoga considerazione viene fatta per i proventi ex articolo 25, comma 2, lett. a), L. 133/1999) che l’Agenzia delle entrate, nel recente documento di prassi, afferma che “Tali contributi, pertanto, non rientrano nel calcolo del plafond di 400.000 euro” e che “Nel caso in cui i contributi pubblici corrisposti all’associazione sportiva dilettantistica dalle amministrazioni pubbliche siano esclusi da Ires ai sensi dell’articolo 143 comma 3 lettera b) del Tuir ma rilevino agli effetti dell’imposta sul valore aggiunto, per gli stessi – ferma restando la non concorrenza ai fini del plafond per l’accesso al regime agevolativo di cui alla legge n.398 del 1991 – l’Iva sarà dovuta secondo il regime forfettario previsto dalla stessa legge n.398 del 1991”, legittimando quindi l’applicazione dell’Iva con modalità forfettarie anche oltre la soglia.

Non si comprende quindi la ragione per cui l’Agenzia giustifichi un doppio binario Iva/redditi per quanto attiene ai soli proventi decommercializzati mentre non lo faccia con riferimento ai proventi che risultano fatturati ma non ancora incassati, affermando per questi ultimi l’esistenza di una “finzione giuridica” secondo la quale il provento si deve intendere certamente incassato nel periodo in cui interviene la fatturazione; logica, questa, che non rispecchia i criteri propri del regime 398/1991 e affermati dalla stessa Agenzia nella circolare esplicativa 1/1992 dove si precisa che “….ai fini dell’individuazione dei proventi in argomento deve aversi riguardo al criterio di cassa”.

Ben quindi avrebbe fatto l’Agenzia (ma così non è stato) a precisare che anche i proventi fatturati ma non ancora incassati nel periodo d’imposta, alla stregua dei proventi decommercializzati, rilevano certamente ai fini Iva (e non poteva essere altrimenti, stante i principi di determinazione di detto tributo) secondo le regole di determinazione forfettaria ma non rilevano ai fini reddituali e come tali non concorrono alla verifica del superamento della soglia dei 400.000.

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